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REFERENDUM SULL’ACQUA: LE DOMANDE GIUSTE

Domande e risposte sui referendum numero 1 e 2. Non si prevede alcuna privatizzazione dell’acqua, ma la legge non mette in discussione neppure la natura pubblica del servizio, l’universalità dell’accesso, il diritto soggettivo dei cittadini a riceverlo a condizioni accessibili. Non è l’ingresso dei privati nella gestione dei servizi idrici a far salire i prezzi. E in ogni caso la tariffa dovrà continuare a coprire gli investimenti. Da evitare invece che contenga extraprofitti. La gestione dell’acqua è uno dei temi di cui si discuterà a Trento al Festival dell’economia, a cui parteciperà anche uno degli autori di questo articolo.

 

 

Il quesito referendario n. 1 – modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici di rilevanza economica – così recita: Volete Voi che sia abrogato l’art. 23-bis (Servizi pubblici locali di rilevanza economica) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 “Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e finanza la perequazione tributaria”, convertito, con modificazioni, in legge 6 agosto 2008, n. 133, come modificato dall’’art. 30, comma 26, della legge 23 luglio 2009, n. 99, recante “Disposizioni per lo sviluppo e l’’internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia”, e dall’’art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135, recante “Disposizioni urgenti per l’’attuazione di obblighi comunitari e per l’’esecuzione di sentenze della corte di giustizia della Comunità europea”, convertito, con modificazioni, in legge 20 novembre 2009, n. 166, nel testo risultante a seguito della sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale?

PRIVATIZZAZIONE DELL’ACQUA?

I promotori del quesito hanno giustificato la richiesta di abrogazione sostenendo che l’’articolo 23-bis prevede la privatizzazione dell’’acqua.
In realtà, la proprietà della risorsa idrica non viene messa in discussione dalla legge, ma questo è addirittura banale. Ciò che conta davvero è che la legge non mette in discussione neppure la natura pubblica del servizio, l’’universalità dell’’accesso, il diritto soggettivo dei cittadini a riceverlo a condizioni accessibili: la responsabilità della fornitura continua a essere pubblica e sono i piani di gestione approvati da soggetti pubblici a decidere quali servizi offrire, quanti investimenti fare, quali obiettivi di miglioramento perseguire. L’’eventuale coinvolgimento del privato è una scelta che si può descrivere così: il “condominio cittadino” ha bisogno di un idraulico per far funzionare il sistema di servizio, e deve decidere se assumerne direttamente uno alle sue dipendenze (affidamento “in house”) oppure affidare il compito a un professionista esterno. La legge non  richiede che il professionista esterno sia un privato, ma richiede che la scelta venga effettuata tramite una gara pubblica. L’’idraulico, chiunque esso sia (azienda pubblica o azienda privata), non è e non sarà mai il “padrone dell’’acqua”: l’acqua appartiene ai cittadini, le infrastrutture appartengono ai cittadini, le modalità di accesso alle infrastrutture per approvvigionarsi del bene essenziale sono decise dal soggetto pubblico, le tariffe sono approvate dal soggetto pubblico. L’’idraulico ha solo il compito di recapitarci l’’acqua a casa, con le caratteristiche qualitative richieste affinché la possiamo usare e poi riprenderla per restituirla all’’ambiente. Però, l’’idraulico costa: il vincolo per il comune, qualunque modello scelga, è che le tariffe pagate dai cittadini coprano questi costi.

CON I PRIVATI ACQUA PIÙ CARA?

Uno dei leit-motiv dei referendari è che, con l’’ingresso dei privati nella gestione dei servizi idrici, il prezzo dell’’acqua non potrebbe che salire. Ma il prezzo dell’’acqua sale non perché la gestione sia privata, ma semmai perché è stata, per così dire, “defiscalizzata” a partire dal 1994, quando venne approvata la Legge Galli (legge 36/1994, forse la legge ad attuazione più ritardata della storia nazionale). In passato, e in parte ancora oggi, è stata la finanza pubblica a farsi carico (poco) degli investimenti, mentre la tariffa a stento copriva i costi operativi. Se il contributo della fiscalità generale viene meno, il gestore (chiunque esso sia, pubblico o privato) deve ottenere le risorse finanziarie dal mercato, o sotto forma di prestiti (capitale di terzi) o di equity (capitale proprio). Le regole tariffarie sono uguali per tutti e prevedono che la tariffa copra i costi di gestione, gli ammortamenti e il costo del capitale investito: questo vale sia per le gestioni pubbliche che per quelle dove c’è una qualsiasi forma di coinvolgimento privato.

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CON I PRIVATI ACQUA PEGGIORE?

Un altro tema su cui insistono i referendari è che, con l’ingresso dei privati, non potremmo più essere sicuri della qualità dell’’acqua che beviamo e che, quindi, le gestioni private metterebbero in pericolo la nostra salute. Ma la qualità dell’’acqua – in tutti i sensi, compreso quello relativo agli scarichi depurati  è decisa dal regolatore pubblico. Non solo l’’eventuale ingresso dei privati non farà peggiorare la qualità, ma potrà farla sensibilmente migliorare, anche tenendo conto del maggiore antagonismo tra regolatore e regolato. Con le gestioni pubbliche, il regolatore pubblico chiude più facilmente un occhio e anche l’’opinione pubblica è spesso disposta a tollerare dal pubblico disfunzioni che mai tollererebbe da un privato. Basti citare la vicenda dell’arsenico: le gestioni coinvolte si dividono esattamente a metà tra pubbliche e private, ma quando capita ad Acea la si sbatte in prima pagina, quando invece capita alla gestione pubblica di Viterbo stranamente non ne parla nessuno. L’’acqua del sindaco, chissà perché, è sempre ottima e abbondante, anche quando fa schifo. Va anche considerato che le tariffe sono congegnate in modo da premiare chi fa investimenti: il privato, se vuole guadagnare, deve investire. E infatti, i dati dimostrano che le gestioni privatizzate investono di più di quelle pubbliche, che invece sono più vincolate dall’’obiettivo politico di tenere basse le tariffe.

EFFETTI COLLATERALI?

I referendari pensano all’acqua, però l’abrogazione della legge riporterebbe in vigore le normative pre-vigenti non solo per i servizi idrici, ma anche per la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, i trasporti locali, eccetera. Secondo quelle normative, la possibilità di affidamento dei servizi “in house”, al di fuori di un chiaro quadro di regolazione, era assai più ampia. L’’articolo 23-bis, infatti limita l’affidamento “in house” a “situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato”. In ogni caso, la legge che col referendum si potrebbe abrogare richiede che la scelta dell’’affidamento “in house” vada motivata e trasmessa con una relazione all’’Antitrust e all’’autorità di settore (se esiste) che devono esprimere un parere (purtroppo non vincolante). Qualcuno, facendo spallucce, dice che, per i settori diversi dall’acqua, si potrebbe intervenire nuovamente ad abrogazione eventualmente avvenuta. Ma il quesito referendario riguarda un intero articolo di legge, che si occupa di tutti i servizi pubblici locali. Dovessero vincere i sì, la manifesta volontà degli elettori riguarderebbe tutti i servizi e non solo l’’acqua. Perché il legislatore dovrebbe rispettare l’esito del referendum per l’’acqua e tradirlo per altri settori?

Il quesito referendario n. 2 – determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’’adeguata remunerazione del capitale investito – chiede: Volete voi che sia abrogato il comma 1, dell’’art. 154 (Tariffa del servizio idrico integrato) del Decreto Legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 “Norme in materia ambientale”, limitatamente alla seguente parte: “dell’’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”?

SE IL PROFITTO VENISSE ABOLITO, L’ACQUA COSTEREBBE DI MENO?

Il quesito sembra motivato dall’’idea una “adeguata remunerazione del capitale investito” comporti inevitabilmente prezzi dei servizi idrici maggiori. Se fosse vero che il prezzo aumenta per colpa del profitto, sarebbe vero anche per qualsiasi altra attività economica: anche le case, le automobili, il pane e gli abiti costerebbero di meno se fossero prodotti da un soggetto pubblico che non remunera il capitale investito. Ma la storia dell’’Unione Sovietica smentisce questa credenza. Dobbiamo intenderci sul significato di “profitto”. In un mercato concorrenziale, rappresenta il costo-opportunità del capitale e il premio per l’’imprenditore che riesce a produrre lo stesso valore degli altri con costi più bassi (o un valore più alto agli stessi costi). In un mercato monopolistico non regolato, il profitto è gonfiato dalla rendita di monopolio. Nel settore idrico le possibilità di sfruttare la concorrenza sono limitate alla fase di affidamento del servizio (da quattro a dieci volte in un secolo, diciamo), ma una buona regolazione può aiutare non poco. Del resto, non basta non fare profitti per costare poco: un’’impresa che non remunera il capitale, ma ha personale in eccesso o affida consulenze d’oro agli amici dell’’assessore, alla fine, potrebbe costare di più. Se la regolazione è costruita in modo che il profitto rappresenti l’’eventuale premio per l’’impresa che si dà da fare per ridurre i costi, il cittadino ne può trarre beneficio.
Attualmente il “metodo normalizzato” per il calcolo della tariffa idrica prevede che il costo del capitale da imputare alla tariffa sia calcolato in modo forfetario al 7 per cento del valore del capitale investito: questa scelta è arbitraria e discutibile. Quel 7 per cento non è “profitto”, ma ingloba in sé gli interessi passivi sui finanziamenti che l’’azienda riceve dal mercato, e copre in parte il rischio di impresa. Viene riconosciuto a tutte le gestioni e non solo a quelle private. È vero che il valore del 7 per cento, fissato arbitrariamente nel 1996, quando ancora c’’era la lira, rappresenta un valore ormai privo di qualsiasi riferimento con il “vero” costo del capitale che le gestioni sostengono. Ad ogni modo, il quesito referendario abolirebbe l’’inciso relativo alla “adeguatezza della remunerazione del capitale investito”, ma non il principio, stabilito dallo stesso articolo 154 comma 1 una riga dopo, in base al quale la tariffa deve garantire la copertura dei costi, comprensivi degli investimenti. Dire che la tariffa deve coprire gli investimenti significa che, in ogni caso, il costo del capitale dovrà essere coperto: con cosa si ripagherebbero i debiti contratti con le banche, altrimenti? E se questo capitale fosse capitale di rischio (equity), il suo costo è rappresentato dall’’utile netto aziendale. Quello che dovrebbe invece essere evitato (ma non serviva certo il referendum per ribadirlo) è che la tariffa contenga “extraprofitti”, ossia remunerazioni eccessive rispetto al costo-opportunità del capitale e al premio per il rischio.

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L’’ACQUA DIVENTERÀ UN BENE DI LUSSO?

Gli effetti distributivi non vanno mai trascurati: è giusto preoccuparsene, ma senza allarmismi e senza confusioni. Oggi spendiamo circa 90 euro/anno pro capite e a regime potrebbero diventare il 20 per cento in più, con l’’attuazione dei piani di gestione esistenti. Volendo proiettare a lungo termine le tariffe davvero necessarie per un equilibrio di lungo periodo si potrebbe arrivare a 140-150 euro pro-capite. Non sono cifre irrisorie, sebbene si tratti pur sempre di 50 centesimi al giorno. Oltre tutto, questi valori medi oscillano da una realtà all’’altra e l’’incidenza sui redditi può essere molto diversa, considerando che poiché l’’acqua è un bene essenziale, i ricchi ne consumano quanta i poveri. Il tema dell’’incidenza tariffaria non va certamente banalizzato, ma può essere affrontato in modo adeguato, costruendo strutture tariffarie diverse da quella attuale. Un conto è dire che i ricavi da tariffa (complessiva) devono coprire i costi totali, un altro conto è discutere di come costruirla. Ad esempio, si potrebbero introdurre quote fisse significative parametrate ai valori catastali in modo da ridurre l’’incidenza sulle fasce sociali più deboli. Si può anche pensare a forme integrative di intervento della finanza pubblica, finalizzate a garantire che l’’accesso al mercato dei capitali avvenga a condizioni più vantaggiose, e quindi con un minore impatto sulla tariffa.

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70 commenti

  1. Sandro Faleschini

    Boitani e Massarutto sembrano convincenti soprattutto in relazione ai quesiti 1 e 2 ma poi affermano “Del resto, non basta non fare profitti per costare poco: un’impresa che non remunera il capitale, ma ha personale in eccesso o affida consulenze d’oro agli amici dell’assessore, alla fine, potrebbe costare di più.” Giusto, ma conoscendo bene il contesto, vorrei capire come l’”amico dell’assessore” non sarebbe garantito anche con il regime privatistico proposto. Mi sento raccontare, in Sicilia e Calabria dove operano strutture private, nazionali e straniere, di comportamenti non diversi dal passato, di quando cioè c’era l’”assessore”, anzi addirittura semplificate. Leggende metropolitane forse, ma l’acqua comunque non sempre arriva o non arriva e non è certo migliorata. Quanto al terzo quesito, sulla base delle considerazioni, mi par di capire che tutto dovrebbe essere migliorato, ma allora tanto vale ricominciar tutto daccapo! Almeno per questo punto.

  2. Enrico Marchesi

    Osservazioni del tutto condivisibili in astratto. Propongo agli autori, qualora abbiamo sufficiente tempo a disposizione, di effettuare un’analisi delle modalità di determinazione del tasso di remunerazione del capitale investito di altri servizi regolati. In particolare di analizzare come la modifica della proprietà (dal pubblico al privato) abbia influenzato le scelte effettuate dalle Autorità di regolazione di settore nella determinazione del costo opportunità del capitale. Si potrebbe scoprire un mondo più complesso da quello desumibile dalla lettura dell’articolo.

  3. Marco Spampinato

    1. A differenza dei trasporti pubblici ad es., l’acqua è un bene pubblico puro, offerto solo in regime di monopolio. Si può scegliere di andare a piedi o in bicicletta, ma non ci si può fare la doccia con l’acqua minerale. I settori non sono identici.
    2. Una inefficienza o danno sull’acqua ha un impatto maggiore, inversamente proporzionale e non evitabile, su tutti gli utenti.
    3. L’esempio non calza. Se l’idraulico deve solo fare un lavoro (investimento o manutenzione), può pagarsi con contratto a termine, fino a fine lavoro. Si fa quindi una gara per lavori, non per la gestione del servizio.
    4 (o 3bis). Che senso ha fare una gara per duplicare le strutture di erogazione di un bene pubblico puro? L’esito ottimistico è una duplicazione del costo: solo una struttura molto competente può selezionare una struttura/idraulico altrettanto competente, da tenersi per anni.
    5. Se il problema è di costo-efficacia, è sufficiente premiare i manager che ottengono risultati definiti da un buon sistema di governance (senza duplicare strutture e costi) 6. Rischi di clientelismo: un monopolista pubblico è soggetto a regole/controlli sulle assunzioni (migliorabili); un’impresa privata ha le mani libere.

  4. giorgio mascitelli

    La previsione fatta dagli autori sul fatto che il prezzo dell’acqua non aumenterà oltre il 20% è una previsione che ha la stessa attendibilità di un’altra che affermi per esempio che l’aumento sarà del 200%. Anzi il fatto che gli operatori del mercato siano grosse società per azioni di solito quotate in borsa rende altamente versomile l’ipotesi che i loro amministratori seguiranno la loro mission che è quella di staccare i premi più elevati possibili per gli azionisti. Il controllo pubblico è sicuramente più efficace di quello di mercato nel quale l’eseguità dei concorrenti rende facilissimi accordi di cartello e di spartizione come del resto la cronaca economica ci ha mostrato in molti altri settori.

  5. Andrea Ranalli

    Il vostro articolo è decisamente interessante ed è finora l’unico che mette veramente in chiaro le eventuali ragioni per non abolire questi articoli (interessante vedere come non c’è in ballo solo l’acqua ma tutta una serie di servizi pubblici…). Volevo però chiedere a qualche esperto di voi un paragone con il caso della gestione delle autostrade, che come tutti sapete è oramai affidata ad un unico soggetto privato, il quale puntualmente riesce a guadagnare extraprofitti… oltre che ad elargire grosse somme a partiti politici (di destra e di sinistra). Il punto è che tutto quanto è stato detto in questo articolo è verisissimo, ma ahimé viviamo in uno Stato dove si fa facile ad abusare della posizione che questi soggetti privati riescono ad avere. Al momento non sostengo (ancora) che l’abrogazione della legge sia giusta, ma mi limiterei a vedere un caso concreto, quali appunto quello delle autostrade, per capire se a tendere anche questo sistema potrebbe funzionare per l’acqua. Se il primo non è andato a buon fine, si rischia infatti di fare la stessa fine con quest’ultimo. Se invece è conveniente, al max sarebbe meglio creare una public company come ENEL o Telecom, no?

  6. DDPP

    Sono abbastanza d’accordo su quasi tutti i punti, ma come spesso accade, quando si parla di come ripartire i costi si scade nel populismo fiscale. Le tariffe dei servizi pubblici devono essere uguali per tutti, non ha sens fare pagare in relazione al reddito. Le imposte devono essere progressive: il costo dei servizi non ha nulla a che vedere con la progressività fiscale. Se la collettività (elettorato?) identifica delle situazioni individuali o famigliari degne di essere protette, dia mandato al referente politico di provvedere direttamente dando un sussidio al pagamento di quel bene. Il legislatore non modifichi le tariffe il cui compito è di esprimere il contenuto economico del "servizio distribuzione distribuzione acqua potabile" e non fare beneficienza. La beneficenza venga fatta dagli enti preposti.

  7. Marco Panzieri

    Grazie per aver portato avanti il discorso acqua ad un livello razionale, è 1000 volte meglio delle trasmissioni urlate. 1200c sono pochi per scrivere come vorrei, ma ci provo lo stesso. Primo: l’obiettivo di qualsiasi soggetto privato che rischi il proprio capitale (o meglio quelli di terzi) è il profitto, e non esiste un limite a priori al profitto che si cerca di ottenere. Con un livello di tariffa massimo disposto da una authority, il gestore privato ha comunque un forte incentivo a fare di tutto per abbassare legalmente o illegalmente i costi, oppure per spostarli in avanti; ancora, investire di più in valore assoluto non implica investire molto (il 100% di incremento di investimenti prossimi a 0 è ancora 0) o meglio o in investimenti durevoli. Vi è poi un problema informativo: chi controlla effettivamente l’operato sul territorio? E’ relativamente costoso farlo – per analogia di costi dell’informazione, guardate come stanno gestendo i costi dei mutui in america. Resta poi il problema moral hazard: vi sembra che le autorithy italiane intimoriscano veramente le aziende? Un saluto ed ancora complimenti per aver tenuto alto il livello.

  8. D.V.

    vista da dentro (dipendente di azienda di gestione pubblica) la questione del referendum, mi auguro che non passi, sperando che la presenza di privati nella compagine proprietaria possa limitare il continuo intervento dei polit(icant)i locali nella gestione, volti sempre a favorire interessi particolari di “amici”, a dispensare posti di lavoro, consulenze e gettoni presenza. In questo modo, si perpera molta parte dei pochi soldi e delle poche risorse disponibili per la gestione del servizio idrico.

  9. Ivano

    Avrei un dubbio: "antagonismo tra regolatore e regolato"? E’ davvero così scontato che in Italia accada?

  10. mirco

    dopo aver letto l’articolo mi sovviene una riflessione: se si applicassero le leggi dovrebbe funzionare tutto bene. un po come in belgio , sono molti mesi che il belgio è senza governo e il cosiddetto commissariamento sta facendo diminuire il debito pubblico del paese. credo allora che basterebbe commissariare la gestione del settore senza farci pascolare i politici e le cose andrebbero meglio.

  11. Claudio (aderente comitati per il sì)

    Scrivete che: L’articolo 23-bis, infatti limita l’affidamento “in house” a “situazioni che, a causa di peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche del contesto territoriale di riferimento, non permettono un efficace e utile ricorso al mercato”. Ma in questo modo ente pubblico e privato non sono messi sullo stesso piano. Si dice che dev’esserci sempre il privato salvo contesti territoriali particolari, cioè zone in cui il servizio non sarebbe remunerativo per cui lo si può lasciare a carico del "pantalone" pubblico. Per il resto trovo le vostre motivazioni molto corrette in linea teorica, in un paese ideale regolato dal mercato: la realtà italiana è diversa, il mercato in Italia è costituito da un congenie di lobby, affaristi, società malfamate e senza scrupoli. Per questo chiediamo che il pubblico mantenga il controllo dei servizi essenziali, a tutela delle fascie deboli di cittadinanza.

  12. Stefano Manestra

    In termini strettamente giuridici non è prevista le reviviscenza delle norme che siano state abrogate o sostituite da quelle a loro volta cancellate da un referendum; c’è solo il divieto per il legislatore di riproporre tale e quale la norma abrogata dal referendum, che è appunto abrogativo e non sostitutivo. A meno che non si dimostri che vi è una e una sola alternativa regolamentare a quella derivante dalla norma oggetto della consultazione, l’affermazione che la vittoria dei sì ad un referendum "riporterebbe in vigore le norme pre-vigenti" non mi sembra corretta.

  13. vito antonio di cagno

    Provincia di La Spezia, giunta di centrosinistra con consiglieri IDV, vara la privatizzazione, la prima in Italia, nel 2005, in tutti comuni di sua pertinenza. La conferisce alla Oasi SRL di Deiva Marina, azionisti,dirigenti,impiegati tutti di appartenenza del centrosinistra ed IDV. Aumento della bolletta (servizio idrico integrato) del + 300% ! Profitti spartiti con i fautori politici della privatizzazione ! Ignorata una delibera del TAR 2008 che sancisce come illecito l’aumento del costo della bolletta per la causale che lo lega al valore aggiunto della attrattiva turistica dei comuni in cui viene applicato ! Solo il SI al referendum potrà cancellare, far sparire un simile obbrobrio di oscena complicità speculativa di privati con politici. (Dopo la Oasi da Ottobre 2008 la Acam Spa di La Spezia, carrozzone anche esso di adepti,scherani di appartenenza IDV e centrosinistra).

  14. luca

    Ciò che l’articolo, secondo me, vuole far capire non attiene tanto agli impatti economici (che comunque non sarebbero disastrosi) o remunerativi, quanto invece agli aspetti tecnico-giuridici e normativi; abrogando il 23 bis lasceremmo il nostro ordinamento privo di una normativa nazionale su TUTTI i servizi pubblici locali con conseguente ritorno alle normative previgenti non compatibili con le direttive comunitarie sugli affidamenti con il rischio di una(ennesima) procedura di infrazione nei confonti dell’italia in questo settore. Il 23 bis è frutto di una travagliatissima evoluzione normativa che parte dalla legge 142 del 1990 e che consente al nostro ordinamento di essere finalmente in liea coi paramentri comunitari ed abrogarla sarebbe un errore. In ogni caso suggerisco di fare attenzione alla prima parte dell’articolo e di focalizzarsi sulla distinzione tra: proprietà del bene e delle reti(che rimarrà pubblica) e gestione del servizio,da affidare mediante procedure ad evidenza pubblica a:1)società private 2) società a capitale misto( con scelta del socio privato mediante gare) 3) affidamento "in house" nel rispetto della disciplina comunitaria

  15. Sergio Ascari

    Condivido ed apprezzo in pieno l’articolo. La mia riflessione è un’altra: credo che questo tema, di cui si discuterà parecchio nelle prossime settimane, sarà una fomidabile sfida alla capacità degli economisti di comunicare le proprie idee, in una cultura ancora incredibilmente permeata dall’idealismo crociano, sorprendentemente rilanciata nell’epoca dell’informazione diffusa: e nella quale conta spesso il simbolo (l’acqua "pubblica"), più del pacato ragionamento. Sull’acqua, questo messaggio mi viene da persone spesso moderate e razionali, non solo dai pochi nostalgici dell’Unione Sovietica giustamente citata nell’articolo. E’ anche probabile che giochi un certo generale rigetto – forse parte di un ciclo naturale tra benessere pubblico e privato, come raccontava Hirshmann – verso la pervasività di forze di mercato di fatto poco controllabili in un paese strutturalmente allergico alle regole, o propenso altrimenti ad esagerarle. Bei temi per Trento, attendo suggerimenti…

  16. luca

    Suggerisco di guardare anche il regolamento attuativo del 23 bis.

  17. Carlo Moser

    Condivido in gran parte ma c’è un punto secondo me cruciale che l’articolo non tratta. L’acqua dolce è un bene scarso, quella potabile ancora di più, perciò l’interesse collettivo è limitarne il consumo. Il privato invece guadagna in funzione del volume che vende. Come si fa a congegnare strutture tariffarie che incentivino il privato a vendere di meno? Temo che non esistano.

  18. andrea

    Ma ACQUALATINA e GIRGENTI ACQUE non vi hanno insegnato proprio niente allora…

  19. stefano

    Buongiorno, una frase mi ha colpito dell’articolo, e cioè quella in cui si dice che a regime i costi saranno aumentati del 20%, o eventualmente di piu. Cio significa che comunque, anche con la piu virtuosa delle gestioni di questo nuovo regime di erogazione dell’acqua, questa costerà di piu? Allora ha ragione chi dice: privato=maggiori costi? Qualcuno potrebbe chiarificare questo punto, spiegando anche perchè si dovrebbe scegliere comunque questo regime pubblico-privato? Grazie, cordiali saluti

  20. paola ghini

    Se l’intento della legge fosse di lasciare al soggetto pubblico (cittadini e stato) la responsabilità delle scelte su tariffe e gestione non avrebbe avuto spazio nella legge la partecipazione di privati di tipologia "multinazionali" oltre il 70%. Il soggetto pubblico, con questa legge perde completamente e irrreversibilmente la possibilità di tutelare l’interesse collettivo. La storia delle gestioni privatizzate dell’acqua, la dice lunga: il Prof. Massarutto farebbe bene a informarsi meglio.

  21. alessio

    Rispondo ad Andrea: ecco qui l’esempio di privatizzazione che cercavi: aumenti esponenziali, cattiva gestione, deroghe per arsenico. Per non parlare del cartello ACEA-Suez in Toscana, bacchettato dall’Antitrust nel 2007: nulla è cambiato e a Firenze (privatizzata) la bolletta costa tre volte più cara che a Milano (spa a capitale pubblico). La "liberalizzazione" avviene all’italiana e, authority o no, le cose non cambiano (vedi segnalazione AGCOM del 22/07 su affidamento a IREN x Genova). Riguardo all’analogia con le autostrade c’è eccome perché il capitale degli stessi imprenditori Caltagirone & Co si ritrova anche nel settore idrico (vedi ACEA – 58.6 milioni di utili che non saranno reinvestiti e in barba alle deroghe sull’arsenico). Non c’è, inoltre, alcuna rivivescenza di norme precedenti: la corte costituzionale (sentenza di gennaio di ammissibilità dei referendum) ha affermato che la legge Ronchi non è un’imposizione della Comunità Europea, ma una scelta dello Stato e la sua abolizione non causa alcuna rivivescenza o "ritorno al passato", ma determina una situazione regolata e in linea con la legislazione europea.

  22. luciano scalzo

    Ogni problema deve essere contestualizzato. In Italia l’esperienza insegna, dalle autostrade alla cessione delle frequenze televisive, che il regolatore pubblico è un giano bifronte: la faccia da regolatore e la testa, e quindi la tasca, da privato. Il regolatre pubblico italiano non persegue l’interesse pubblico. E’ questo dato di fatto, provato per tabulas, che lascia scettici i consumatori/cittadini di fronte ad ogni ipotesi di ingresso dei privati nella gestione di risorse pubbliche. La gestione diventa lentamente appropriazione per incapacità o disonestà del regolatore pubblico. Si facciano prioritariamente affidamenti/gestioni secondo criteri (sbaglio o la teoria dei giochi serve anche a questo?) che incontrovertibilmente favoriscono i proprietari (cioè i cittadini) delle risorse in termini di investimenti e qualità del servizio. La dispersione dei nostri acquedotti supera in media il 40%. E’ richiesto, per esempio, ai futuri di gestori di ricondurre tale dipersione entro limiti fisiologici? E’ stato fissato un prezzo massimo per la fornitura del bene acqua o comunque un prezzo crescente/decrescente con la qualità dell’acqua fornità?

  23. Carlo

    Ricordiamoci che nel 2000 la Bolivia ha sfiorato la guerra civile (basta cercare ‘cochabamba water protests’ in rete), perche’ in seguito ad una privatizzazione selvaggia le tariffe erano aumentate in maniera insostenibile. Cosa ci garantisce che atteggiamenti predatori simili non accadano anche in Italia? Sì, in teoria c’e’ l’authority, ma in pratica?

  24. sandro

    Riusciremo un giorno a liberare la gestione dei servizi pubblici locali dalla morsa dei nostri politici? Dopo anni di prigionia il risultato dovrebbe essere sotto gli occhi di tutti. Saluti.

  25. Giovanni

    Se è vero che gli acquedotti italiani sono un colabrodo e che necessiterebbero di una completa ristrutturazione, un privato sarebbe disposto a sborsare gli ingenti capitali necessari o non si accontenterebbe di riscuotere le bollette?

  26. Nicola Salerno

    L'Italia porta esempi di gestioni pubbliche che fanno bene, accanto a casi in cui fanno anche molto male. Affermare il principio della selezione del "migliore" significa porre pubblico e privato sullo stesso piano, e fare emergere chi sa far meglio. Meriterebbe una attenzione maggiore il quadro regolatorio/istituzionale, che andrebbe completato rapidamente. L'acqua in Italia costa troppo poco. A testa, mediamente meno di uno scatto di telefonata al dì; meno di un bicchiere di minerale al bar. Per quanto è preziosa, le tariffe in vigore sono insufficienti a far maturare la giusta consapevolezza collettiva. Intravedo il rischio di dipingere in maniera ideologica prossimi futuri aumenti delle tariffe, che saranno necessari semplicemente perché, rimettendo ordine al settore, verranno alla luce scarti tra costi di funzionamento e entrate di gestione che sinora sono rimasti all'ombra dei bilanci "soffici" dei Comuni. Un aumento delle tariffe promuoverebbe "cultura dell'acqua"; e servirebbe anche a inquadrare il servizio su basi di sostenibilità finanziaria. Non impedirebbe, di per sé, interventi redistributivi.
    Considerazioni su => http://www.cermlab.it/pub/group/n/item/107

  27. Michele

    In Francia, dopo 25 anni, si è tornati all’acqua pubblica! Spero succederà anche in Italia

  28. fabrizio

    La relazione della Corte dei conti – Obiettivi e risultati delle operazioni di privatizzazione di partecipazioni pubbliche – 12 febbraio 2010 sembrerebbe (non sono un esperto in materia) evidenziare oltre a quelli positivi anche aspetti molto critici sul processo di privatizzazione (dagli anni ’90 ai giorni nostri) specialmente nell’ambito delle utilities. Gli autori hanno avuto modo di leggerla? Non potrebbe voler dire che tra la teoria e la pratica in italia c’è sempre una insanabile distanza? Non è una polemica ma il desiderio sincero di un "non addetto" ai lavori di capire …

  29. Marco Bersani

    a) La proprietà formale resta pubblica (chi l’ha mai negato?), ma tutti sanno che la proprietà sostanziale, ovvero la gestione, diventa privatistica e mercificata: chi gestisce controlla, come sanno tutti gli economisti; b) la trasformazione in SpA comporta la coincidenza tra efficacia e redditività del servizio : d’altronde il privato il suo 7 per cento lo può solo ricavare dall’aumento delle tariffe, dalla riduzione del costo del lavoro, dalla riduzione della qualità del servizio (meno investimenti) e dall’aumento degli sprechi : tutte conseguenze puntualmente verificatesi in questi ultimi quindici anni; il finanzimento del servizio idrico si può fare attraverso un misto di leva tariffaria, finanza pubblica (prestito irredimibile, quindi senza aumento del debito pubblico) e fiscalità gererale a costo 0 (ovvero dirottando sul servizio idrico altre voci di spesa). Gli autori, molto presi nella critica dei referendum, continuano a non spiegare il fallimento del modello SpA e full cost ricovery,(quello attuale che il decreto Ronchi vuole rendere definitivo e senza ritorno) a cui da quindici anni stiamo assitendo.

  30. Aldo

    …. di chi non vuol sentire! E’ inutile che i vari Massarutto e Boitani si sforzino nel portar la discussione nel giusto alveo; ci sarà sempre qualche "buon tempone" che la butterà su storielle e semplicionerie da studentelli di scuola media che, purtroppo, hanno il pregio di far presa facilmente proprio sulla gente che ignora (e sono la maggior parte) la realtà complessa delle cose. E’ come spiegare ad un bambino chi dona i regali a Natale; è più facile inventarsi la storiella di Babbo Natale; peccato che non sia vera!

  31. Francesco Gatti

    Grazie per aver condensato in un articolo i punti più importanti del dibattito. Complimenti. E’ indubbio c’è ci sia una consistente porzione della popolazione tema l’apertura del servizio alla partecipazione dei privati (che c’è già). Credo sia a causa di come sono andate le cose in passato. Ma non penso ci sia altra strada, se non quella di lasciar fare ad ognuno il proprio mestiere. Organizzandosi al meglio. Gli enti facciamo gli enti, le imprese (anche pubbliche) facciano le imprese. Due spunti: 1) la partecipazione ad ogni fase di programmazione, pianificazione e controllo da parte del territorio. 2) l’uso del servizio idrico come strumento per il reinserimento lavorativo ed il welfare locale (con affidamenti riservati al settore, come è previsto dalle leggi). Infine, e chiudo. Ancora oggi molti i comuni regalano parte dell’acqua a tutti. Questo accade perchè coprono le spese correnti con trasferimenti ordinari. E si tolgono fondi alle scuole, alle politiche sociali, all’ambiente. Sarebbe ora di cambiare. PS: pubblico o privato, la tariffa è identica. Fissata dall’autorità d’ambito (in Lombardia un particolare incrocio Comuni + amministrazione provinciale).

  32. enzo

    Vivo in un comune di 5000 anime. L’acqua che arriva nelle case proviene da sorgenti dello stesso territorio comunale.In passato l’amministrazione comunale ripartiva il costo del servizio (lo stipendio dell’idraulico ed i costi di manutenzione) con modalità decisamente grezza. Costo totale: numero dei contatori presenti= quota di ogni utente. Successivamente, anche in base alle novità normative, è sorto un acquedotto sotto forma di spa a partecipazione pubblica (regione e comuni), conseguenza il costo è come minimo triplicato. è bene precisare che il sedicente acquedotto in realtà non porta acqua proveniente da qualche altra parte (l’acqua continua a prvenire dalle suindicate sorgenti in territorio comunale) ma porta solo bollette salate da pagare. Si parla qui se debba oppure no essere considerato il profitto. Io chiedo: e i costi? se una società di gestione è pubblica ma per poter esercitare le proprie funzioni clientelari fa lievitare i costi del personale, per non parlare del costo dovuto a politici trombati e riciclati come managers? chi tutela l’utente da questi costi?

  33. gianluca

    Finalmente un po’ di chiarezza sul referendum dell’acqua, c’era la neccessità; purtroppo una goccia in mezzo al mare dovuta alla disinformazione ai cittadini. Tra l’altro è la stessa Comunità Europea ad imporre certe linee sulla liberizzazione dei servizi. A queste liberizzazioni possono partecipare sempre nuove società a capitale misto o privato. Inoltre già in alcune regioni si è portato alla costituzione degli aato per il servizio integrato rifiuti ed acqua. Nel Veneto ad esempio lo smaltimento dei rifiuti avviene attraverso le municipalizzate, qundi società pubbliche. L’esito è stato che, pur avendo aumentato la % di raccolta, è aumentato pure il costo, in quanto una parte è fissa della bolleta ed una parte variabile decisa dai comuni, neanche a farlo a posta tanti "affibiano" ai cittadini il max. Essi si giustificano per gli aumenti dei costi dei servizi, ma a far lievitare i costi sono soprattutto le spese del personale assunto, perchè? Immaginatevi voi il perchè..

  34. marsangola

    Gli economisti hanno già sbagliato una volta, hanno attribuito al mercato la capacità di regolarsi per il meglio e allo stato di controllare senza intervenire. Vi sembra che sia andata come avevano previsto? Le bolle finanziarie, gli stati che ripianano i debiti delle banche, le agenzie di rating che hanno dato bollini blu a chi li meritava neri, la crisi finanziaria e poi economica, insomma, un disastro. Il capitale ha la capacità di catturare il controllore, di corrompere la politica e di condizionare i mezzi di comunicazione di massa. Mi stupisce, e un po’ mi indigna, che si continui a fare gli stessi errori.

  35. Domenico C.

    L’articolo non mi sembra considerare l’argomento nella sua organicità, non librando tra aspetti positivi e negativi della privatizzazione del servizio (le domande retoriche nei titoli sembrano suggerire già la risposta – ovviamente negativa). Perché è vero che l’acqua, bene di tutti, non viene privatizzata, ma è ad ogni buon conto palese che a venire privatizzate sono la gestione e la distribuzione. Come ci insegna l’economista Adam Smith (che è sempre valido), l’imprenditore è portato naturalmente dalla propria attività a massimizzare i profitti (non sarà grazie alla benevolenza dell’imprenditore che l’acqua ci verrà fornita a basse tariffe..). I due autori ci consegnano invece una lettura ottimistica e favorevole della privatizzazione del servizio, non mettendo in conto eventuali complicanze che "incidentalmente" potrebbero sorgere qualora il controllo imprenditoriale non dovesse rivelarsi cristallino. Come quando quell’imprenditore (sull’orlo del crack) riconobbe nello sfuttamento dell’acqua l’opportunità (affatto fruttuosa) di sanare il proprio disavanzo e di affrancarsi dai creditori.

  36. maria di falco

    Mi sembra che il capitalismo sia proprio alla frutta! Ora attacca anche l’acqua o meglio aggredisce le risorse naturali, volendo far credere che questo sia frutto dell’inventiva dell’imprenditore! Non sa più cosa inventarsi questo sistema capitalistico! Che tristezza! E perchè un imprenditore privato dovrebbe occuparsi di un settore che è in perdita se non ci trova il suo interesse? Quindi aumenterà i prezzi e diminuirà i costi! E cioè aumenterà il prezzo della merce venduta, il prezzo dell’acqua, e cercherà di diminuire i costi, magari anche attraverso finanziamenti pubblici e, quindi, l’effetto finale sarà un impoverimento generale, tranne che per i pochi che gestiscono l’acqua. Un altro paradosso è questo: quando un bene è pubblico allora non ha valore, quando è privato allora sì! Ma potrei sapere chi ha deciso questo? E non mi rispondete il mercato, per favore! L’acqua deve rimanere pubblica e deve diffondere benessere e ricchezza; è questa la scommessa!

  37. Giancarlo

    I sostenitori dei referendum sull’acqua tendono a sopravalutare la capacità del sistema politico italiano di gestire in modo efficiente un servizio essenziale come quello idrico. Basterebbe un bilancio della situazione attuale – consumi eccessivi sia di acquedotto che di acqua minerale, perdite in rete, carenza fognature, scarichi fuori norma, ecc. – per concludere che le gestioni pubbliche – dominanti in Italia – sono inadeguate. Ma, come dice il poeta, "datemi un pregiudizio e solleverò il mondo". Ahimè, i referendari non vedono nemmeno un tema cruciale per il miglioramento del servizio, quello dell’innovazione, a cui le aziende pubbliche, gestite di norma in modo burocratico e clientelare, si tengono alla larga. Se poi ci fosse un’azienda pubblica che funziona bene, perché non liberarla dai vincoli dell’in-house e metterla a servizio anche di altri territori? Le gare servono anche a questo!

  38. Giuseppe Palermo

    Sono d’accordo. Rilevo in molti commenti la tendenza a confondere privatizzazione e liberalizzazione. Il male non sta nel pubblico o nel privato come tali ma nelle situazioni di monopolio di fatto che, in questo settore più che in altri, sono facili a crearsi. Gli autori avrebbero forse potuto dare più spazio (possono farlo altrove) alla normativa UE, che, ricordiamo, rende obbligatorie le gare salvo casi particolari di inhouse, ormai irrealizzabili in molte situazioni italiane (i comuni dovrebbero cioè avere la partecipazione piena e il “controllo analogo” delle società). Questo punto è cruciale. L’UE (giustamente) alla lunga non tollererà p. es. che l’Acea partecipi ad appalti in mezzo mondo ma a Roma sia monopolista: ci fulminerà di multe (noi non l’Acea). Massarutto, in un bel libro recente, s’è detto pessimista sulle gare, per il conflitto d’interessi fra comuni appaltanti e loro partecipate. Vero: ci vorrebbe una legge di ampio respiro che sciolga questo nodo, p. es. con un trasferimento delle quote comunali ad un altro fondo pubblico.

  39. sdl

    L’intervento fa chiarezza sui quesiti, è vero, ma ci vorrebbe una seconda puntata. Puntata da dedicare al perché quel mondo che dovrebbe o potrebbe funzionare in base ai principi e ai meccanismi descritti, nella realtà o non si verifica o non viene percepito come soddisfacente. Non è un aspetto di secondo piano poiché si sostiene che c’è una strada alternativa per soddisfare le esigenze (e le preoccupazioni) dei cittadini riguardo al costo e alla qualità del servizio idrico rispetto alla estrema semplificazione che deriverebbe dal successo dei referendum. Sarebbe utile spiegare (o almeno provare a farlo) come mai gli strumenti per garantire l’accesso a un servizio essenziale e assicurare una gestione che coniughi efficacia ed efficienza, che sono in mano ai soggetti pubblici, vengano sistematicamente ignorati, male utilizzati o distorti verso altre finalità. In questo modo, forse, si potrebbe fare un passo avanti, spostando il dibattito su un terreno meno ideologico e più pragmatico.

  40. GM. Bernareggi

    Condivido al 110% l’ esposizione dei colleghi Boitani e Massarutto. Una notazione a margine. Considerando gli argomenti dei sostenitori del referendum, mi lascia perplesso l’ atteggiamento schizofrenico di molti riguardo al ruolo della pubblica amministrazione. Se si tratta di allestire un contratto di servizio vantaggioso per i consumatori, mettere a gara la gestione e controllare l’operato del vincitore, si dà per scontato che l’ente pubblico sia inetto e/oppure colluso con gli interessi della controparte privata. Se invece si tratta di gestire il servizio in proprio, si presume che sia super-efficiente ed unicamente motivato dal "bene comune". Ma se i componenti dei nostri consigli comunali sono davvero così incapaci e inclini a pratiche mafiose, non sarà un po’ azzardato affidare a loro in toto la gestione dell’ acqua ?

  41. acocella salvatore

    Mi meraviglio del prof. Boitani. Il fatto che i superprofitti siano impossibili per l’esistenza di un "controllore" e che esiste un regime di "concorrenza" è una favoletta che ci stanno propinando come i vantaggi, predicati da Friedman, del "libero mercato senza stato". Sono barzellette di chi finge di ignorare che i nostri "controllori" si avvicinano molto ai mafiosi e che la concorrenza esiste solo teoricamente di fronte a colossi mondiali. Gli esempi di "liberalizzazioni", oltre che in Italia, possiamo vederli in Russia o nei Paesi Sudamericani ove "operavano" i "Friedman boys": non seminate menzogne. In Italia abbiamo "privatizzato le poste e le ferrovie e tutti vediamo come funzionano. Le poste sono una banca monopolista che fa i propri comodi e le "cosiddette" autority" dove sono? Pensano solo ai propri guadagni e al proprio potere. Nel Paese "Maestro di corruzione", non venite a raccontare favolette! So già che non risponderete come avviene normalmente quando vi si contraddice! Saluti

  42. Armando Pasquali

    Boitani e Massarutto difendono l’attuale legge sulla base di argomentazioni teoretiche, non su riscontri empirici. Ma già Stiglitz, su questo tema, è stato chiaro: esaminando la letteratura sulle privatizzazioni afferma "l’argomentazione a favore della privatizzazione è, nel migliore dei casi, debole o inesistente." (Privatization. Successes and failures, ed. Gérard Roland, Columbia Univ. Press, 2008). Del resto, gli economisti si sono occupati molto poco di questi temi (vedi articolo di Roland in ibid.). Forse perché, direbbero i maligni, la grande ondata di privatizzazioni europee dagli anni ’80 in poi non ha avuto alcun effetto positivo sull’andamento del Pil (articolo di Bortolotti e Milella in ibid.). Insomma, la storia di Boitani e Massarutto è così vecchia che non ci crede più nessuno. Neppure i numerosi liberisti incontrati nei forum che voteranno sì ai referendum. Perché, mi hanno spiegato, parlare di privatizzazione senza concorrenza è una presa in giro. Per concludere, rilevo come questo articolo sia l’ennesima occasione persa per riportare l’economia nell’ambito del mondo reale, di ciò che succede veramente e non di ciò che gli autori immaginano che debba succedere.

  43. Andrea Balena

    Solitamente se devo scegliere un idraulico, posso trovare un discreto elenco all’interno del quale posso scegliere. Mi sembra che gli autori non tengano in debito conto il forte processo di concentrazione in atto nel mercato dei gestori del servizio idrico integrato (cfr. Working Paper ANEA 2008/02). Mi chiedo pertanto se sia corretto in tale contesto parlare di concorrenza (che è comunque una concorrenza "per il mercato" e non "nel mercato"). A tal proposito – oltre al lavoro citato – è istruttiva la delibera del 22/11/2007 dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato che sanziona "un’intesa restrittiva della concorrenza ai sensi dell’art.81 Trattato CE" fra le società ACEA Spa e Suez S.A. Inoltre se l’idraulico non mi soddisfa, la prossima volta sarò sempre libero di rivolgermi ad un altro. Questo tipo di gare – considerati gli investimenti richiesti – prevedono durate piuttosto lunghe con meccanismi invece relativamente brevi di revisione periodica delle tariffe, il tutto all’interno di una forte asimmetria informativa fra il gestore e l’ente locale difficilmente in grado di confutare i dati portati dal gestore. L’esperienza delle Autostrade è illuminante.

  44. Rino Di Fonzo

    Entrare nel merito della questione anche se con condivisibili argomenti, é un modo per disorientare il corpo elettorale. Sarebbe come se, all’alba della nostra Repubblica, invece di dire no alla Monarchia e basta ci si fosse divisi sul "tipo" di Repubblica da istituire in Italia. Nessuno vuol negare la libera impresa o il diritto di ognuno a poter concorrere nel realizzare il bene comune. Non si vogliono negare le gare d’appalto, dunque. Si vorrebbe impedire che sull’acqua si possano realizzare ingiusti guadagni, utilizzando una legge che ciò permetta. Penso che il vero problema, invece, sarà quello di trovare una classe politica capace di: impedire la dispersione del "sacro elemento"; distribuirlo equamente sull’intero territorio nazionale, isole comprese; rendere impossibile a chicchessia di monopolizzare il "rubinetto" come sta accadendo in Italia in altri campi, vedi l’informazione televisiva; che siano, infine, introdotti metodi di controllo efficaci per combattere le molte malversazioni che rendono impossibile in Europa, agli onesti privati, l’intrapresa senza trucchi. In tal caso, vedrete, molte delle imprese concorrenti si tirerebbero indietro.

  45. Filippo Bonadiman

    Sono abituato che quando a casa mia si rompe qualcosa a riparare c’è il babbo. Tubo rotto, papà aggiusta, cancello da sistemare, papà arriva, e perdita d’acqua, lavoro di scavi e perdita sistemata. Ok che non tutti i condomini possono avere la fortuna che ho io, ma questo è il mio modello. Quindi quando si parla di affidarsi all’idraulico per risolvere un problema mi domando sempre, è davvero un problema così grande e irrisolvibile? La soluzione di far entrare il privato nel servizio pubblico, anche solo in veste di idraulico del condominio, la ritengo oltre che una scelta di comodo anche un rischio. Una scelta di comodo perché preferirei un investimento e un miglioramento del pubblico nel servizio idrico italiano. E rischio perché se un servizio pubblico è così debole, chi dice che il primo privato affarista che arriva non ci mangia in un secondo senza che ce ne accorgiamo? Se il consiglio dei condomini è scarso e inefficiente, l’idraulico che arriva potrebbe fregarci come niente. Io non dico no ai privati. Fosse mio padre a gestire tutta la rete idrica italiana sarei tranquillo, ma prima vorrei un pubblico forte, che abbia tutte le carte in regola per confrontarsi col privato.

  46. Franco

    Mi sfugge un passaggio. Se il pubblico è inaffidabile (se non mafioso) quando fa meno (regole e controlli), come fa d’incanto a divenir virtuoso quando fa di più (regole, produzione, e controllo)? Vediamo il debito pubblico; non è certo colpa dei governi dal novanta in poi (le colpe di tali governi ci sono e tante, ma non per il debito pubblico almeno fino al 2000) se oggi ci troviamo alle pezze; ma per lo sperperio dei vari carrozzoni e di "pantalone" che salvava sempre tutto e tutti!

  47. Gabriele

    Ho letto che secondo qualcuno in Italia la "privatizzazione" degli enti pubblici non ha funzionato bene portando come esempio "Poste Italiane". Trasformare un’ente pubblico in una Spa non equivale a privatizzare; il 100% del capitale sociale di "Poste Italiane" è in mano allo Stato Italiano!

  48. Andrea P

    Il costo opportunità del capitale è il rendimento cui una società rinuncia per un investimento con rischio simile. L’articolo è un pò fuorviante, definendolo prima come la capacità di ridurre i costi offrendo lo stesso valore o successivamente come il profitto una volta pagati interessi e tasse. Finanziariamente sono concetti completamente distinti. Quale è il rischio di un investimento simile? Probabilmente alto, visto lo stato della rete, i grossi investimenti richiesti e il fattore ambientale, in cui vanno inclusi corruzione e criminalità. E a alto rischio corrisponde una aspettativa di ritorno sull’investimento maggiore. Quindi il problema è: quale è una remunerazione "giusta" per il capitale investito? E come liberarsi dal gestore che richiede un alto rendimento, se nella legislazione italiana si possono prolungare le gestioni qualora siano fatti ulteriori investimenti che bisogna ammortizzare? L’articolo non mi sembra rispondere in maniera chiara a questi punti, di fondamentale importanza per una corretta decisione in ambito referendario.

  49. Carlo Turco

    Gli argomenti di Boitani e Massarutto sono decisamente convincenti, le obbiezioni contrarie – nella quasi totalità – appaiono ideologiche, apodittiche, semplicistiche. Alcune eccezioni, comunque, contribuiscono ad accrescere la convinzione che mi sono fatto: il problema della gestione dei servizi idrici è serio, complesso, e meriterebbe che si riuscisse a costruire in Italia una politica degna di nome. Compito rispetto al quale un referendum con secchi SI e NO a spezzoni di legge appare strutturalmente e totalmente insufficiente e, anzi, dannoso. Purtroppo, nonostante sbandierate, nobili intenzioni, la verità è che alla "visibilità" in questo paese si è sempre troppo pronti a sacrificare l’interesse generale; anche da parte di quartieri da cui non te lo aspetteresti.

  50. Francesco

    Non voglio entrare nel merito della discussione sul fatto che sia meglio una gestione pubblica o privata. A livello generale, personalmente preferisco quella pubblica per molti servizi che ritengo di base (es. l’acqua) ma si possono portare esempi a bizzeffe a favore di una o dell’altra soluzione. Quello che mi dà fastidio dell’articolo 23 bis, e per questo voterò SI, è che renda obbligatorio lo strumento del mercato nell’affidamento della gestione dei servizi pubblici. Se la cittadinanza di un ComuneProvinciaRegione è soddisfatta del servizio offerto dal pubblico, perchè deve necessariamente affidarsi al mercato, con i rischi connessi ad un eventuale cambio di gestore? Perchè i cittadini non devono poter essere liberi di scegliere la politica di gestione che preferiscono (monopolio pubblicogara tramite mercato) per i (loro!) beniservizi pubblici?

  51. ciro amato

    Salve è la prima volte che intervengo e faccio i complimenti a Boitani e Massarutto per i loro interventi autorevoli. Dico la mia. 1: Gli autori dicono che la normativa italiana non pretende che i servizi pubblici locali siano affidati ai privati; ciò non è corretto perchè è proprio il contrario. Le direttive europee prevedono l’in-house in maniera meno stringente. Il 23 bis, no; obbliga a scegliere il privato prima di verificare la possibilità di fare il servizio in house. 2: Sulla tariffa. Se passa il referendum resta che la tariffa coprirà i costi di investimento (tutti), salvo quelli per la remunerazione del capitale (che viene appunto espunto dalla norma). Quindi non è corretto affermare che comunque il capitale sarà remunerato (questa ipotesi è contraria alla legge). 3: Non è corretto dire che se passano i sì si torna alle vecchie normative, perchè l’art. 23 bis le ha già abrogate e non possono tornare in vigore, infatti tra i costituzionalisti si discute. 4: E’ vero che le società pubbliche sono spesso, non sempre, carrozzoni usati per le prebende politiche; 5: il referendum serve a rimettere in discussione norme passate con la fiducia senza dibatitto.

  52. Marco Ferrari

    Vorrei capire perché la privatizzazione delle autostrade viene vista così male. A me sembra che le tratte gestiste da Autostrade per l’Italia Spa siano molto meglio tenute di altri tratti, come la Torino-Milano o il Brennero o la Serravalle… C’è qualcosa che mi sfugge? Le poste sono molto migliorate da quando hanno una gestione privatistica, lo stesso le ferrovie. Certo, i livello non è mai abbastanza, ma vi ricordate le poste o le FS di 20 anni fa?

  53. CINZIA JENNY

    Nell’articolo si pongono delle domande ‘giuste’ per dare delle risposte opinabili. Ma chi lo dice che la gestione pubblica non funziona? Ci sono delle realtà locali dove funziona benissimo la raccolta differenziata, il fotovoltaico nell’illuminazione pubblica ecc. Il problema non è nel tipo di gestione, pubblica o privata, ma nelle persone che devono gestirla. Da sempre, in Italia, la politica ha affossato la cosa pubblica per poterla dare in gestione ‘fuori’, magari con interesse privato di vari politici…comunque l’esperienza di paesi come Francia e Germania che stanno tornando alla gestione pubblica dopo quella privata catastrofica, dovrebbe dirci qualche cosa.

  54. sud42

    Grazie per la lucidita’ dell’analisi.

  55. Lorenzo

    Il piccolo problema della metafora dell’idraulico è questo: non è che il condominio deve scegliere tra assumere un idraulico o affidare il servizio a un idraulico terzo, perchè l’idraulico ce l’ha già! Il servizio idrico viene gestito da società pubbliche che sono un investimento fatto dai cittadini e dai loro comuni nel corso dei decenni. Ora, con la l.166/09, si incentiva a vendere tramite gara, e in fretta, una quota delle società ai privati (cd. società mista). L’alternativa è la gara per il servizio, con il rischio per il pubblico di perdere la gestione (per sempre, perchè una volta ceduti ramo d’azienda e management al privato, alla parte pubblica non rimane nulla del know how industriale: fra 10 anni, alla prossima gara, la public utility locale non ci sarà). Il dubbio che mi viene è questo: sapendo che i Comuni sono spinti a vendere il 40% per assicurarsi almeno una quota di maggioranza nella società incaricata della gestione, non è che il privato acquirente spunterà un prezzo piuttosto conveniente? Non è che, alla fine, quello che si guadagna in efficienza del servizio, la collettività lo perde per il minor valore derivante da una vendita frettolosa delle azioni?

  56. savina

    Forse qualcuno di voi ha letto un articolo di Stiglitz apparso sul Financial Time dopo gli attentati dell’11 settembre. L’articolo diceva che, nei giorni e forse anche nei mesi che seguirono gli attentati le code negli aeroporti di Londra (la cui gestione e’ stata privatizzata) erano diventate interminabili e facevano perdere un tempo il cui valore sociale era molto alto ai cittadini costretti a farle. I gestori privati pero’ preferivano le code alla diminuzione dei loro profitti, anche se per il sistema economico complessivo c’era una perdita enorme. La gestione di un monopolio naturale, come l’acqua mi sembra molto delicata nella pratica. Anche con un buon sistema di regolamentazione pubblica, si potrebbero verificare situazioni particolari in cui i privati preferiscono causare danni gravi al pubblico che veder diminuire i loro profitti.

  57. Marco

    Scusate la domanda ma è una questione che sui vari articoli non viene trattata. Premesso che normalmente sono favorevole a che siano i privati a fornire anche servizi pubblici, sono piuttosto contrario quando il privato è posto in una situazione di monopolio naturale. La norma che è oggetto di referendum sull’acqua, fornisce un modo per mettere in concorrenza i vari operatori privati che entrano con il capitale nella (non ho ben capito la natura giuridica della società) società che gestisce il servizio idrico? L’Autority dell’ultimo minuto da chi è nominata? Perchè dovrei fidarmi dell’Autority? Se il Comune che gestisce il servizio idrico non lo fa bene almeno posso votare qualcun altro, se l’Autority non fa il suo dovere come fa il cittadino a controllarla? Cordiali saluti.

  58. lamberto

    Il testo più che fornire documentazione sembra alimentare il dibattito tra il privato (presupposto come illuminato nella gestione e capace nell’organizzazione, mentre il mercato si occuperebbe di temperare le tariffe) e il pubblico (presupposto -non a torto- come incapace di una gestione industriale e irrispettoso dei costi perché a carico della fiscalità generale): gli estensori dovrebbero mostrarci qualche esempio "italiano" a favore di questa tesi… vorrei ricordare la vicenda Autostrade, dove a fronte di un servizio erogato in assenza di concorrenza (seppure a tariffe concordate ma comunque più che in grado di produrre utili super), il concessionario non spendeva neppure quanto contrattualmente concordato con lo stato per manutenzione/ ammodernamenti… ma è davvero questo il capitale (i capitalisti) di cui abbiamo bisogno?

  59. Carlo Bottoni

    Bell’analisi. Il problema è che è un’analisi sulla carta, in cui stranamente non viene citato nemmeno un esempio di privatizzazione di gestione dell’acqua in cui le cose sono migliorate, mentre quelli negativi abbondano. Basti pensare cosa ha tentato di fare la Enron tramite Azurix una decina di anni fa. E’ successo tutto il contrario di quello che avete scritto.

  60. Simone

    Ci risiamo: il pubblico non funziona? Gettiamo via l’acqua sporca con tutto il bambino dentro. Sembra lo sport preferito di questi ultimi anni. Dimenticandoci quali siano le importanti motivazioni etiche e non etiche che motivano la gestione pubblica in settori fondamentali come la distruibuzione idrica. La privatizzazione configura una sconfitta: sancisce l’incapacità di gestione da parte di apparati che gridano vendetta da secoli. E se invece riuscissimo ad entrare in certi enti e riorganizzarli? Ma qualcuno ci ha mai pensato (ironico…)? Oppure costerebbe troppo in termini di consenso elettorale?

  61. alessandro cascone

    Agli autori sfugge un piccolo particolare: l’acqua non ha le caratteristiche di una merce. Non è prodotta, non è limitata (viene ripristinata con la stagione delle piogge ogni anno), a volte viene a giorno da sola (sorgenti). Inoltre è un bene non solo di primaria necessità ma anche vitale; si può digiunare, per protestare ad esempio, dal cibo ma non dall’acqua che invece viene garantita proprio durante i digiuni "politici". Ad essere sbagliata è proprio la legge Galli quando dispone che: "La tariffa è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell’entità dei costi di gestione delle opere, dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio"

  62. Marco P

    L’intero articolo é privo di fondamento, la rete idrica é un monopolio naturale, in quanto, nessuno puó vivere senza l’acqua, e nessuno puó fare concorrenza. C’é un lavoro da fare al condominio? Si valuta un idraulico che offra un buon prezzo e un buon servizio, e si paga per il servizio (e qui il costo del servizio sará concorrenziale, perché sei libero di andare da un altro idraulico). Ti é mai venuto in mente di mettere in vendita le tubature di casa tua al primo idraulico che passa? Smettetela con la storiella che un privato evita le perdite e gestisce bene gli affari, quello vale solo quando c’é vera concorrenza. Se un negozio di scarpe ha prezzi troppo alti, nessuno ci compra, e il negozio chiude. Se, domani, c’è un solo negozio di scarpe in tutta la cittá, che pensi, aumenteranno o diminuiranno i prezzi?

  63. Giovanni

    Ho letto vari articoli oltre ad un riassunto della legge Galli. Non avevo pregiudizi politici, volevo soltanto formarmi un’opinione per votare al meglio, anche perchè vivo in Germania e noi votiamo prima di voi. Ho una formazione tecnico-scientifica, lavoro in una grande azienda, ho letto con interesse le argomentazioni di Boitani. Devo dire che mi dispiace, ci ho provato, ma alla fine non mi avete convinto. E’ vero che da un cattivo gestore si può sempre prendere le distanze, ma con che costi, in che tempi, con quali svantaggi per gli utenti? In un paese come l’Italia poi, dove già c’è una continuità inquietante tra controllati e controllori, tra politica e imprenditoria? Ecco, forse questo è il punto: è triste dirlo, ma l’Italia non è nelle condizioni sociali, politiche, morali, di fare un passo del genere, che forse in un altro paese avrebbe rappresentato una chance di miglioramento, forse. Si tratta di rassegnazione, ma non posso ignorare ciò che è accaduto con l’Alitalia, con la FS, con le Autostrade… è un paese che necessita prima di tutto di un rinnovamento poltico e morale e poi dopo, forse, delle privatizzazioni.

  64. elisabetta lizzarri

    L’analisi economica è interessante, non lo metto in dubbio, è il vecchio tema delle privatizzazioni. Ma l’acqua come hanno detto bene prima di me, non è una merce, e perché affidarala in toto ai privati( nella gestione)? Il problema è civile, è contingente, noi siamo l’ttalia della cricche e delle caste, dobbiamo togliere dalla mani di persone disoneste i nostri beni. Non starei a sfoderare analisi e divulgazione scientifiche, in questo momento storico per il nostro paese, intempestive.

  65. Andrea Paupini

    Non riesco a cogliere tutti i passaggi dell’analisi fatta perchè non ho competenze in questo ambito. Io credo che se un privato interviene significa che in qualche modo, da qualche parte, un qualche profitto deve pur uscire per gli azionisti. Se non sbaglio l’idea ispiratrice del referendum è proporre per l’acqua lo stato giuridico di Bene Comune. Cioè un bene che è di tutti, ed è essenziale per la vita, e sul quale non è accettabile l’idea di fare alcun profitto. Forse è vero che con la gestione privata può aumentare l’efficienza e possono diminuire le tariffe. Ma non sarebbe salvato il principio che su un Bene essenziale per la vita non è accettabile l’idea di guadagnarci sopra. Non è questo il punto?

  66. valerio

    Complimenti per il livello, molto alto, del dibattito. Faccio rilevare ai qualificatissimi autori che la stragrande maggioranza dei commenti è per il SI al referendum. Ne trarrei la conclusione che gli argomenti contrari sono un po’ deboli. Io sottolinerei il fatto che i gruppi che controllano le utilities sono tre o quattro e potentissimi. Non mi sembra un mercato concorrenziale nel senso tecnico del termine. Mi sembra che un qualsiasi regolatore (ma in Italia ne abbiamo?) ne sarebbe facilmente preda. Figurarsi le amministrazioni locali, costrette a vendere con il 23bis puntato alla tempia!

  67. Antonio Ruda

    Se il sistema idrico è fatiscente il costo opportunità dell’investimento è pari a zero in quanto l’acqua è un bene essenziale irrinunciabile (il costo opportunità di investimenti in settori diversi da quello idrico è infinito). Il costo dell’investimento andrebbe confrontato con i costi del "senza intervento" (carenza di acqua oggi e nel futuro). Ma questo è un costo sociale e l’investimento privato sarebbe sempre sotto dimensionato, oppure, il rendimento richiesto sarebbe finanziariamente insostenibile per gli utenti (potere monopolistico dell’investitore privato che può alzare continuamente "la posta"). L’ingresso dei privati fa quindi salire i prezzi perchè essi non possono tenere conto dei costi sociali evitati con l’investimento che solo la proprietà pubblica può compensare. A meno che il settore pubblico non sussidi i privati per tenere conto dei costi prima dell’investimento. Ma allora dove sta la convenienza?

  68. Mimmi

    La completezza dell’ informazione, tanto più su questioni "tecniche" e specifiche come queste, è degna di grande considerazione: grazie autori! A prescindere da se e da cosa cosa si decida di votare segnalo Bersani a Carpi meno di 3 anni fa (presente in sede la società AIMAG – gestore di servizi pubblici a Carpi ed in altri comuni tra la provincia di Modena e Mantova) Due pesi e due misure?

  69. anonimo

    E’ grazie a quelli come voi che eviterò di farmi strumentalizzare il giorno del referendum. Grazie di cuore a voi che fate vera informazione.

  70. Carcarlo

    Volevo dire grazie agli autori, perchè al di là della condivisibilità o meno dell’analisi (io per inciso la condivido quasi del tutto), l’articolo è molto utile a sviscerare la questione. Mi pare molto strano ma anche molto significativo che non si trovino articoli del genere da parte del fronte referendario che invece parla solo per slogan. Per Salvatore Acocella che ha commentato in precedenza: fare il galletto va bene, ma solo se sai di cosa parli: poste e ferrovie non sono private, sono società per azioni a controllo pubblico.

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