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SVILUPPO VERDE? L’ITALIA NON CI CREDE

Molti paesi hanno risposto alla crisi del 2008 varando i pacchetti verdi, misure di promozione dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili. Tre anni dopo l’Italia discute di riforme che dovrebbero ridare slancio alla crescita. Dai documenti ufficiali si apprende che l’energia e l’ambiente non figurano tra le priorità del governo, mentre lo sono l’edilizia privata e il turismo. I pochi provvedimenti inseriti derivano da direttive europee. La scarsa sensibilità verso il tema della sostenibilità fa trascurare anche i potenziali vantaggi rispetto al ciclo economico.

 

Era il 2007. Nel marzo il Consiglio europeo varava la nuova politica integrata per l’energia e il clima che avrebbe portato, nel 2009, alle direttive del noto pacchetto “20-20-20” su riduzione delle emissioni e aumento delle fonti rinnovabili. Gli stessi obiettivi – lotta ai cambiamenti climatici e riduzione della dipendenza energetica dall’estero – costituivano uno dei capisaldi del programma che in quell’anno Barack Obama divulgava e che lo avrebbe portato all’elezione a presidente degli Stati Uniti il 4 novembre 2008.

PACCHETTI VERDI CONTRO LA CRISI

Era il 2008 quando il prezzo del petrolio raggiungeva il massimo storico e deflagrava la crisi finanziaria. Fu grazie alla lungimiranza di alcuni governanti che in quel periodo vennero concepiti i “green packages”, quell’insieme di misure di promozione dell’efficienza energetica e delle fonti rinnovabili che vennero inserite nei pacchetti di stabilizzazione varati in fretta e furia da molti paesi per prevenire la caduta dell’attività economica. Quei politici avevano intuito che queste misure potevano rappresentare una potente occasione di sviluppo industriale, crescita del valore aggiunto, creazione di nuovi posti di lavoro, anche a riassorbimento di quelli distrutti, innovazione tecnologica e formazione di nuove competenze. Avevano cioè capito che quella che sarebbe diventata nota come Green economy era la prospettiva che permetteva di sfruttare in chiave congiunturale – e quindi di breve periodo – il perseguimento di obiettivi di cambiamento strutturale – e quindi di lungo periodo. Poteva dunque rappresentare l’inizio della transizione verso un’economia a basso tenore di carbonio e libera da combustibili fossili. 
Giova ricordare che in valori assoluti i pacchetti verdi più consistenti furono quelli di Cina, Stati Uniti, Corea del Sud, Germania e Giappone e in termini percentuali sul Pil quelli di Corea del Sud (80per cento), Cina (38 per cento) e Francia (21 per cento). Giova altresì ricordare che l’Italia era buona ultima, destinando solo l’1,3 per cento del Pil a interventi verdi peraltro nelle sole infrastrutture ferroviarie.
La crisi economica si è rivelata poi assai più acuta e i buoni e innovativi propositi di sviluppo verde hanno finito per cedere il passo alle logiche di analisi e di intervento tradizionali. Mentre per mancanza di consenso e per il potere delle lobby energetiche, Obama fatica ancora a intraprendere un’azione incisiva nel campo della Green economy, l’Unione Europea procede spedita nella persecuzione dei propri obiettivi al 2020 e discute di quelli nuovi, da darsi successivamente. Sono quegli obiettivi che nel maggio 2008 il neo-insediato governo Berlusconi ereditava con scarso entusiasmo, cercando inizialmente di contrastarli in quanto troppo costosi e che oggi porta avanti con scarsa determinazione come mostrato dall’atteggiamento ondivago nella vicenda degli incentivi al fotovoltaico.

PRIORITÀ AL MATTONE

Sono fatti che è opportuno richiamare in questi giorni, mentre si discute di politiche per lo sviluppo con la presentazione, da parte del ministro Tremonti, del Piano nazionale di riforma (Pnr) nell’ambito del Documento di economia e finanza 2011 e del “decreto sviluppo” di alcuni giorni fa. In quei documenti sono delineati i primi interventi concreti e le riforme che il governo intende adottare per ridare slancio alla crescita e raggiungere gli obiettivi di “Europa 2020”. Nel decreto legge, in omaggio a un’impostazione vecchia, si punta sul rilancio dell’edilizia privata tout court concedendo nuovo spazio all’edificabilità, incidendo anche sulle zone costiere, intervenendo dunque in un ambito ormai delicatissimo qual è quello del consumo di territorio.
Il capitolo del Pnr dedicato all’energia e ambiente riserva invero poche novità e nessuna vera nuova riforma. Come si apprende dalla premessa del documento, l’energia e l’ambiente non figurano tra le priorità del governo nel suo programma di riforma, mentre vi sono, a titolo d’esempio, l’edilizia privata e il turismo. (1) Nel testo del Pnr vero e proprio figurano tuttavia misure dedicate, ma si tratta sostanzialmente di provvedimenti connessi all’adempimento delle direttive europee e la continuazione di alcune misure esistenti, come quello sconto fiscale del 55 per cento sulla riqualificazione energetica degli edifici che lo stesso ministro aveva annullato per poi reintrodurlo a furor di popolo. Viene annunciato un Piano d’azione per la riduzione dei consumi energetici della pubblica amministrazione, elencato tra le principali misure (p. 3), ma di ciò non si trova poi traccia nelle tabelle riepilogative degli interventi in allegato. Allo stesso tempo ci si premura di annunciare un “corretto insieme di politiche per l’efficienza”, ma – si aggiunge subito – “evitando tuttavia indicazione di obiettivi numerici vincolanti”. (2) Ci pare in sostanza di essere lontani da misure che gli inglesi definirebbero “bold”, come la revisione generale della fiscalità in campo energetico ripensata a fini ambientali o come atti di indirizzo sulle infrastrutture e le reti di distribuzione dell’elettricità e del gas, anche con riguardo all’assetto concorrenziale di tali mercati.
La rete, si prenda la rete. Leggiamo che Angela Merkel finanzierà con 500 milioni di euro un programma di ricerca e sviluppo che abbia al centro i sistemi per accumulare elettricità e ridistribuirla in maniera efficiente. La Germania infatti ha saputo trarre immediate conseguenze dall’incidente nucleare di Fukushima e le crisi del Nord Africa, i due fatti che hanno cambiato, forse in maniera permanente, lo scenario energetico internazionale. Una conferma del quadro mutato è la pubblicazione in questi giorni del Rapporto speciale sulle fonti rinnovabili da parte dell’Ipcc, il supremo organo scientifico sui cambiamenti climatici costituito in seno all’Onu. (3) Decidendo l’uscita definitiva dal nucleare entro dieci anni, la Merkel ha senza indugi insediato una commissione di (pochi) esperti incaricati di predisporre il nuovo piano energetico nazionale, che si baserà sui tre pilastri dell’efficienza energetica, delle fonti rinnovabili e delle reti efficienti e intelligenti di trasmissione e distribuzione.
In sostanza, una diversa sensibilità e scelta di tempi verso i temi dell’energia e dell’ambiente mostrata dai tedeschi rispetto ai nostri governanti. Una scarsa sensibilità, va detto, mostrata anche da molti macroeconomisti nostrani, che omettono sistematicamente di annoverare tra i motori del cambiamento strutturale e le conseguenti necessarie riforme, accanto ai grandi temi del capitale umano e dell’innovazione tecnologica, delle condizioni competitive dei mercati e delle strutture amministrative, quelli che si riassumono nel termine di sostenibilità. Trascurando di conseguenza anche i potenziali vantaggi rispetto al ciclo economico.
Un peccato che non si apprezzi il fatto che la Green economy è il grimaldello congiunturale dello sviluppo sostenibile. E sottolineiamo “sviluppo”.

(1)Il testo del Pnr si trova a questo indirizzo. Le priorità indicate nella Premessa sono: riforma fiscale, Meridione, lavoro, opere pubbliche, edilizia privata, ricerca & sviluppo, istruzione & merito, turismo, agricoltura, processo civile, riforma della pubblica amministrazione e semplificazione.
(2)Questa misura è indicata all’interno della priorità Ags (Annual Growth Survey) n. 10 “Creare un accesso efficiente all’energia” (p. 14).
(3)Tecnicamente è stato ad oggi pubblicato solo un estratto del rapporto, il cosiddetto “summary for Policymakers” il cui testo si trova a questo indirizzo.

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L’INVALSI È DEMOCRATICO

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IL DEBITO DELLE FAMIGLIE AGGRAVA LA CRISI *

  1. marcello

    L’Italia non ha ormai da decenni una politica energetica degna di questo nome. La scelta del Governo di boicottare il referendum sul nucleare del 12-13 giugno perché contestuale al referendum sul legittimo impedimento è indice (al di là del merito sulla questione nucleare) dell’attenzione che la nostra classe dirigente ha nei confronti di quel che, nella prospettiva di un costante ed inevitabile aumento dei costi dei combustibili fossili, risulterà un fattore go-no go non solo per lo sviluppo, ma anche per la stessa conservazione del nostro sistema socio-economico. Ciò detto, l’incentivazione della green economy può solo parzialmente, allo stato attuale delle tecnologie, essere considerato un fattore di sviluppo economico poiché nessuna tra le fonti rinnovabili ha attualmente un EROEI (efficacia energetica) tale da poter sostituire i combustibili fossili senza un carico fiscale insostenibile a a livello sistemico. Unica prospettiva sarebbe investire in tecnologie ad EROEI elevato quale, ad esempio, l’eolico d’alta quota, che è tuttavia piuttosto ignorato in Italia.

  2. pasquale morea

    Per decidere come fa la Merkel in tema di sviluppo sostenibile bisogna avere anche una società che della "green economy" è altrettanto convinta. Forse noi Italiano lo siamo molto a parole ma poco nei fatti. Occupandomi di turismo, un trend emergente e in rapida crescita è il "turismo sostenibile" rappresentato da consumatori sinceramente interessati a forme di offerta di questo tipo. E non a caso, la culla di questo trend (già diversi milioni di individui) è proprio la Germania, con effetti espansivi nel centro-nord Europa. Potrebbe rivelarsi un volano interessante per le migliaia di imprese italiane del settore? Da altre parti hanno già cominciato a ridurre i costi e i consumi dell’energia, dell’acqua, utlizzando imballaggi a basso impatto ambientale e altre cose ancora. E i turisti "green sensible" apprezzano. Come si fa? Ad esempio, coinvolgendo nel problema produttori, fornitori e distributori con benefiche ricadute occupazionali ed ambientali a livello locale e via via sempre più ad ampio spettro. Progetto ambizioso? Sì, ma per persone lungimiranti. Progetto utopistico? Certo, se si continua a governare con…miopia. Ma il mondo cambia comunque!

  3. angelo faravelli

    Noi ci occupiamo di packaging design e abbiamo creato un progetto ad hoc, con risorse esterne per parlare di confezioni sostenibili ai nostri clienti. Dopo una ventina di tentativi e solo un successo, mi sono fatto anch’io l’idea che non esista sensibilità sul problema. Forse sarà anche colpa dell’attuale congiuntura, o forse anche che noi addetti ai lavori non riusciamo ad esserce convincenti e credibili..chissà!

  4. GIOVANNI VERGERIO

    Le modalità con cui si è arrivati al recepimento della direttiva 20-20-20 evidenziano come provvedimenti di legge, anche importantissimi come questo, vengono scritti sotto dettatura di lobby sia industriali che politiche e non redatti autonomamente avvalendosi degli organi regolatori e tecnici preposti alcuni dei quali sono chiamati per legge a dare pareri al Governo. La non chiarezza sulle scelte di politica energetica e di sviluppo della green economy è dimostrato dai ripetuti annunci di una futura conferenza sull’energia e dal maldestro intervento sul fotovoltaico che ci costerà carissimo in termini economici per i provvedimenti presi nel 2010 e la cui cancellazione successiva non ne sanerà gli effetti perversi ma porterà al blocco, almeno temporaneo, di una filiera industriale avviata. Non mi pare che siamo sulla strada giusta e la responsabilità ricade su chi ci governa ma anche sul sistema delle imprese che non ama le autorità indipendenti e gli organi tecnici, ma preferisce avere un filo diretto con il potere politico e quindi non con il mercato.

  5. Paolo Moretti

    Lo sviluppo sostenibile è anche oggetto del recente Rapporto UNEP, che dubito i nostri governanti abbiano avuto occasione di consultare.

  6. marco marini

    Vorrei segnalare all’autore Marzio Galeotti e al lettore Marcello che un recente studio di aprile di un ricercatore dell’Enea ha praticamente dimostrato che gli incentivi ‘fiscali’ (molto al di sotto del 1% del prezzo del kw) del fotovoltaico hanno ripagato il contribuente di circa 4 volte grazie al fatto che l’enorme immissione di energia nelle ore e nei periodi di punta (mezzogiorno ed estate) nel mercato dell’energia (perché, per chi non lo sapesse il prezzo del Kw è determinato da una borsa con un paio di vincoli: prezzo del giorno prima e prezzo del giorno stesso) ha calmierato il prezzo dell’energia tanto che, nonostante un continuo aumento del prezzo del petrolio negli ultimi anni, non si è parimenti rilevato lo stesso aumento del costo del kw come invece spesso accade. Da notare che il primo aumento è recentissimo (in corrispondenza alla crisi libica). Invece di ringraziare gli incentivi (che hanno prodotto un risparmio del prezzo del kw di 4 volte superiore ai costi pagati) li si continua a denigrare con affermazioni teoricamente corrette ma praticamente non esaustive. E’ poco intelligente valutare la derivata prima se non si è valutato correttamente il bilancio IN/O.

  7. Franco

    L’edilizia, il mattone facile, la speculazione immobiliare, da motore dell’economia post bellica è diventato, dopo cinquant’anni, vera palla al piede di questo paese. Infatti il mattone sta continuando a produrre un ingiustificato e continuo drenaggio di denaro privato che viene sottratto all’economia reale, alla ricerca, alle nuove tecnologie, alla crescita delle aziende, al reinvestimento degli utili in azienda. Leggi, incuria delle amministrazioni centrali e locali, un mercato che continua ad essere una "bolla" speculativa con prezzi al di fuori di ogni logica, favoriscono questa perenne inclinazione degli imprenditori e di chi ha soldi a non rischiare piu’ nell’economia reale, sia essa verde o no. E’ ora di dire basta , è ora di fermare tutto cio’. Ricordiamoci che il declino della Repubblica di Venezia comincio’ quando i mercanti rinunciarono ad essere competitivi sul mare e si misero a costruire ville e barchesse, investendo in un’economia agricola di retroguardia… Non facciamo fare la stessa fine all’Italia.

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