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BANCHE ITALIANE, PIÙ DEBOLI E COSTOSE

La crisi di liquidità nell’area euro si aggrava e investe le banche italiane. Che si difendono aumentando i tassi alla clientela, in controtendenza rispetto ai tassi del mercato finanziario. E appoggiandosi alla costosa stampella della Banca centrale europea. Prima o poi si dovranno rassegnare ad abbassare i loro obiettivi di redditività. Intanto, a pagare il conto della crisi sono sempre i soliti: le famiglie e le imprese.

Nel bel mezzo della crisi del debito sovrano in Europa, come stanno le banche italiane? In sintesi, potremmo dire: più deboli e più costose. Vediamo perché.

BANCHE PIÙ DEBOLI

Già all’inizio di agosto, avevamo denunciato il fatto che i rischi legati alla crisi del debito sovrano e alla sua incerta gestione stavano generando una crisi di liquidità nel mercato monetario, alla quale le banche del nostro paese sono particolarmente esposte, data la notevole quantità di titoli del debito italiano da loro detenuta. Un aggravarsi della crisi avrebbe condotto le banche italiane sulla strada di una maggiore dipendenza dall’ossigeno fornito dalla Banca centrale europea, andando a fare compagnia alle banche greche e irlandesi.
Questo scenario si sta puntualmente verificando. La crisi di liquidità sul mercato interbancario si è notevolmente acuita nell’ultimo paio di mesi, come si può vedere dalla figura qui sotto, che riporta il differenziale tra il tasso interbancario a tre mesi e quello a un giorno. (1) Questo spread rappresenta il premio al rischio che le banche richiedono per prestarsi soldi tra di loro al di là delle scadenze brevissime. Si può notare che è triplicato dall’inizio di agosto a oggi, passando da 30 a 90 punti base.
In questo contesto, il ricorso delle banche italiane al “rubinetto” della Bce è raddoppiato in luglio e agosto rispetto ai mesi precedenti: la consistenza delle operazioni di finanziamento è passata da 40 a 80 miliardi di euro circa. (2) Si noti che il ricorso alla Bce è costoso, poiché il tasso praticato dalla banca centrale (1,5 per cento) è ben superiore al tasso di mercato (0,9 per cento il tasso Eurepo a una settimana). Il suo aumento è un brutto segnale, che indica una crescente difficoltà delle banche italiane a finanziarsi sul mercato finanziario all’ingrosso. La raccolta al dettaglio sembra invece tenere bene (per ora): in agosto la crescita su base annua è proseguita ai ritmi dei mesi precedenti (2,3 per cento nel complesso, 4,5 per cento le obbligazioni).

BANCHE PIÙ COSTOSE

Nel mese di agosto, le banche italiane hanno aumentato il tasso d’interesse sui prestiti di 30 centesimi di punto rispetto al mese precedente (sulle nuove operazioni). Per la precisione, il tasso sui prestiti alle imprese non finanziarie è passato dal 3,34 per cento di luglio al 3,65 per cento di agosto. Nello stesso periodo, il tasso d’interesse sui mutui alle famiglie per l’acquisto della casa è passato dal 3,22 per cento al 3,50 per cento. Contemporaneamente i tassi d’interesse interbancari sono diminuiti: l’Irs a dieci anni ­- che costituisce il punto di riferimento per stabilire il prezzo dei mutui a tasso fisso – si è ridotto di 35 centesimi (dal 3,25 al 2,90 per cento) tra luglio e agosto; l’Euribor a tre mesi ­- il parametro per i mutui a tasso variabile ­- è calato di 5 centesimi (da 1,60 a 1,55 per cento). (3)
Possiamo sintetizzare questi numeri dicendo che, mentre il mercato finanziario ha iniziato ad agosto a scontare un futuro probabile ribasso del tasso d’interesse ufficiale da parte della Bce (tendenza poi proseguita in settembre), i tassi d’interesse praticati alla clientela seguono un andamento opposto, facendo diventare sempre più costoso l’accesso al credito per le imprese e le famiglie. Queste subiscono le conseguenze dell’aumento del costo della raccolta per le banche italiane, dovuto anche al maggiore ricorso alla Bce.
I dati sulle quantità sono più consolanti. Il credito alle imprese e alle famiglie continua crescere in Italia a ritmi superiori alla media europea, seppure qualche segnale di rallentamento abbia cominciato a manifestarsi in agosto. In questo mese infatti il tasso di crescita è stato del 5 per cento, contro il 5,4 per cento di luglio. Nell’area euro la dinamica del credito bancario è più debole: 2,3 per cento a luglio.

PIANI STRATEGICI DA RIVEDERE

Nella scorsa primavera, le banche italiane avevano formulato i loro piani strategici puntando su un aumento del tasso d’interesse ufficiale nei prossimi anni (due punti percentuali in più rispetto ai livelli attuali). L’aumento avrebbe consentito loro di allargare la forbice tra tassi attivi e passivi, sostenendone la redditività. Prevedevano anche che il nostro paese sarebbe rimasto ai margini della crisi del debito sovrano.
Ora lo scenario è cambiato drammaticamente. Le prospettive sono per una riduzione del tasso di policy della Bce: questo costringerà le banche a rivedere i loro obiettivi in relazione al margine d’interesse. I titoli di stato italiani sono stati investiti in pieno dalla bufera, riducendo il valore del portafoglio titoli. Per ora, le banche si difendono aumentando i tassi alla clientela, in controtendenza rispetto ai tassi di mercato, e appoggiandosi alla stampella (costosa) della Bce. Questa strategia difensiva non potrà durare a lungo: prima o poi le banche si dovranno rassegnare a un calo di redditività, peraltro già ampiamente riflesso nelle quotazioni di borsa delle loro azioni. È difficile dire quando ciò avverrà. Per il momento, l’unica cosa certa è il conto delle crisi presentato alla clientela.

(1) Si tratta dello spread tra Euribor a tre mesi e Eonia swap sulla stessa scadenza: quest’ultimo misura le aspettative del mercato in relazione al tasso overnight per i prossimi tre mesi.
(2) Dati di Mediobanca Securities riportati dal Sole-24Ore (22/9/2011).
(3) I dati riportati nel testo sono tratti dall’Abi Monthly Outlook del settembre 2011 (tabella 4). La spiegazione fornita dall’Abi, consistente nel fatto che nel mese di agosto c’è stata una ricomposizione dei mutui alle famiglie dal tasso variabile al fisso, è solo parziale per ammissione dello stesso bollettino mensile (pag. 21), e in ogni caso si applica solo ai mutui alle famiglie e non ai prestiti alle imprese.

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12 commenti

  1. Fabio Bolognini

    I dati sugli aggregati Banca d’Italia possono essere ingannevoli e non spiegare il vero fenomeno dell’allocazione del credito, rispetto alla quantità assoluta di credito. Come ha dimostrato lo studio della CGIA di Mestre, sempre su dati Banca d’Italia, il 78% dei prestiti alle imprese è assorbito dal primo 10% dei clienti, che sono ovviamente imprese di grandi dimensioni. Alle altre resta il 22% di 1.400 miliardi. Non solo, la scarsa liquidità sta inducendo parecchi istituti di credito e ritirare porzioni di credito dalle imprese più rischiose e rallentare il ritmo di erogazioni sul medio-termine, il più costoso e difficile da rifinanziare. Entrambi i movimenti vanno ad acuire la debolezza del sistema imprese, rendendo più vulnerabili le imprese con maggiore fabbisogno di cassa e rallentando gli investimenti.

  2. William

    Concordo, ho scritto anche io qualcosa in merito, qui.

  3. Piero

    Le nostre banche sono piene di titoli di stato, che non possono smobilizzare per concedere prestiti ai privat o imprese, a meno che incassano cospicue minusvalenze. Devono quindi trovare liquidità sull’interbancario, dove la fiducia tra le istituzioni e’ venuta meno. Solo se i debiti sovrani ritornano affidabili e quindi liquidi, il circuito finanziario riprende come sempre, solo quindi a bce puo’ rimettere in moto la macchina, garantendo ai singoli stati l’acquisto pro quota dei propri titoli (monetizzare almeno il 50% del debito pubblico paesi euro)

  4. HK

    “le banche italiane. Che si difendono aumentando i tassi alla clientela” è bene avvisare i lettori di questo autorevole sito, al fine di non incorrere in brutte sorprese, che sempre più spesso dopo aver deliberato la concessione le banche non non erogano il prestito. PS: Anche a voi capita che il primo giorno del mese i bancomat di X siano fuori servizio?

  5. Hans Suter

    per risparmiare ai lettori inutili fatiche sarebbe meglio indicare che dati come quelli ABI sono accessibile solo contro (profumato) pagamento.

  6. Giana74

    I titoli di stato nell’attivo delle nostre banche non saranno un asset su cui dormire sonni tranquilli… ma che dire allora dei crediti nei confronti dei settori costruzioni e real estate (ca. €300md e cresciuti del 26% tra mag-10 e lug-11 secondo BdI) che cubano un 30% dello stock di finanziamenti al settore privato. Ma mentre i titoli di stato (poco più di €220md con duration titpicamente molto bassa) sono trattati su un mercato liquido, gli asset collaterallizzati ai finanziamenti di cui sopra sono illiquidi, la loro valutazione è soggettiva, il mercato/settore è da tempo asfittico (poche transazioni, prezzi che tengono solo in apparenza in assenza di mercato vero, possibile eccesso di offerta). Quindi credo che le banche abbiano si il problema di gestire la volatilità di quelli che un tempo erano considarati risk-free asset, ma soprattutto abbiano in pancia un rischio forse ancora non del tutto adeguatamente emerso e prezzato.

  7. Piero

    I prestiti al settore immobiliare sono attivita’ derivanti dal credito concesso, l’eventuale cartolarizzazione non rientra tra l’attività tipica della banca, tali crediti vanno tenuti fino alla scadenza, mentre i titoli sono investimenti temporanei della liquidita’ che devono essere realizzati quando la banca deve svolgere la sua attivita’ caratteristica.

  8. piero

    Oggi ho visto le sommosse in Grecia, provocate dai provvedimenti chiesti dalla germania. Il paese che ha fortemente voluto la moneta unica FORTE è la germania ed in seguito la francia, penso che, la germania uscita sconfitta dalla seconda guerra mondiale, oggi stia combattendo a livello economico la terza guerra mondiale, dove tutti i paesi indebitati usciranno sconfitti sia a livello dei rapporti con gli altri paesi che internamente, quindi prima abbandoniamo il carro della moneta unica, prima possiamo tornare a combattere economicamente ad armi pari con il resto dell’europa.

  9. Massimiliano Deidda

    Il crollo delle borse dell’estate del 2011 nasce da una crisi di fiducia nella capacità di alcuni Stati di onorare l’aumento del debito sovrano (titoli di stato) contratto per finanziare le misure di contrasto alla crisi del 2008, ma il meccanismo di trasmissione all’economia reale passa ancora una volta per il sistema bancario. La svalutazione dei titoli di debito sovrano dell’area euro nel portafoglio delle banche centrali e degli istituti di credito, dentro e fuori il continente europeo, comporta infatti una svalutazione del patrimonio delle banche, un peggioramento delle condizioni di accesso al credito interbancario e, dunque, una minore capacità di raccogliere fondi per concedere credito. Si profila il rischio di un nuovo credit crunch che, unitamente alle manovre restrittive di finanza pubblica messe in atto per il risanamento dei bilanci, nell’UE e negli USA, destinate a deprimere ulteriormente la domanda aggregata , comporta, quasi certamente, una nuova fase di prolungata recessione delle maggiori economie mondiali: il double deep diventa un evento certo. La nazionalizzazione di un istituto di credito per Stato membro, può essere messa in agenda?

  10. SAVINO

    E’ un buon punto di partenza. Le banche devono cominciare ad abbassare l’asticella delle aspettative e devono resettare tutta la loro attività extracreditizia. L’Europa, di fatto, ci ha accollato tutti questi sacrifici soltanto per salvarle (e per nessun altro motivo, purtroppo). Ora, mostrino senso di responsabilità. E’ tempo di far emergere chi ha concretamente vissuto al di sopra delle proprie possibilità. E di fargli pagare il conto della crisi.

  11. BOLLI PASQUALE

    Le Banche italiane devono rassegnarsi perchè se il troppo è troppo, a pagare il conto della crisi non sono soltanto famiglie e imprese ma tutto il sistema. Le Banche con il loro atteggiamento di sufficienza, egoismo ed arroganza hanno perso credibilità nei confronti di tutti: risparmiatori ed imprese. Come si può dimenticare il cappello in mano che gli imprenditori, da sempre,hanno dovuto avere per elemosinare credito per le loro aziende pagando,poi, se fortunati, tassi da usura? E dove mettiamo i depositanti che sono ricompensati,quasi, a tasso zero? Ignoriamo i danni che le banche, hanno creato con la loro finanza creativa? Gli imprenditori come possono dimenticare che la soppressa commissione sul massimo scoperto è stata,con grande fantasia, prontamente sostituita con la commissione sulla disponibilita dei fondi, che crea guasti peggiori? Oggi, che le Banche accusano carenza di liquidità,diminuzione di clienti e sofferenti bilanci,con chi dovrebbero prendersela? Nell’attualitità economica-finanziaria,speculatori e vittime sono tutti sullo stesso carro. E, finalmente, Il famoso dito medio di Cattelan riguarda tutti: famiglie imprese e Banche!

  12. Andrea

    Dott. Baglioni, prima dello scoppio della bolla immobiliare, gli USA crescevano grazie all’effetto della leva finanziaria. Abbiamo capito che questa leva però, se troppo carica, finisce con lo spezzarsi, ma negando l’accesso al credito per contro, può essere anche sotto utilizzata. L’attività principale bancaria è quella di custodire i diversi risparmi, e di poterli prestare a chi ne fa domanda: questo è il vero motore di un’economia. Da quando invece le Banche hanno iniziato a venir meno alla loro principale attività, erogare prestiti, spingendossi in attività più creditizie per i propri bilanci, si è assistito ad un disequilibrio. Questo almeno è la mia opinione. Leggendo e sentendo di una crisi di liquidità delle nostre banche, le vorrei chiedere: se il paccheto pensionistico fosse gestito dalle banche, questo creerebbe una maggiore liquidità per loro. Cosa ne pensa di una simile soluzione? Credo inoltre che ognuno di noi debba essere libero di decidere quando vuole smettere di lavorare e con una gestione privata, questo punto può diventare trattabile. L’unico punto negativo però, sarebbe una minor liquidità per le casse statali….

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