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DEBITO A VALANGA, IL SENTIERO SI STRINGE

La dinamica del debito pubblico italiano può resistere a un aumento anche persistente dei tassi sul debito. Ma non a una severa recessione, a una fuga degli investitori dal debito né alla mancanza di trasparenza sulle strategie future di rientro dal deficit. La crescita, però, non può prescindere da riforme e politiche di riduzione della spesa. Con lo spread tra Btp e Bund a quota 500 si stringe il sentiero per ogni governo che verrà dopo Berlusconi.

Con lo spread tra Btp e Bund a dieci anni che supera i 500 punti base si fa strettissimo il margine di manovra per ogni esecutivo che verrà dopo il governo Berlusconi. Eppure le opinioni sulle conseguenze dell’aumento dello spread e del costo del debito pubblico sembrano divergere anche in questi giorni drammatici.
All’inaugurazione del Salone del Motociclo la presidente di Confindustria Emma Marcegaglia ha tuonato: “Con lo spread a 500 punti base non si va avanti”. Pochi giorni prima, però, la Banca d’Italia – in uno dei box del Rapporto di stabilità finanziaria (pag. 14) – aveva riportato i risultati di esercizi di simulazione condotti dall’istituto utilizzando come scenario di base le più recenti stime ufficiali del Governo, quelle derivate dal Rapporto sulla stabilità finanziaria. Tali esercizi davano risultati molto meno allarmanti, mostrando che “anche qualora i tassi di interesse all’emissione dovessero aumentare significativamente, il rapporto debito/Pil calerebbe o si stabilizzerebbe”. Nel Rapporto si spiegava poi che “significativamente” andava interpretato come “un incremento di 2,5 punti percentuali rispetto al quadro di base”. E poiché durante la tribolata estate 2011 il rendimento lordo dei Btp decennali era aumentato di circa 1 punto percentuale, il quadro era descritto come un’ipotesi estrema. In ogni caso, i media hanno interpretato la frase come se volesse dire che si può andare avanti anche con lo spread alle stelle.
Dobbiamo lasciarci rassicurare dalla Banca d’Italia o farci spaventare da Confindustria?

L’ARITMETICA DELL’EFFETTO VALANGA RIVISTA

La prima cosa da dire è che l’ipotesi discussa dalla Banca d’Italia come estrema solo pochi giorni fa è una approssimazione non troppo lontana a quello che si è verificato sui mercati nei giorni immediatamente precedenti alla messa in minoranza del governo Berlusconi in Parlamento nella votazione sul Rendiconto dello Stato. Quando lo spread Btp-Bund sale oltre i 500 punti base e il tasso sui Btp a dieci anni supera i 7 punti percentuali, vuol dire che il costo sul nuovo debito pubblico da emettere è salito rispetto al suo livello di giugno per più di 2 punti percentuali. Il minimo che si può dire è che non siamo ancora ai 2,5 punti percentuali considerati nell’esercizio estremo della Banca d’Italia, ma siamo certamente più vicini a quello che al ritorno alla normalità di prima dell’estate. Diventa dunque importante verificare le ipotesi sottostanti l’esercizio della Banca che, non dimentichiamolo, non poteva che incorporare i numeri ufficiali forniti dal governo nella sua nota ufficiale di fine agosto.
Al riguardo è utile prendere come punto di partenza una tabella ricavata proprio dai dati del ministero dell’Economia.

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Dati in punti percentuali

2011

2012

2013

2014

 
Avanzo/Pil (“-“ vuol dire deficit)

-3,8

-1,6

-0,1

+0,2

Avanzo primario/Pil

1,0

3,7

5,4

5,7

Interessi sul debito /Pil

4,8

5,3

5,5

5,5

Debito/Pil

120,6

119,5

116,4

112,6

Debito/Pil (con spread a 500)

120,6

119,9

117,5

114,9

 
Dati di scenario
Costo medio del debito

4,0

4,4

4,7

4,9

Crescita del Pil

0,7

0,6

0,9

1,2

Inflazione (*)

1,4

1,9

1,8

1,8

La tabella indica che, con una crescita del Pil un po’ inferiore all’1 per cento annuo e un’inflazione non lontana dal 2 per cento, dal 2013 sarà raggiunto il pareggio di bilancio e il debito pubblico scenderà fino a 112,6 punti di Pil nel 2014. Se le manovre produrranno l’effetto sperato, il risultato sarà raggiunto nonostante un aumento del costo degli interessi sul debito pubblico (che saliranno da 4,8 a 5,5 punti di Pil) e grazie a un avanzo primario – l’eccedenza delle entrate sulle spese vive dello Stato – crescente nel tempo e pari a ben 5,5 punti percentuali nel 2013.
Qui entra in gioco l’aumento dello spread, il potenziale effetto valanga. Cosa succede al relativamente roseo quadro di riduzione del deficit e del debito se aumenta il costo del debito pubblico? La risposta dipende dalla rapidità e dall’entità nella trasmissione dell’aumento del costo del nuovo debito sul costo medio del debito. Se, come riporta il Financial Times, nel 2012-13 sarà complessivamente rinnovato un quarto del debito pubblico, si può provare a calcolare quale sarebbe l’aggravio di costo se il nuovo debito fosse tutto finanziato al 7 per cento. Avremmo così che il nuovo debito (un quarto del totale) costa il 7 per cento mentre il “vecchio” debito esistente costerebbe (si legge nella tabella) rispettivamente il 4,4 per cento nel 2012 e il 4,7 per cento nel 2013. Si tratta (anche questa) di un’ipotesi estrema: il nuovo debito emesso nel 2012 e nel 2013 non sarà composto solo di Btp a dieci anni, ma anche – anzi: soprattutto – da titoli a più breve scadenza, che hanno dunque tassi di interesse più bassi in misura variabile, per circa 1-1,5 punti.
Nell’ipotesi estrema qui descritta e con rinnovi concentrati nel 2012, il costo medio del debito pubblico salirebbe al 5 per cento (=0,25*7+0,75*4,4) nel 2012 e al 5,3 per cento (=0.25*7+0,75*4,7) nel 2013. Con la crescita e l’inflazione indicate nella tabella, il debito pubblico diminuirebbe nel 2012 di 0,7 punti percentuali nel 2012, da 120,6 a 119,9 punti percentuali del Pil, e di 2,4 punti percentuali (da 119,9 a 117,5) nel 2013. Dunque un rientro più lento, ma non un’esplosione del debito.

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LA FRAGILITÀ DEL QUADRO ROSEO

Le preoccupazioni di Confindustria non sono però immotivate. Il primo elemento da considerare è il cosidetto cliff risk, il rischio che improvvisamente, dopo ripetute riduzioni del suo valore, un titolo dotato di un’elevata valutazione (ad esempio, un rating a doppia o tripla A) si riduca al rango di titolo spazzatura nello spazio di poche ore. È al cliff risk – se esiste davvero e, se esiste, quando si manifesterà – ciò a cui pensano gli investitori di tutto il mondo quando vedono che lo spread Btp-Bund supera i 500 punti base. Hanno paura che il margin requirement – il margine richiesto alla banca che cede temporaneamente titoli del debito pubblico italiano dalla controparte che acquista in una transazione sul repo market – diventi così elevato da provocare una fuga massiccia dai titoli del debito pubblico italiano. È ciò che è successo ai titoli irlandesi nel 2010. Se ciò avvenisse anche per l’Italia, lo spread crescerebbe ancora e rapidamente.
Una seconda questione riguarda la crescita. Se, come già discusso, l’Italia entrasse in una grave recessione (diciamo, con crescita del Pil a meno 1 per cento e inflazione al +1 per cento), allora il denominatore del rapporto debito/Pil aumenterebbe poco e il rapporto debito/Pil ritornerebbe ad aumentare già nel 2012.
Ma l’interrogativo più importante riguarda la reale possibilità pratica di raggiungere gli avanzi primari indicati nella tabella. A tutt’oggi, 20 miliardi dell’aggiustamento fiscale implicato dalla manovra sono affidati alla cosiddetta delega fiscale-assistenziale di un governo che fino a che è stato in carica si è puntualmente ricompattato nell’ottenere la fiducia del Parlamento, ma non ha mai saputo “trovare la quadra” quando si trattava di adottare provvedimenti legislativi che adeguassero la spesa – soprattutto quella sociale – al mutato quadro macroeconomico e alle mutate dinamiche demografiche.
Nell’insieme Confindustria e Banca d’Italia danno voce a due esigenze solo apparentemente opposte. Banca d’Italia incarna l’esigenza istituzionale di mantenere un approccio pragmatico nella valutazione dei conti pubblici italiani. Confindustria dà voce alla parte del paese che sente l’esigenza di non allentare la presa sulle riforme e sulle politiche di riduzione della spesa. Per uscire dalla crisi serve il concerto di tutte e due queste voci.

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L’INCERTEZZA CHE FRENA LA RIPRESA

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UN’AGENZIA PER UNA GIUSTIZIA EFFICIENTE

  1. Paolo Sbattella

    In un momento particolarmente delicato per l’Italia per la tenuta dei conti pubblici gli Italiani devono essere i primi a sostenerla, come qualcuno ha già detto, con la sottoscrizione dei titoli del debito pubblico e, anche e non solo temporaneamente, con il sostegno alle imprese italiane acquistando prodotti “Made in Italy”. Occorre alla nostra nazione una maggiore coesione sociale e la consapevolezza che “facendo gruppo e sistema” si può uscire più rapidamente da questi momenti. Ciò deve avvenire anche da parte di una nuova classe politica italiana che sappia essere guida affidabile di una nazione come quella italiana che ha tanti primati e qualità che non sono sfruttati e valorizzati come dovrebbero.

  2. Florian

    E’ di un’ora fa la notizia che LCH ha alzato i margini di garanzia sui titoli di stato italiani. Lo spread alle 12:18 è completamente fuori controlloa 561 punti.Il timore contenuto nell’articolo si sta materializzando? Che Dio salvi l’italia.

  3. Rinaldo Sorgenti

    Ricordiamo tutti le incredibili speculazioni dei soliti grilli (o cicale) del panorama politico che invadono TV e giornali per riuscire a liberarsi del loro peggiore incubo esistenziale: Berlusconi. La forzatura di Ferrara e Bechis di lunedì avrebbe prodotto, stando alle parole di costoro, un miglioramento delle Borse e una riduzione dello spread ! Oggi, dopo l’iniziativa di Berlusconi con il Colle ha prodotto esattamente l’opposto, su tutti i mercati europei e pare anche negli USA. Continueranno ad ubriacarci di fesserie? Dimostrino coerenza, senso civico ed amore per il Paese e si dimettano tutti dalle loro poltrone e vadano a lavorare, finalmente nel privato. L’apprezzamento non potrà che essere generale e sincero.

  4. pidi

    E’ da agosto che sto notando come le organizzazioni finanziarie internazionali e la stampa anglosassone risponda ad ogni tentativo fatto dall’Italia di riprendere quota con attacchi alla nostra economia. Gli ultimi sono: – Berlusconi dice che il controllo del fondo lo abbiamo chiesto noi, le borse salgono, ma poche ore dopo il NYtimes sconfessa dicendo che è stato imposto, le borse crollano – Berlusconi di dimette, le borse partono bene, poi l’LHC declassa i nostri titoli, le borse crollano. Strane coincidenze…

  5. Maurizio

    LA Grecia è molto più vicina di quanto dicono? Forse sì, ma sicuramente tutta la stampa, forse giustamente, non lo dice. Dopo manovra di agosto e maxi emendamento ancora ci dicono che ci vorranno lacrime e sangue ma nessuno ci dice cosa vuol dire, Stento a credere che tutti i problemi dell’Italia possono essere risolti o almeno ridotti dai pannicelli caldi previsti dal maxemendamento. Mi sembrano misure cosi blande da essere inutili. C’é un economista che ci può dare una idea di cosa ci aspetta nei prossimi anni? Quanti statali a casa? Quanti maxpensioni ridotte? Quali saranno le vere misure da prendere che per rimetterci in carreggiata? Ancora nelle previsioni si parla di crescita quando per me è chiaro che le nuove misure lacrime e sangue, almeno per il 2012 e 2013, ci porteranno in recessione.

  6. Daniele Ferrante

    Secondo me il problema risiede nella doverosa separazione che dovrebbe esistere tra il mercato speculativo e quello finalizzato all’investimento. Come punto di partenza ritengo che per limitare le speculazioni che portano gravissimi danni all’economia reale bisognerebbe avere un mercato in cui i titoli siano “numerati” in modo che non solo si sappia ogni possessore quanti ne possiede ma quali, in questo modo si può predisporre la non negoziabilità dello stesso titolo per X giorni dall’ultima operazione. Tale procedimento ridurrebbe sensibilmente le movimentazioni speculative e gli arbitraggi. Per quanto riguarda lo stato esso non può essere dipendente dal mercato nelle proprie valutazioni, deve decidere il tasso d’interesse che può sostenere, e che è giusto proporre, ed emettere i titoli ad un prezzo fisso invece che con un asta. I titoli di stato possono essere comprati anche con tassi decisamente più bassi rispetto a quelli di mercato, non per errata valutazione del rischio, ma per evitare rischi maggiori. E’ inutile indebitarsi a tassi così alti, non si fa altro che aumentare l’instabilità del paese.

  7. Piero

    Stiamo parlando della speculazione finanziaria, si scommette se il paese puo’ collocare il proprio debito e se sì a quali tassi, non si dice se può pagarlo, perchè ciò per i mercati per il caso Italia e’ scontato. Se anche fossero fatte manovre rigorose da Monti non cambierebbe nulla, il debito pubblico al 120% per i mercati è troppo elevato per un paese che non ha più la leva monetaria, perchè i mercati finanziari non attaccano il Giappone con il 200% debito/PIL? Si capisce bene che non è il governo, la lobby finanziaria italiana si trova in sintonia con Monti, per mantenere i vantaggi della finanza sull’economia reale, ciò sarà sicuramente l’ultimo tentativo prima di gettare la spugna che secondo me è inevitabile l’uscita dall’euro se Draghi non annuncia la monetizzazione di parte del debito pubico dei paesi euro o la Germania in alternativa non accetta la sostituzione dei debito sovrani con gli eurobond.

  8. Angelo

    La finanza malata ci attacca per il debito dunque mi pare elementare la soluzione: ridurlo fortemente e la soluzione c’è senza tanti sofismi solo che nessuno ne parla perchè si vuol fare macelleria sociale come in Grecia per far un favore agli avvoltoi della finanza che, dopo aver provocato la crisi, ci attaccano con interessi precisi (parlo di signoraggio ,poteri forti USA ,massonerie del dollaro ecc.ecc.): 1-debito pubblico italiano = 1900 miliardi di euro circa , 2-valore del patrimonio privato dei beni in possesso dei superricchi = circa 4000.miliardi di euro 3-ammontare del patrimonio pubblico italiano= 1800 miliardi di euro 4-faccio presente inoltre che l’Italia ha riseve auree tra le più ricche d’Europa (e oggi il valore dell’oro è aumentato di molto). Anche senza essere economisti si evince da ciò che basterebbe un mix di prelievi su questi tre fattori per ridurre o addirittura azzerare teoricamente il debito togliendo ogni alibi alla finanza malata. Invece si preferisce colpire le pensioni che rendono peraltro solo 9 miliardi e non risolve nulla se non generare altre iniquità sulle solite pecore pedine.

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