La regolamentazione dei servizi professionali si giustifica solo se garantisce un’elevata qualità dei servizi. Obiettivo che non è stato raggiunto con le attuali normative. Ecco perché si discute di liberalizzare le professioni. L’evidenza empirica dimostra che limitare il potere degli operatori presenti sul mercato non ha un impatto negativo sulla qualità. Gli ordini, se vogliono sopravvivere, devono tornare al loro compito originario. E servono misure per stimolare la concorrenza e garantire una rigorosa selezione degli aspiranti professionisti.
Il ministro Severino alla sua prima audizione al Senato ha spiegato che il governo non ha in preparazione alcun provvedimento per la cancellazione degli ordini professionali e che liberalizzare non vuole dire consentire a chiunque di fare l’avvocato o il professionista e non deve voler dire abbassare la qualità dei servizi offerti. È confortante che il ministro abbia individuato, in tema di professioni, il nodo centrale: quello del rapporto tra regolamentazione e qualità. In effetti, la regolamentazione dei servizi professionali si giustifica solo se garantisce un’elevata qualità dei servizi. L’attuale normativa non sembra aver consentito il raggiungimento di quest’obiettivo, minando la ragione d’essere degli ordini, assimilabili in molti casi a corporazioni che offrono servizi agli associati e non, come dovrebbero, trasparenza e garanzia di qualità ai consumatori.
LIBERALIZZAZIONI E QUALITÀ DEI SERVIZI PROFESSIONALI
Liberalizzare e limitare il potere degli operatori presenti sul mercato ha un impatto negativo sulla qualità, come sostengono i difensori dello status quo? Non necessariamente. È infatti plausibile pensare che il peso (economico, ma non solo) imposto dalle barriere all’entrata nelle professioni liberali sia differente tra individui. Persone la cui famiglia è già presente nella professione possono godere, per esempio, di un accesso privilegiato grazie alla possibilità di ottenere informazioni, know-how e rete di clienti dai familiari. La presenza di barriere all’ingresso, perciò, non necessariamente migliora la qualità media dei servizi offerti sul mercato. Leffetto dipende infatti dalla correlazione tra la produttività individuale e il costo imposto dalle barriere all’ingresso.
Per chiarire il concetto si consideri il seguente esempio: si supponga che gli individui che sopportano i costi minori di ingresso nella professione (per concretezza si pensi ai familiari dei professionisti) siano in media professionisti più capaci degli altri; in questo caso, l’introduzione delle barriere all’ingresso fa sì che il mercato selezioni in maniera naturale gli operatori migliori, perché le barriere ostacolano in modo particolare l’ingresso degli operatori scarsamente produttivi. Al contrario, però, se i migliori professionisti sono coloro che sopportano i costi maggiori di ingresso nella professione, la presenza (o linnalzamento) delle barriere scoraggia proprio costoro, riducendo la qualità media degli operatori presenti sul mercato. Pertanto, da un punto di vista teorico, l’effetto di una liberalizzazione che riduce i costi di ingresso ha un effetto ambiguo sulla produttività degli operatori di mercato e sulla qualità dei servizi offerti. L’analisi empirica diventa quindi indispensabile per comprendere il ruolo delle restrizioni all’ingresso nelle professioni liberali.
EFFETTI DELLA RIFORMA BERSANI SULLA QUALITÀ DEI SERVIZI LEGALI
Per valutare gli effetti della riforma Bersani (decreto-legge n. 223 del 4 luglio 2006, convertito dalla legge n. 248 del 4 agosto 2006) che ha abolito le tariffe minime, il divieto di pubblicità e il patto di quota lite, abbiamo raccolto i dati relativi agli avvocati iscritti agli albi della Regione Veneto dal 2000 al 2009. (1) Gli albi sono pubblici e contengono, tra le altre informazioni, il nome, il cognome, l’età, la data di abilitazione e l’indirizzo dello studio di ciascun iscritto. Ciò ha permesso di costruire un indice individuale che misura la frequenza del cognome nell’albo (rispetto alla frequenza nella provincia).
I dati sono stati successivamente legati alle informazioni derivanti dai Centri per l’impiego (elaborate dall’Osservatorio di Veneto Lavoro) che registrano lo status di ciascun lavoratore e permettono, in particolare, di identificare i lavoratori dipendenti della Regione. Poiché è fatto espresso divieto agli iscritti agli albi di essere impiegati come lavoratori dipendenti (tranne in casi specifici facilmente individuabili), è stato possibile individuare coloro che lasciano la professione identificando gli iscritti che appaiono, in un secondo momento, come lavoratori dipendenti.
I risultati dell’analisi mostrano che la probabilità di uscire dalla professione è associata negativamente alla frequenza del cognome nell’albo (relativamente alla frequenza del cognome nella provincia). Tale associazione diventa tuttavia più tenue dopo la riforma del 2006, come mostra la figura 1a nella quale la linea relativa al periodo post riforma è più piatta rispetto alla linea relativa al periodo che precede la riforma: ciò indica che avere un cognome più frequente riduce di meno, dopo la riforma, la probabilità di uscita. La riforma ha quindi ridotto l’impatto delle connessioni familiari sulla capacità degli individui di operare sul mercato, favorendo così una migliore selezione tra gli avvocati.
Figura 1: Effetti della riforma Bersani
1a Connessioni familiari e flussi in uscita 1b Produttività e flussi in uscita
dalla professione prima e dopo la riforma dalla professione prima e dopo la riforma
L’evidenza indica che anche la composizione dei flussi in uscita dalla professione è stata profondamente influenzata dalla riforma del 2006. Negli anni precedenti la riforma, a parità di età, esperienza nella professione, residenza e frequenza del cognome, gli individui che lasciavano la professione provenivano con maggiore probabilità dalle fasce elevate della distribuzione (condizionata) del reddito. Dopo la riforma, accade esattamente il contrario (figura 1b). Poiché il reddito a parità di età, esperienza nella professione, residenza e frequenza del cognome può fornire una misura indiretta della qualità dei servizi professionali, l’analisi empirica indica che dopo la riforma la selezione tra gli avvocati sembra operare meglio: escono dalla professione soprattutto i professionisti meno preparati e produttivi, mentre prima avveniva esattamente il contrario.
In conclusione, nel periodo precedente la riforma, la regolamentazione della professione forense non raggiungeva lo scopo di proteggere i consumatori, risolvendo o almeno mitigando il problema delle asimmetrie informative. Per avere successo nella professione forense nel periodo che precede la riforma non era necessaria (solo) la competenza, ma anche (soprattutto?) lappartenenza a un network in grado di dare accesso, o in alternativa di scalfire, le posizioni acquisite dagli operatori già presenti sul mercato. Nel caso del settore dei servizi legali la deregolamentazione non ha dunque inciso negativamente sulla qualità. Tutt’altro.
LIBERALIZZARE? ADELANTE, CON JUICIO
Per evitare equivoci, è bene sottolineare che, in generale, non si sta auspicando una completa deregolamentazione dei servizi professionali. Ma gli ordini, se vogliono sopravvivere, devono tornare al loro compito originario di custodi della qualità dei servizi prestati e non di custodi del potere di mercato dei loro iscritti. La realizzazione di questo obiettivo deve poggiare su misure (basate sulle caratteristiche specifiche di ciascun settore) che liberalizzino la condotta dei professionisti che operano nel mercato, allo scopo di stimolare la concorrenza, abbinate a una rigorosa selezione degli entranti basata unicamente sulla qualità. In che modo?
Un paio di esempi: innanzitutto ridurre i conflitti dinteresse negli esami di abilitazione. È opportuno limitare il potere di intervento dei professionisti già presenti sul mercato nella preparazione e nella correzione dei compiti.
Dove ciò non sia possibile, occorre rendere casuale l’identità dei correttori come già stabilito nel 2004 per il settore dei servizi legali dall’allora ministro della Giustizia Roberto Castelli. Inoltre, è necessario separare i ruoli di regolamentazione e rappresentanza in capo agli ordini, in base al principio secondo il quale il regolamentato non può coincidere con il regolamentatore.
(1) I dettagli dellanalisi sono riportati nello studio Liberalizing Professional Services: Evidence from Italian Lawyers, IGIER Working Papers 372.
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SAVINO
Il servizio migliora da sè nel momento in cui si concede più spazio a nuove generazioni ipercompetenti. Quindi ancor prima dell’aspetto qualitativo c’è quello strettamente occupazionale, con l’urgente necessità di liberare il mercato delle professioni dalle mille barriere all’entrata che impediscono ad un promettente giovane, magari proveniente da una famiglia meno abbiente, di svolgere qualsiasi arte liberale. Resto dell’idea che, per far ciò, occorra abolire del tutto gli ordini, ridotti solo ad una irrecuperabile corazza corporativa, decisa ad rimpinguare conti correnti personali e a continuare a sfruttare il talento dei giovani appena usciti dall’Università facendo fare loro gratis il lavoro sporco. La pacchia è finita anche per queste persone, che spesso dovrebero solo tornare sui banchi ad aggiornarsi anzichè continuare a fare gli azzecacarbugli contemporanei.
Francesco
Nella grande maggioranza dei paesi l’esame di stato non esiste. A che serve infatti, se non limitare l’accesso? Non è un caso che se lo possano permettere i figli di altri professionisti, che mentre tentano e ritentano esami impossibili (dopo magari 10 anni di università) possono nel frattempo permettersi di stare in studio da papi. Ha senso? Se uno è laureato sa alcune cose. Se è bravo avrà clienti, altrimenti no. Punto.
Alessandro Pagliara
Vorrei solo chiedere all’autore se un Ordine Professionale, oggi associato ad un elitè raccomandata che comanda (in genere i Presidenti degli Ordini non sono i migliori, correggetemi) e che quindi per il solo motivo di possedere relazioni importanti si autoreferenzia sul mercato (specie quello dei pubblici appalti), possa essere qualcosa di positivo. Il solo esame di stato garantisce qualità? Che cosa differenzia un Ingegnere laureato da uno che ha superato l’esame di stato. Faccio fatica a credere che ci sia di più del semplice versamento annuale di tasse. Diverso sarebbe far accedere ai progetti man mano più importanti gli studi professionali che hanno dimostrato con lavori precedenti la capacità di individuare soluzioni complesse. Vedi gli appalti di grandi opere effettuabili solo da aziende che negli anni precedenti hanno preso appalti di importo e difficoltà pari o leggermente inferiori. Ma, consentitemelo, al parlamento e al governo più che i migliori ingegni ci sono quasi sempre i maggiori conflitti di interesse. Ed in questo neanche il Prof. Monti senza voler invertire la rotta.
avv. Maurizio Perelli
Il sistema delle sanzioni all’avvocato per svolgimento d’attività in conflitto di interessi comprende sia sanzioni disciplinari che penali. Perciò non si devono prevedere, nella legge professionale, una serie di attività quali causa di divieto di iscrizione all’albo per incompatibilità astratta (nonchè di cancellazione dall’albo per incompatibilità astratta). Tale prevenzione (“a monte”) dei conflitti di interessi attraverso il concetto di incompatibilità è liberticida poichè, impedendo di iscriversi o di rimanere iscritto all’albo forense, limita irragionevolmente, con violazione del principio di proporzionalità, l’esercizio del diritto di libertà del lavoro professionale. Tale ultimo diritto -peraltro riconosciuto dalla Costituzione e dall’art. 15 della C.E.D.U.- viene così sacrificato sull’altare della prevenzione del conflitto di interessi, senza che tale prevenzione possa considerarsi una “ragione imperativa di interesse generale”, soprattutto alla luce della tolleranza che la regolazione dell’accesso alla professione forense mostra con riguardo a talune situazioni di evidente conflitto di interessi (ministri, sottosegretari, commissari governativi, giudici di pace, mediatori)
Marco
Mi sembra ci sia una grande confusione tra il mondo REALE delle professioni e il mondo TEORICO. Un conto sono i notai ed i farmacisti, un conto gli avvocati, gli architetti ecc. E’ bene verificare con dati reali alla mano quali sono le professioni che godono spesso di privilegi ingiustificati a carico della collettività e quali sono diventati delle fatiche a perdere di giovani colti e preparati che il più delle volte non arrivano allo stipendio minimo di sopravvivenza. Vogliamo abolire l’esame di stato? Altra sciocchezza gravissima! Semmai bisognerebbe renderlo ben più severo e qualificante e fare in modo che solo i migliori possano esercitare..non consentire a chiunque di giocare al ribasso con servizi scadenti e che mettono a rischio il consumatore. Le professioni intellettuali vanno migliorate, non trasformate in un far west senza regole. Credo ci sia molta dannosa demagogia in alcune proposte politiche sulla riforma delle professioni.
Alfonso Quintarelli
L’articolo e la “ricerca” che lo supporta sono la più evidente dimostrazione di come si possa fare disinformazione. Si principia con un assioma (lo stesso cognome sarebbe indizio certo di parentela) che è indimostrato e fuorviante, perchè, questa si è nozione “empirica” diffusa, che così non è: ad es. “Quintarelli” in Veneto è ad un tempo cognome sia un famoso produttore di Amarone che di un Avvocato e professore universitario di Venezia. Si prosegue con lo stesso “metodo scentifico” dando per “certe” quelle che sono solo indimostrate petizioni di principio: prendendo fior da fiore, gli autori con sicumerica certezza affermano: “il reddito a parità di età, esperienza nella professione, residenza e frequenza del cognome può fornire una misura indiretta della qualità dei servizi professionali, lanalisi empirica indica che dopo la riforma la selezione tra gli avvocati sembra operare meglio: escono dalla professione soprattutto i professionisti meno preparati e produttivi, mentre prima avveniva esattamente il contrario”. Quali riscontri oggettivi? Nessuno. Sono all’evidenza assunti privi di qualsiasi supporto scentifico, null’altro che “opinioni”.
Praticante
Spesso il professionista ” dante pratica ” è un figlio di professionista e “magari” la pratica non l’ha nemmeno svolta tanto le firme le faceva mamma/papà. Il risultato si vede..ma chi lo vede?l’idraulico,il barbiere,il barista?questi subiscono danni senza saperlo. La Pres. cons. naz. ordine CDL che rappresenta anche il CUP denuncia che l’ordine si è già avviato in un processo di riforma interno e difende le professioni argomentando con una tesi legata alla giovane età dei professionisti. Forse la Presidentessa dovrebbe leggere qualche articolo che correla l’età d’abilitazione alla frequenza di presenza del cognome alla professione! Non credo che l’esame di stato debba essere abolito, ma credo che l’apprendistato ed il praticantato debbano essere legati senza discrezione delle parti. Come fa un 24/25/26 enne scegliere di lavorare gratis o a discrezione del dominus con un rimborso spese che se va bene copre le spese viaggio dare il meglio di sè nell’apprendere la professione senza il papi a mantenerlo?Se sono laureato in Consulenza del Lavoro perchè non posso farlo e devo invece svolgere 2 anni di pratica come per un diplomato(2013) e poi esame di stato? Viva l’equità!
gianluca
Concordo con le conclusioni dell’articolo, ma l’analisi è in gran parte inadeguata. Si nota, infatti, che chi scrive non ha una visione chiara della professione forense oggi. La riforma Bersani ha inciso ben poco, sul piano pratico. Dire, poi, che i meno meritevoli abbandonano di più la professione perchè vengono individuati nella fascia bassa di reddito più bassa è una corbelleria enorme. Infatti il fenomeno è da imputare al fatto che molti giovani avvocati, avanti a un mercato chiuso, a fronti dell’impossibilità di accedere ad incarichi remunerativi, hanno preferito lasciare la professione per motivi di sopravvivenza. Non è affatto vero che gli avvocati più produttivi di reddito siano più preparati. Se fosse così, d’altra parte, significherebbe che il mercato funzionerebbe già bene, e la vostra analisi non avrebbe alcun senso. La vera liberalizzazione sta nel rimuovere le rendite di posizione che strozzano questo mercato, ma non vasta eliminare le tariffe obbligatorie, servono anche nuovi strumenti, anche finanziari, per consentire a chi provenga da una famiglia con poche connessioni di poter competere.
Claudio Silvino
Come spesso avviene in Italia, si tende ad affrontare il dibattito sulla concorrenza nelle libere professioni più in maniera ideologica che empirica, fronteggiandosi con argomentazioni astratte, lontane dalla realtà del mercato. In questo contesto fa piacere leggere un articolo basato su dati concreti, sia pure molto parziali e di incerta interpretazione; tuttavia condivido appieno, anche sulla base della mia quasi quarantennale esperienza di ingegnere libero professionista, le conclusioni (o la premessa?) cui giungono gli autori: le tariffe minime non garantiscono necessariamente la qualità della prestazione e gli ordini professionali nella maggior parte dei casi, sono molto timidi e reticenti nella loro funzione di garanzia per la società. Ciò premesso, è necessario distinguere tra professioni ed analizzare senza pregiudizi il variegato mondo dei servizi professionali con riferimento alleffettivo accesso al mercato ed al binomio qualità/costo, cosa impossibile in 1200 caratteri .
Marcantonio
Non vi sono ragioni serie per non sopprimere gli ordini (tutti), liquidandoli con decreto legge e nominando un liquidatore (meglio, una commissione di tre liquidatori) incaricata di provvedere -entro sei mesi – a conferire il patrimonio ad un’associazione professionale che, eventualmente, le categorie interessate potranno formare. Il DL prevederà anche l’annullamento di ogni e qualsiasi apporto finanziario dello Stato, in denaro o in natura (alcuni ordini hano sede in edifici del demanio, per i quali dovrebbero pagare un affitto). Il DL prevederebbe tra l’altro la decadenza dalla professione dei membri dell’ordine (ed, in seguito, dell’associazione professionale) che non rilascino fattura per le prestazioni professionali da loro eseguite (vedi caso comunissimo dei medici che si fanno, quasi sempre pagare in nero o estorcono onorari altissimi, per compensare l’imposizione fiscale, senza che l’ordine sia mai intervenuto, fino a prova contraria).
l. scalzo
Se fosse vero che gli ordini sono i custodi del merito, e quindi della qualità della prestazione, dovremmo aspettarci che i presidenti , locali e nazionali , venissero eletti per meriti scientifici o professionali. L’ elezione dei più capaci avvanteggerebbe ,inoltre, i meno capaci che potrebbero così liberarsi di un concorrente scomodo. Cosa che invece non accade. Le elezioni non avvengono sulla base di curricula ma avvengono per potentati e rete di amicizie con l’unico scopo di tutelare le proprie posizioni personali. Sarebbe utile verificare quanto rende economicamente ( in termini di maggiori incarichi professionali) essere componente di un consiglio nazionale o locale.
Cristiano Cincotti
Forse l’Autore, nel considerare i dati, tralascia di valutare che la libera professione è sovente un “parcheggio” per chi, laureato in giurisprudenza, non intendendo svolgere l’attività di avvocato ed essendo alla ricerca di un posto di lavoro, per ragioni sociali non vuole presentarsi al pubblico come disoccupato. Ebbene, ho il triste sospetto, confortato dai dati sull’occupazione, che la riduzione del numero di travasi dall’albo professionale al lavoro dipendente sia dovuta unicamente all’assenza di assunzioni, e non già alla maggior attrattiva della libera professione conseguente alla liberalizzazione.
Franz
E queste sarebbero le liberalizzazioni di Monti? Se sono queste vuol dire che in italia si riesce a bloccare le pensioni di 1000 al mese e viene ritenuto giusto, mentre rimane impossibile eliminare ordinamenti professionali che non servono a nulla e che impediscono solo alla gente di lavorare al di fuori del Rotary Club in cui si dilettano la sera.
stefano monni
Credo che l’obiettivo di aumentare la qualità dei servizi offerti dai liberi professionisti possa essere svolta adeguatamente dal mercato ed, in particolare, dl consumatore che più di tutti potrà valutare effettivamente tale qualità. D’altra parte chi può negare che le barriere all’entrata da parte dell’attuale sistema delle professioni limitano la possibilità ad individui meritevoli di entrare nel sistema e quindi la possibilità per il consumatore di poter scegliere tra diversi professionisti qualitativamente all’altezza?
Rosario Cucinotta
Un breve commento: 1) non vi é alcuna evidenza empirica per la quale “limitare il numero degli operatori presenti sul mercato non ha un impatto negativo sulla qualità”: studi sulla professione forense hanno, di contra, dimostrato che il numero delle cause cresce col crescere del numero degli iscritti all’albo, essendo evidente che ogni nuovo iscritto tende a “crearsi” del nuovo contenzioso; quanto all’impatto sulla qualità strictu sensu si invitano gli autori a leggersi gli interventi dei vertici della Cassazione sul peggioramento della qualità della professione forense in dipendenza dell’aumentato numero degli Avvocati; 2) i dati elaborati non sono statisticamente corretti: anche a voler prescindere dalla scarsa attendibilità dei parametri usati (frequenza di cognomi nell’albo), lo studio dovrebbero fornire, per avere un minimo di affidabilità, i dati assoluti degli iscritti nel periodo esaminato: è evidente che se il cognome Rossi ricorre 20 volte su 200 iscritti all’albo nel 2000, rappresenta il 10% degli iscritti, mentre se ricorre 30 volte su 400 iscritti nel 2010, pur essendo aumentato il numero ei Rossi, la loro percentuale sugli iscritti è diminuita.
Ai@ce
In merito a dei lavori di ristrutturazione commissionati ad un architetto, ho scoperto, mio malgrado, che l’ordine non giudica la qualità del lavoro ma solo la deontologia professionale dell’iscritto. A me è capitato ex post di dover chiedere una revisione del lavoro effettuato da un architetto ma ho scoperto che l’apposita commissione (fatta da architetti del medesimo ordine provinciale) non chiama anche la “parte lesa”, se vogliamo chiamarla così, ma giudica solo in base alle prove esibite dal proprio iscritto sulla qualità del lavoro eseguito e conformità alla parcella. A questo punto chi ha avuto il danno, ovvero è rimasto insoddisfatto del lavoro, non ha mezzi per dimostrare quanto in suo diritto se non a mezzo avvocato e conseguente contenzioso in sede civile. Per i medici ci sono diversi forum che commentano l’attività del singolo professionista nel suo campo, per architetti, ingegneri ed avvocati, invece, nulla. Capisco liberalizzare ma al comune cittadino in questo modo rimarrebbe sempre il cerino acceso sulla professionalità di chi avrebbe di fronte.