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PENSIONI, UN BUON INIZIO. MA C’È ALTRO DA FARE

 Per quanto ancora avvolti nelle nebbie dell’informazione incompleta, i provvedimenti strutturali in materia previdenziale presentati dal governo appaiono come una buona partenza per un generale riordino di cui si sentiva davvero il bisogno. Il blocco temporaneo dell’indicizzazione dovrebbe essere riassorbito in un ulteriore provvedimento strutturale riguardante l’istituzione di un meccanismo di indicizzazione autenticamente contributivo.

I documenti (ufficiali e ufficiosi) in circolazione sulle misure introdotte dal governo in materia previdenziale presentano lacune e contraddizioni, oltre a non apparire del tutto allineati con le dichiarazioni del ministro Fornero nella conferenza stampa di domenica 4 dicembre. Forse i provvedimenti devono ancora essere limati, sebbene le linee guida sembrino delineate al punto da consentire qualche riflessione.
Giova distinguere i provvedimenti “strutturali”, costituenti la riforma vera e propria, da quelli “contingenti” che il governo ha deputato a fare cassa. Riguardo ai primi, il pezzo forte concerne i requisiti d’accesso ai trattamenti pensionistici. Al riguardo, occorre ulteriormente distinguere il metodo utilizzato dalla sua implementazione, cioè dal ‘mero’ settaggio dei parametri.

IL METODO

Il metodo di lavoro usato dal governo è pienamente condivisibile. Dopo le controriforme del 2004 e del 2007, è finalmente recuperata la flessibilità mediante il ripristino di una fascia d’età pensionabile che dal 2018 sarà unica per tutti i lavoratori, indipendentemente dal genere e (si spera) dalla categoria di appartenenza. In tal modo, si pone fine a un indecoroso congegno di “quote e finestre” che, oltre a confliggere con la scelta contributiva del 1995, faceva dell’Italia un caso unico (di bizantinismo e opacità) nel panorama europeo. La fascia d’età pensionabile riguarderà non solo i lavoratori totalmente “contributivi”, entrati in assicurazione dopo il 1995, ma anche quelli entrati in precedenza.

LA SCELTA DEI PARAMETRI

La fascia pensionabile prescelta, da 66 a 70 anni, è oggettivamente molto severa a confronto con quella, da 61 a 67 anni, assunta dal sistema contributivo svedese. Eppure quest’ultimo è unanimemente giudicato, negli ambienti internazionali, come un caso di previdenza eccellente. La severità potrà dare risultati, anche importanti, nel breve-medio periodo, ma sarà inutile a regime perché, in ambiente contributivo, il minor numero di pensionati generato dalla posticipazione del pensionamento è compensato dal maggiore importo unitario delle prestazioni.
Sulla scelta avrà pesato l’impegno preso con l’Europa dal precedente governo, che purtroppo, anche in tale circostanza, ha dimostrato di non conoscere né apprezzare il modello contributivo e le sue proprietà. Ma al governo dei professori non sarebbero mancati i mezzi per argomentare che il rilancio del modello avrebbe consentito risultati importanti anche evitando scelte da “primi della classe”. Oltretutto, a età così elevate dovrà corrispondere una maggiore spesa per oneri “da lavoro usurante”.

LE NUOVE PENSIONI D’ANZIANITÀ

È anche mancata la volontà di eliminare del tutto la pensione d’anzianità che tuttavia, sotto la denominazione di “pensione anticipata”, sarà accessibile con una maggiore anzianità contributiva e sarà assoggettata a una sorta di correzione attuariale se richiesta prima dei 63 anni d’età.
In forma nuova, il pensionamento anticipato sopravviverà perfino a regime, quando sarà accessibile a 63 anni da chi può vantare non più una contribuzione elevata (basterà il requisito minimo di 20 anni) bensì un elevato importo della prestazione spettante. È come dire: chi ha versato di più può andarsene prima. Si perde in tal modo ogni legame “storico” con l’usura derivante da un’attività lavorativa prolungata.
È pur vero che, nel nuovo stile, la pensione anticipata sarà del tutto innocua perché interamente calcolata col metodo contributivo utilizzando il coefficiente di trasformazione dell’età di pensionamento prescelta. Ciò nonostante, si tratta di un oggetto previdenziale anomalo di cui si potrebbe fare a meno.

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IL BLOCCO DELL’INDICIZZAZIONE

Riguardo al temporaneo blocco dell’indicizzazione sulle quote di pensione eccedenti il doppio del trattamento minimo, non c’è dubbio che lo strumento sia efficace al punto da toccare la squisita sensibilità del ministro del Welfare Elsa Fornero. Per sua consolazione, giova ricordare che, in passato, le pensioni sono già state “bloccate” anche in presenza di tassi d’inflazione più elevati degli attuali.
Mi piacerebbe che l’odierna necessità fosse l’occasione per affrontare finalmente un argomento da me tante volte sviluppato in scritti che ad Elsa Fornero non saranno tutti sfuggiti. Ecco di che si tratta.

COME INDICIZZARE LE PENSIONI CON METODO CONTRIBUTIVO

Tutti ormai sanno che il sistema contributivo è paragonabile a una banca virtuale che intesta a ciascun iscritto un conto corrente fruttifero sul quale sono prima depositati i contributi e dal quale sono poi prelevate le annualità di pensione. Sulle “giacenze” matura un interesse sostenibile, pari alla crescita nominale del Pil. Gli interessi maturati prima del pensionamento concorrono alla formazione del montante contributivo e perciò consentono di liquidare una pensione superiore a quella generata dalla mera restituzione dei contributi versati. Gli interessi che maturano dopo (sulle giacenze ogni anno costituite dalla parte non ancora rimborsata del montante) sono “oscurati” dal modello contributivo nostrano.
In realtà, gli interessi in parola possono avere due destinazioni:
– possono essere interamente devoluti ad aumentare la pensione nel tempo, cioè a “finanziare” l’indicizzazione;
– possono essere devoluti a tale scopo solo in parte, mentre la parte residua è pagata in anticipo per consentire la liquidazione di una pensione più generosa. L’anticipazione è realizzata con una speciale tecnica finanziaria che la incorpora nel coefficiente di trasformazione. Pertanto, prende la forma di una maggiorazione di quest’ultimo.

Nel primo caso, la pensione è indicizzata al Pil “pienamente” (cresce al medesimo tasso). Nel secondo lo è “parzialmente”, cioè è perequata in base alla parte non anticipata della crescita nominale del Pil.
È allora possibile dire che il sistema contributivo mette a disposizione un interessante trade off tra liquidazione e indicizzazione: quanto più generosa si vuole la prima, tanto più avara deve essere la seconda. La sostenibilità del sistema è comunque assicurata perché la scelta riguarda la destinazione dell’interesse e non la sua dimensione che resta uguale alla crescita del Pil.

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LA SCELTA SVEDESE E L’ERRORE ITALIANO

Per evitare il rischio di indicizzazioni inferiori all’inflazione, l’anticipazione non dovrebbe superare una previsione prudente della crescita in termini reali. Ma la scelta di andare oltre può attrarre paesi con orizzonti temporali limitati, che puntano a incassare nel breve termine il consenso garantito dalla liquidazione di pensioni generose e trascurano i rischi di insostenibilità sociale che una simile scelta produce nel lungo periodo.
Dopo un lungo dibattito, la Svezia fece la scelta, consapevole benché imprudente, di anticipare l’1,6 per cento. Finora, l’impegno a indicizzare le pensioni al netto dell’anticipazione è stato onorato anche quando ciò ha comportato la riduzione del loro potere d’acquisto.
Paese mediterraneo, l’Italia fece scelte pragmatiche, non contemplate dalla “ortodossia contributiva”. Da un lato, accettò la maggiorazione dei coefficienti di trasformazione derivante da un’anticipazione dell’1,5 per cento. Dall’alto, rifiutò un’indicizzazione coerente delle pensioni contributive estendendo a esse l’indicizzazione ai prezzi già in vigore per quelle retributive.
Tale anomalia ha una spiegazione politica che non basta a giustificarla: il governo Amato aveva da poco sganciato le pensioni dai salari e il governo Dini non volle rimettere in discussione un risultato faticosamente raggiunto e foriero di risparmi di spesa rilevanti.

GLI AUSPICI

L’odierno contesto è molto diverso e la stessa Europa ci chiede ora di dimensionare l’indicizzazione alla crescita del Pil. Perciò il momento è propizio per ridisegnare organicamente il meccanismo di indicizzazione delle pensioni contributive. Sull’esempio svedese, il nuovo meccanismo dovrebbe essere esteso alle pensioni retributive per evitare indicizzazioni dicotomiche nella fase transitoria.
Considerate le previsioni di crescita, nell’immediato il risparmio di spesa potrebbe essere analogo a quello derivante dalla mera sospensione dell’indicizzazione ai prezzi. Grande sarebbe però il vantaggio di rimediare definitivamente a una grave anomalia che dura da diciassette anni.
Purtroppo, il documento divulgato dal governo non mostra intenzioni del genere. Anzi, vi si accenna a una fuorviante indicizzazione al Pil procapite. Se la crescita della produttività dovesse diventare il nuovo rendimento sostenibile offerto al sistema, allora dovremmo in primo luogo usarla per capitalizzare i montanti degli attivi. In secondo luogo, dovremmo usarla per indicizzare le pensioni non prima di averla diminuita dell’1,5 per cento se tale dovesse restare la quota anticipata nei coefficienti di trasformazione.

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FRAU MERKEL E GLI INTERESSI TEDESCHI

24 commenti

  1. Alessandro

    Ho letto con interesse l’articolo, ma mi rimane un dubbio che nè qui nè da altre parti ha trovato una risposta. Il dubbio è il seguente: innalzando l’età pensionabile, non si rischia di bloccare ancora di più l’accesso al lavoro dei giovani? E questo non potrebbe causare mancanza di crescita economica? So che questa riforma era inevitabile, ma nello stesso tempo mi chiedo se non possa avere controindicazioni come quella che ho descritto. Cordiali saluti, A.

  2. fulvio gnesda

    Seguo il lavoro della Fornero da un pò di tempo e mi chiedo: cosa è successo ? La riforma presentata è lontana anni luce dal pensiero che si trovava nei suoi scritti. Si parlava di flessibilità di uscita, come è giusto penalizzata qualora anticipata, ma spesso valvola di salvezza per chi perdeva il lavoro e veniva posto in mobilità. Non vi è traccia: perchè ? Non comprendo e non mi adatto.

    Ps. le lacrime, forse, sono dovute al fatto chè è stata costretta non dagli eventi bensì dagli umani a fare qualcosa di esecrabile?

  3. Piero Atzori

    Nel giro di pochi mesi, i nati nel 1952 si sono visti aggiungere 5 anni di lavoro che non avranno riscontro nell’assegno pensionistico e si si sono visti differire di 7 anni la buonuscita. Si dice: per equità intergenerazionale. Spero bene per mia figlia, che cerca lavoro. Ma, adesso, per equità intragenerazionale, si dovrebbero coerentemente sottrarre a tutti i nati nel secondo dopoguerra, prima del 1952, come a quelli del 1952, cinque anni di pensione. Ma prima si riesamini il principio del “diritto acquisito”, che non è Vangelo, per depurarlo dalle incrostazioni del “privilegio acquisito”.

  4. Matteo Capponcelli

    La sostanziale abolizione delle pensioni di anzianità non può essere considerato un provvedimento equo nell’attuale sua formulazione. Non c’è infatti alcun meccanismo che tutela i lavori precoci, ma anzi una regolamentazione punitiva nei confronti degli stessi (quale la loro colpa? non aver studiato a sufficienza?). Trovo assurdo che chi ha iniziato a lavorare a 14/15 anni, magari in fabbrica, se non vuole subire penalizzazioni debba versare 47 anni di contributi. Ritengo che i lavoratori precoci dopo avere lavorato per 41 / 42 anni abbiano dato un sufficiente contributo alla società; può quindi essere incentivata la permanenza al lavoro (magari anche con sgravi contributivi per le aziende), ma non disincentivata l’uscita. L’attuale riforma, sinceramente, la trovo un tentativo neanche troppo elegante di fare cassa nel breve periodo.

  5. GREGORIO LANZAFAME

    Il fatto che gli uomini che hanno una speranza di vita di 5 anni inferiore alle donne devono andare in pensione con una griglia di eta (66 – 70 anni) diversa e che anche l’articolista giudica severa è una violazione del diritto di eguaglianza ed anche una situazione controproducente. Non ho capito se al momento è ancora possibile chiedere la conversione della quota retributiva in contributiva e chiedere la pensione a 63 anni indipendentemente dal numero di anni contributivi.

  6. AG

    Condivido nella sostanza l’articolo, che trovo molto accurato. Penso che il meccanismo adottato dal governo che in sostanza crea una forma nuova di pensione di anzianità (cambiandone il nome) sia conseguenza del primo “difetto” addebitato dall’articolo e cerchi di compensarlo in qualche modo. Condivido che a regime sarebbe meglio ampliare verso il basso l’arco di flessibilità (62-70) anziche (66-70) e rendere il sistema più chiaro, semplice e uniforme. Manca nell’articolo una riflessione sul ruolo dei datori di lavoro nella gestione della “flessibilità”, mentre credo essenziale che anche per loro operi un meccanismo incentivante per mantenere in servizio i lavoratori anziani. Manca anche una riflessione sulla possibilità di un pensionamento part time (mezza pensione e mezzo lavoro fino ai 70 anni con la pensione integrata a 70 anni dai maggiori contributi accumulati e dal migliore coefficiente applicato sulla parte “ritardata” della pensione). Fra i pregi del contributivo c’è anche quello di rendere semplice un tale meccanismo. Concordo assolutamente con quanto asserito in merito all’indicizzazione.

  7. FERDINANDO PICCINI

    In pensione a 66/67 anni . Per equità, la Fornero, dovrebbe introdurre egualmente un obbligo alle aziende a non disfarsi dei dipendenti introducendo, sempre per equità, una forte penalizzazione pari agli anni mancanti al dipendente al raggiungimento della pensione. Se si abolisce la pensione di anzianità con 40 anni di contribuzione, si abolisca anche il prepensionamento, che rappresenta il vero asso nella manica delle Aziende per scaricare le loro ristrutturazioni a carico della collettività.

  8. Marco Di Marco

    Caro Gronchi, nella manovra la flessibilità è realizzata in modo troppo complesso. Nel 2005, avevo proposto l’idea delle quote. Di quella proposta, fu accolto solo il dettaglio dei 97 anni. In realtà, io proponevo che si partisse da quota 97 per arrivare a regime a ‘quota 100’. Proponevo il contributivo per tutti, la parte retributiva sopravviveva come incentivo ad andare in pensione dopo ‘quota 100’. Questo sistema garantisce una fascia d’uscita flessibile di tipo ‘svedese’, come quella che auspichi tu. Basta applicare quota 100 alle pensioni anticipate, con età minima a 61 o 62 anni (cioè, con almeno 39 o 38 anni di contributi) ed età di vecchiaia a 66 o 67 anni (indipendentemente dagli anni di contributi). Poi abolirei, magari solo per le pensioni anticipate e non per quelle di vecchiaia, l’iniquità fra chi ha cominciato a lavorare prima del 1995 e gli altri, applicando alla pensione anticipata il metodo interamente contributivo, con un minimo più alto dell’attuale. Introdurrei eventualmente una parte retributiva pro-rata per chi va in pensione dopo quota 100, per es. 15% di retributivo per quota 101, 20% per quota 102 etc.

  9. LUCIANO GALBIATI

    Con l’abolizione dell’anzianità, tutti in pensione a 67 anni. Padroni, politici e cattedratici di varia natura non hanno di che lagnarsi; il loro ben retribuito lavoro può essere svolto fino a tarda età. Per tutti gli altri un futuro di povertà Mi domando – e domando ai lettori – quale azienda tiene dei dipendenti oltre i 60 anni? Quale mansione lavorativa (ad esclusione di quelle citate) può essere svolta in modo efficiente, performante e sicuro oltre i 60 anni ?

  10. Lettore attento

    Che non sia un modo di garantire maggior equità ma solo per far cassa ed eludere i diritti veramente acquisiti è reso evidente da due clausole della riforma. 1. L’età iniziale di accesso posta a 66 anni. 2. La clausola di salvaguardia (ovvero anche se lavori ben più di 40 anni il tuo massimo di pensione è quello che avresti se lavoravi 40). Una nota sul continuo piagnucolio di media e ministri sul blocco delle indicizzazioni per i pensionati: 1000 euro lordi (o 1400 nell’ultima versione) sono cifre superiori a quelle percepite da molti lavoratori che, oltre ad aver superiori spese, hanno gli stipendi bloccati (qualcuno s’è letto i dati ISTAT sulle retribuzioni?). Non banalmente va ricordato che non sono licenziabili e molti di loro sono ben più giovani e con minor contribuzione di quelli bloccati.

  11. Massimo

    Cosa sarà dei lavoratori licenziati fra il 2008 e 2011? Con l’applicazione immediata della Riforma non penso si pongano gravi problemi di lavorare di più a chi il posto lo può mantenere, ma di mettere in seria difficoltà persone quali vittime incolpevoli di essere disoccupati in una fascia di età critica e che fra ricerca di contratti a termine (dopo i 50 risposte 0), contribuzione volontaria con la liquidazione/risparmi o procedura di Mobilità, maturerebbero 40 anni di contributi in 2-3 anni. Negli ultimi anni molte Aziende hanno intrapreso riorganizzazioni convincendo i dipendenti over 50 prossimi ai 40 anni di contributi a lasciare il lavoro ricorrendo ad incentivi e/o Mobilità d’accordo con i sindacati per salvaguardare altri posti, aprire ai giovani e tutelare gli uscenti (aggancio pensione). Queste persone non sono privilegiate, in attesa di raggiungere i 40 anni devono sostenersi con poco più di 700 € mese per chi ha la Mobilità o la Cassa Integrazione, mentre chi si paga i contributi volontari… Sinceramente non prevedere fasi transitorie sarebbe veramente un’ingiustizia e un ulteriore inasprimento delle condizioni di vita.

  12. Federico Salari

    Qualcuno ha già notato che la riforma è lontana anni luce dal pensiero della Fornero, quale divulgato in numerosi scritti e interventi. Se è vero, come dice anche Gronchi, che le uscite anticipate sono innocue se la pensione viene calcolata per intero con il metodo contributivo, perchè non inserire nella riforma questa facoltà, che rappresenterebbe una equa via di uscita per chi è in mobilità e non può certo resistere senza reddito per almeno altri 6 anni nè arrivare a quota 42? Invoco la parità di trattamento con le donne, alle quali questa facoltà, prevista dall’art.1, comma 9 della legge 243/2004, richiamata nel comma 14 dell’art. 24 del decreto Monti, è concessa. L’eccessiva età minima di 66 anni deve essere modificata e comunque si deve dare la possibilità a chi rinunci volontariamente ai vantaggi del retributivo di andare in pensione con le età attualmente previste, almeno per chi il lavoro lo ha perso e stava aspettando il 2012 e seguenti per andare in pensione. Altrimenti alla fine saranno veramente pochi sfortunati (quelli che non rientreranno nel limite dei 50.000 esentati dalla riforma) a pagare sul serio. E’ una cosa da paese civile?

  13. graziano degan

    Abolendo le pensioni di anzianità molti addetti ai servizi (infermieri, medici ospedalieri, pubblica sicurezza in primis) andranno in pensione dopo i 60 anni. Non pensate che operare in H 24 dopo i 60 anni sia un rischio per l’operatore ma anche per l’utente? Mi riferisco in particolare al personale ospedaliero h 24 (turnisti) che deve rispondere “presto e bene” a situazioni che riguardano la vita o la morte di persone. Non evidenzio poi le problematiche di salute che questi operatori incontrano dopo anni di H 24. P.S. l’attuale legge sui lavori usuranti sembra fatta apposta per non far rientrare il personale ospedaliero H 24 (per questa legge lavorare in un day hospital pediatrico oncologico non è considerato usurante perchè non fai le notti, che sono parametro numerico non raggiungibile dalla stragrande maggioranza del personale ospedaliero). Distinti saluti

  14. Armando Rinaldi

    Caro Gronchi, grazie a Lei e a tutta la compagine de LaVoce che da oltre 10 anni sostenete la necessità di innalzare l’età pensionabile. Grazie soprattutto a nome delle centinaia di migliaia di lavoratori over50 espulsi a livello individuale dalle imprese (quelle che sostengono che bisogna lavorare fino a 70 anni ma ti buttano fuori a 40) e abbandonati a se stessi senza uno straccio di sostegno al reddito. Qualcuno del vostro gruppo pare stia cominciando ad accorgersi del dramma di tanti disoccupati maturi e delle loro famiglie. Credo sia un po’ tardi dato che dei danni collaterali prodotti dalle riforme che avete sempre caldeggiato ve ne siete fragati per anni.

  15. Rossano Zanin

    I lavoratori dipendenti e le aziende pagano molto di più di quello che poi incasseranno i futuri pensionati con 40 anni di contributi. Il problema è che l’Inps paga pensioni a migliaia di lavoratori che hanno versato poco o nulla, non si tratta di qualche milione di euro ma di miliardi di euro (cercate su internet un servizio di Corriere Economia del 27/04/2009 dal titolo” Inps, chi paga le pensioni? Il popolo del call center”). Adesso fior di economisiti che non sanno neanche quanto costa un litro di latte al supermercato, ci stanno raccontando la storia che è necessario lavorare fino a 67 anni senza dirci però che lo dobbiamo fare non per noi ma per migliaia di baby pensionati e pensionati di enti falliti. Nota finale: molti dipendenti hanno lo stipendio bloccato da tre anni, qualcuno se lo ricorda?

  16. sandro

    Patto generazionale? E’ solo una pillola per far digerire il bicchiare amaro. Qualsiasi azienda non credo abbia la convenienza di tenere in azienda un 63 enne scassato e senza alcun stimolo a danno di un 25 enne preparato con entusiasmo e voglias di fare. Ma la si dica chiara far cassa perchè si ritarda nell’erogazione della pensione e in più lo stato continua a incassare la contribuzione di gente che ha già versato 40 anni di contributi: non occorre essere degli esperti o economisti per far certi calcoli.

  17. Ivano Mosconi

    Qualcuno può spiegarmi perché sia stata scelta un’età cosi elevata per quella che, un po’ beffardamente, viene definita pensione anticipata? Con il metodo contributivo l’età di pensionamento dovrebbe essere ininfluente: per più tempo è presumibile riceverai la pensione, più bassa essa sarà. L’unica risposta che mi so dare è che si confida che molti non arriveranno nemmeno all’età minima e lo stato si terrà tutto. La speranza di vita di uno che perde il lavoro a 55 anni e viene buttato in mezzo alla strada non è certamente di altri 25 anni.

  18. Ivano Mosconi

    Vorrei aggiungere qualcosa al precedente commento. Con il sistema contributivo vi è tutto l’interesse a lavorare più a lungo: il problema dell’allungamento dell’età di pensione si sarebbe risolto da solo. Certamente chi avesse perso il lavoro in età avanzata avrebbe chiesto subito la pensione: l’aver tolto questa possibilità sarà di sicuro causa di situazioni drammatiche, che sembrano non interessare nessuno. A chi ha versato qualche centinaio di migliaia di euro lo stato dice “per adesso arrangiati, tra dieci anni inizierò a darti qualcosa”. E’ giusto? A me sembra che si tratti di sacrifici nel senso antico del termine: bisogna immolare una vittima perché gli dei (l’Europa, i mercati..) si plachino. Il governo deve far vedere che non guarda in faccia nessuno, che incide nella carne viva senza preoccuparsi di chi resta colpito. Per questo c’era bisogno di un’esperta come la Fornero?

  19. Vincenzo Zarro

    Sono un pilota commerciale, e desidero approfittare per sollevare una questione per me importante. Sono stato messo in cassa integrazione da Alitalia, ma questa è un’altra storia. Da bravo ultraquarantenne cassintegrato, ho iniziato il mio personale percorso di riqualificazione: ho avuto la fortuna di ritrovare lavoro in Italia, mi è stata data fiducia e ho guadagnato esperienza e gradi che mi hanno permesso di ricollocarmi nel mercato del lavoro. Sono anche stato riassunto a tempo indeterminato da una azienda di trasporto italiana che però poco dopo, per la crisi, ha cessato l’attività. Per continuare il mio percorso professionale sono andato a lavorare per aziende ungheresi, rumene ed ora ucraine. Ovunque mi scontro con i pensionati d’oro della mia categoria, pensionati del Fondo Volo con sistema retributivo, che si avvalgono bellamente del totale cumulo e vengono a lavorare per pochi spiccioli, spesso in nero, srealizzando un vero e proprio “dumping” a carico di chi, come me, non ha altri mezzi di sostegno e dichiara regolarmente, interrompendola, la propria attività lavorativa nei confronti dell’INPS, sospendendo l’erogazioni della CIGS.

  20. AM

    Seguendo i dibattiti alla TV mi sono convinto che il vero problema dell’allungamento dell’età pensinabile sia rappresentato da coloro che perdono il lavoro e che sono costretti ad attendere per anni prima di ricevere la pensione. Si tratta quindi di una parte, forse non preponderante, dei lavoratori interessati dal provvedimento. Non si potrebbe prevedere per questi disoccupati una soluzione ponte offrendo un piccolo sussidio sino all’età pensionabile? Ma forse il Governo ha pensato: “siamo in Italia e i soliti furbi si camuffrebbero da disoccupati per incassare il sussidio e continuare a lavorare in nero”.

  21. Davide Di Laurea

    Si continuano a sottacere le motivazioni di questo nuovo intervento sulle pensioni. o meglio lo si dà per scontato come fosse common knowledge: in IT si spende troppo per pensioni e si va in pensione troppo presto (se così non fosse vi prego di correggermi). Sulle uscite, qui la serie storica dei dati sull’età media effettiva di pensionamento, così ognuno può giudicare la prima anomalia italiana. Dalla lettura della metodologia, inoltre, parrebbe che tra le uscite dalla labour force ci siano anche le uscite “non volontarie”. Sulla spesa per pensioni in percentuale sul pil: cosa succede a quel rapporto una volta reso il numeratore comparabile e omogeneo con i dati degli altri paesi europei? In particolare, andrebbe considerato che le somme, per IT, sono al lordo delle ritenute fiscali, comprendono voci assistenziali (gli assegni di accompagnamento, p.e.) ed includono anche quote di salario differito. Quale è la rappresentazione al netto di queste disomogeneità? Nel “Rapporto sullo Stato Sociale 2010” l’esercizio di rendere i dati comparabili venne fatto: IT è sotto DE ed in linea con UE-15.

  22. francesco pontelli

    E questo sarebbe il Governo dei Tecnici? Vogliono combattere l’evasione diminuendo il circolante e poi inseriscono una tassa sui conti correnti di fatto penalizzando chi usa la moneta elettronica . Ero un acceso sostenitore di Monti e me ne pento amaramente : ora so che per il nostro paese non c’è nessuna speranza .Da Prodi in poi le manovre sono state di circa di 230 Mld di euro il 60% di quei 4oo Mld che la Ue considera necassari per riportare il debito al 100% del Pil da 1.900 a 1.500 Mld. Ma a cosa sono serviti tutti questi sacrifici ? solo a mantenere intatti i flussi di cassa. Se questo è il massimo del prodotto del mondo universitario…c’è da mettersi le mani nei capelli… Francesco Pontelli

  23. Graziano Bachis

    Sono del ’52 e ho 38 anni di contributi, quindi facevo conto di andare in pensione nel 2013. La manovra, prima dei correttivi, mi obbligava a lavorare fino al 2016 avendo maturato 42 anni di contributi. Si è detto che ci sarebbe stata una gradualità, un addolcimento dello scalone, ma sinceramente non vedo nessun miglioramento, visto che si presuppone come necessario il compimento di 64 anni che per me significa comunque stare al lavoro fino al 2016. Ho capito male? Spero di si… Un cordiale saluto Graziano Bachis P.S. D’altra parte vedo anche che le lobbies non devono nemmeno scioperare (hanno chi le protegge in parlamento), mentre io e tanti come me che siamo sempre stati considerati dei super tutelati in quanto lavoratori dipendenti, scioperiamo e manifestiamo issando le bandiere del sindacato e del partito praticamente per nulla.

  24. marco dell'omo

    La brutale riforma delle pensioni contraddice ogni principio di flessibilità e equità, discrimina i lavoratori pubblici, impedisce il passaggio volontario al contributivo di chi ha iniziato prima del 1996, istituisce una sorta di lavoro “forzato” per chi supera i 40 anni ed è costretto nel retributivo, senza vantaggio alcuno, è soltanto l’esproprio dei contributi di una generazione. Per favore, ditelo chiaramente, evitiamo di indorare pillole con argometazioni, a mio modesto parere, del tutto non vere.

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