Il sistema contributivo calcola la pensione moltiplicando il montante dei contributi versati per un coefficiente di trasformazione crescente con l’età al pensionamento. Ne derivano sbilanci fra spesa pensionistica e gettito contributivo. La soluzione svedese.
Autore: Sandro Gronchi Pagina 1 di 5
Sandro Gronchi è stato Professore di Economia Politica presso l'Università di Siena fino al 1986 e alla Sapienza di Roma successivamente. E' stato anche docente presso la Scuola Superiore dell'Economia e della Finanze. In Università del Regno Unito ha svolto programmi di ricerca finanziati dalla Nato e dalla British Academy. Si è occupato di equilibrio economico generale e di teoria del capitale. Da oltre trent'anni, si occupa di conseguenze economiche dei mutamenti demografici, overlapping generations, generational accounting e teoria dei sistemi pensionistici. E' autore di oltre 50 lavori pubblicati in Italia e all'estero. Ha prestato attività di consulenza a istituzioni pubbliche e private tra cui il Ministero del Lavoro, la Ragioneria Generale dello Stato, la Direzione Generale del Tesoro, il CNEL , il Ministero dell'Economia, la Banca d'Italia, il Mediocredito Centrale, la Banca di Roma, il Banco di Sicilia, Capitalia, Unicredit, la Fondazione ENASARCO, MEFOP. E' autore di numerosi interventi su quotidiani e periodici italiani.
Pur di fare cassa, i governi continuano a calpestare i criteri che la perequazione delle pensioni deve rispettare. Le risorse devono arrivare da un’età media al pensionamento più consona al paese col maggior quoziente di dipendenza old age nell’Ocse.
Il sistema contributivo italiano è una rozza approssimazione del modello Ndc varato in Svezia nel 1998. Lacune ed errori impediscono gli scopi per i quali fu scelto. La classe politica sembra inconsapevole e assume provvedimenti ulteriormente peggiorativi.
La pressione contributiva italiana è certamente alta e occorre ridurla. Ma bisogna considerare gli effetti sul montante contributivo. Per compensarli, va prolungata la durata della contribuzione aumentando l’età al pensionamento, spesso ancora troppo bassa.
È stata pubblicata la tabella con i nuovi coefficienti di trasformazione per il biennio 2023‑2024. Grava su di loro la mancanza di trasparenza che li caratterizza fin dai primi passi della riforma Dini. La via maestra è l’aumento dell’età pensionabile.
Mentre annuncia un prossimo riordino complessivo del sistema previdenziale, il governo interviene nella legge di bilancio per il 2023 su indicizzazione e perequazione delle pensioni. Le nuove misure rischiano però di contraddire l’impostazione contributiva.
Il superamento di “quota 102” deve essere l’occasione per rimediare alle inaccettabili disparità che discriminano i lavoratori entrati in assicurazione entro il 1995 da quelli entrati dopo. A tutti occorre garantire la stessa flessibilità in uscita.
Sulle pensioni il governo resta muto, diviso fra chi vuole lasciar cadere Quota 100 e chi chiede misure perfino più generose. Al contrario, i sindacati si sono espressi da tempo con una piattaforma unitaria presentata al ministro Orlando. Analizziamola.
Il sistema contributivo va riformato prima che vadano a regime gli errori e le lacune da cui è afflitto. Un riordino che riguardi la perequazione, i coefficienti di trasformazione e le regole di pensionamento. Ma il rischio è che anche il nuovo governo si limiti a provvedimenti di basso profilo.
La crisi non aiuta i montanti contributivi, già colpiti dalla precarietà del lavoro e dal declino demo‑economico. Vanno corretti gli errori del sistema contributivo, con un calcolo più severo dei coefficienti e l’abbandono dell’indicizzazione ai prezzi.