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LA RISPOSTA AI COMMENTI

Molti commenti lamentano il furto di contributi che il decreto salva‑Italia avrebbe fatto procrastinando l’età di pensione. Emblematico è il caso di quel lettore maschio di 55 anni che ha già contribuito per 37 e dovrà restare fino a 62 quando, dopo una contribuzione totale di 44 anni, potrà ottenere una pensione (prendo per buono il calcolo) pari al 75% dell’ultima retribuzione.


Per verificare se il furto c’è davvero stato nel suo caso, bastano pochi conti. Per semplificarli ancor più, conviene porre uguale a 100 euro l’ultima retribuzione annua che il lettore percepirà a 61 anni. In base all’aliquota del 33%, il suo ultimo contributo sarà allora di 33 euro. I 43 precedenti saranno stati inferiori (anche sensibilmente) perché erano inferiori sia la retribuzione sia (per un tempo non breve) l’aliquota contributiva. Ignorando tutto ciò, e assumendo quindi l’invarianza della retribuzione e dell’aliquota, a 62 anni saranno stati accumulati contributi per complessivi 33 x 44 = 1.452 euro. A quell’età i maschi sopravvivono, in media, fino a 82,32 anni, cosicché la pensione del lettore avrà, presumibilmente, una durata di 20,32 anni. Spalmandovi sopra i contributi accumulati, si otterrebbe una pensione di 1.452 : 20,32 = 71,46 euro.
Ma alla maggior parte degli italiani 82.enni sopravvive una moglie per altri 11,09 anni che valgono, in realtà, quanto 6,65 perché la pensione di reversibilità è il 60% di quella diretta. La durata effettiva della prestazione è allora di 20,32 + 6,65 = 26,97 anni. Spalmando il montante su questo totale, anziché sul solo primo addendo, si ottiene una pensione di 1.452 : 26,97 = 53,84 euro.
Ricordando di aver posto l’ultima retribuzione uguale a 100, si conclude che i contributi possono ‘finanziare’ una pensione pari al 53,84% dell’ultima retribuzione. Il lettore si duole perché ne avrà una pari al 75%.
La ‘morale’ è che non si può volgere lo sguardo solo al passato, cioè tener conto della sola stanchezza accumulata in tanti anni di lavoro. Bisogna anche guardare al futuro, cioè agli anni per i quali la pensione potrà essere percepita.
A regime, lo schema contributivo calcolerà la pensione in modo da garantirne l’equivalenza coi contributi versati, qualunque sia l’età di pensionamento prescelta. Nell’attesa di quel giorno, l’equivalenza può essere trovata aumentando l’età o decurtando la pensione. Il decreto salva‑Italia ha scelto di andare più nella prima direzione che nella seconda. Lo scrivente avrebbe preferito il contrario.
Altri commenti esprimono il timore che il sacrificio dei padri, chiamati a lavorare più a lungo, non giovi ai figli per i quali diventa più difficile trovare occupazione. La preoccupazione ha un fondamento nel medio periodo, specie finché la crescita non potrà riprendere. Ma la crescita va ‘aiutata’ aumentando la capacità delle imprese di penetrare sui mercati internazionali. Uno dei modi per farlo e di ridurre il cuneo fiscale che separa il salario disponibile dal costo del lavoro. Non va dimenticato che del cuneo è in gran parte responsabile l’aliquota previdenziale del 33% (la più alta del mondo) e che di quest’ultima non si può fare a meno anche a causa delle pensioni di anzianità.
Infine, viene da taluni manifestata una preoccupazione opposta, e cioè che l’aumento dell’età di pensione possa generare ‘disoccupazione senile’ se le imprese adotteranno politiche di turn over per rimpiazzare lavoratori troppo anziani ad alto salario, e che il rischio possa essere aggravato dall’annunciata riforma ‘liberale’ del mercato del lavoro. Occorre allora che la riforma sia ancor più liberale favorendo la completa eliminazione del salario di anzianità generato dalle residue forme di automatismo e, più in generale, il riavvicinamento della retribuzione alla produttività di cui ciascuno è capace.

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10 commenti

  1. FERDINANDO PICCINI

    Dal Suo commento noto che richiama un esempio di calcolo da un mio commento, precedente. Ai Suoi conti mi permetto di aggiungere: -Non tutti i pensionati, purtroppo, vivono sino a 82 anni,così come le mogli sino a 92,pertanto nel concetto assicurativo di mutualità, l’assegno pensionistico così cessato, va a favorire e a compenso di chi vive più a lungo. -Inoltre il “tesoretto di 1452, viene eroso anno dopo anno ,pertanto sul residuo maturano gli interessi per 20 anni ,che possiamo calcolare tra il 3% ed il 6% annuo ai tassi di oggi (ricordo che i BTP decennali rendono oggi il 7%) aumentando così l’ammontare del “tesoretto” -Le compagnie di assicurazione , che non sono enti di beneficienza, considerano l’èta media di sopravvivenza degli uomini a 79 anni e le donne a 84 anni -Lei consisera alta l’aliquota del 33% ma è quella che noi accantoniamo.per avere le pensioni. In Germania è del 19% ,quindi l’accumulo è minore e questo giustifica i 67 anni per avere accesso alla pensione , avendo accantonato meno. Ecco perchè ricorrono alla pensione privata, pagata con l’ammonatre ,di quello che noi “accantoniamo”per il TFR e che loro non hanno.

  2. paolo

    Condivido l’introduzione del sistema contributivo per tutti, mi sarei spinto ad introdurlo in modo secco e non pro rata, In questi tempi di emergenza nazionale introdurre il sistema contributivo per tutti da subito e non pro rata produrrebbe risparmi da subito e non a lunga scadenza. D’altra parte il sistema retributivo è stato un metodo di calcolo della pensione valido negli anni 70 e 80 quando si cresceva a tassi del 5 / 6% e la vita media era di 72 anni e la natalità alta, ora quelle pensioni sono sproporzionate specie quelle più alte. Quindi mettere mano su questo che oggi sembra un grande privilegio non è un peccato. Inoltre, se mi posso permettere, sarebbe necessario introdurre una contribuzione straordinaria a chi già gode di pensione calcolata con il metodo retributivo per la parte eccedente € 35.000 lordi con un’aliquota progressiva, questo renderebbe più equo il distacco tra chi già è in pensione e chi ci deve andare inoltre introdurre un tetto alle pensioni di € 200.000.

  3. piero

    Nell’emendamento diffuso ieri il Governo ha aperto in via eccezionale una chance alternativa per chi ha iniziato a lavorare regolarmente entro il 1977, raggiungendo quindi entro la fine del 2012 i 35 anni di contributi: chi rientra nel caso potrà lasciare il lavoro a 64 anni, senza attendere i 66, a regime per gli uomini dal 2012. Ma questa unica via eccezionale è ancora molto penalizzante per coloro che hanno iniziato a lavorare ancora qualche anno prima e che alla fine del 2012 avranno raggiunto 38 o 39 anni di contributi, dovendo però poi attendere i 42. PROPOSTA EMENDATIVA: sempre in via eccezionale prevedere due uscite alternative: con 35 anni entro il 31.12.12 pensione a 64 anni con 38/39 anni entro il 31.12.12 pensione a 62 anni (nel mio caso sarebbe nel 2014). Penso che la variazione sarebbe a saldi invariati considerando i maggiori anni di lavoro e di versamenti a fronte di un minimo anticipo pensionistico ( circa 1/1,5 anni); inoltre si tratta di una platea già ridotta in quanto parecchio interessata a piani di mobilità e di uscite con i fondi dei bancari e altri. Cordiali saluti Piero

  4. Salari Federico

    Sig. Gronchi, lei scrive: “A regime, lo schema contributivo calcolerà la pensione in modo da garantirne l’equivalenza coi contributi versati, qualunque sia l’età di pensionamento prescelta. Nell’attesa di quel giorno, l’equivalenza può essere trovata aumentando l’età o decurtando la pensione. Il decreto salva‑Italia ha scelto di andare più nella prima direzione che nella seconda. Lo scrivente avrebbe preferito il contrario.” Io sono d’accordo con lei, anche perchè in questo modo si sarebbero mantenute ferme ( o quasi) le legittime aspettative di coloro che erano alla soglia della pensione e che ora, oltre alla decurtazione per l’applicazione del contributivo pro rata, debbono aspettare troppi anni, con evidente ingiustizia. A me questa storia non va giù: si invoca la stabilità normativa in materia previdenziale e poi si aumentano in modo indiscriminato le età, che possono essere ancora aumentate fra qualche anno. La possibilità di uscita anticipata con penalizzazioni sul quantum doveva essere lasciata come norma a regime per tutti. E’ una riforma squilibrata e ingiusta. Prevedo contenziosi e referendum abrogativi. Cordiali saluti.

  5. Roberto 52

    Non trovo giusto che non si sia data la possibilità alle persone del ’52, ’53 e simili di andare in pensione secondo i tempi precedentemente previsti con l’applicazione del sistema contributivo su tutti i contributi versati durante la carriera lavorativa. In questo modo il pensionato riceverebbe solo quanto versato e non farebbe torto a nessuno. Per le donne è già in vigore (fino al 2015) una norma analoga ed a regime, se non mi sbaglio, basteranno solo 20 anni di contribuzione con una età anagrafica di 63 anni. Mi sembra che non avere previsto questa opzione sia una ingiustizia gratuita all’interno di un provvedimento che nel passato non è mai stato così severo.

  6. Bruno

    Ho provato a leggere il testo di modifica del decreto su un giornale on line. Sembra arabo! Difficile da capire, anche con più di una laurea. Avrei una domanda su interpretazione autentica. Leggo sui gionali due versioni diverse: A) Possibilità per chi ha iniziato ha lavorare regolarnente entro il 1977, raggiungendo quindi entro il 31 Dicembre 2012 i 35 anni di contributi, di andare in pensione a 64 anni, senza attendere i 66 anni a regime dal 2012 per gli uomini e dal 2018 per le donne. B) Gli uomini che nel 2012 raggiugono quota 96, potranno andare in pensione a 94 anni, quota 96 solo in base alle vecchie norme prima delle riforme. Quidi, deduco, la versione sub B), varrebbe solo per in nati nel 1952. Altra domanda: come si devono interpretare gli anni o mesi che via via si aggiungeranno con la famosa speranza di vita? Non è chiaro.

  7. Piero A.

    Anche con la piccola correzione riguardante i nati del 52 solo se dipendenti del settore privato, l’equità rimane una sorta di chimera. Sarei molto interessato a sapere perché si sono discriminati i dipendenti pubblici del 1952. Dopo l’approvazione delle misure, prevista per oggi, occorrerà cercarla questa benedetta equità. Occorre una TAC che indichi le pensioni ingiustamente privilegiate e sopratutto i cumuli di pensioni e stipendi. Il prof. Gronchi può dare una mano?

  8. Federico Salari

    La facoltà di opzione per il contributivo non è stata lasciata neanche come residua via di uscita agli sfortunati che non riusciranno a rientrare nel numero dei beneficiari delle esenzioni di cui all’art. 24, comma 14 del d.l.201/2011. E’ una vergogna, tenuto anche conto che per le esenzioni sono stati previsti 5 miliardi dal 2013 al 2019. Non penso che con l’opzione si sarebbe speso di più e, comunque, la riduzione delle prestazioni al posto dell’aumento folle delle età di pensionamento sarebbe stata certamente più equa e più accettabile, specialmente, ripeto, per coloro che il lavoro lo hanno perso e non possono certamente reggere 5,6 o 7 anni senza reddito, ammesso che la normativa resti stabile per un così lungo perdiodo di tempo ( la riforma Prodi è stata emanata solo 4 anni fa, nel 2007). E’ una riforma da stato totalitario, non da stato democratico.

  9. Roberto52

    In questi giorni si è chiarito che il passaggio ‘pro quota’ al contributivo non potrà portare ad una pensione superiore a quella calcolata con il retributivo sterilizzando di fatto i contributi versati dopo i 40 anni. Dall’anno prossimo si chiederà a chi ha avuto una vita contributiva ‘piena’ di versare due anni e svariati mesi di contribuzione totalmente a fondo perduto. In parte questo era già operativo con la ‘finestra mobile’ dell’anno scorso, ma riguardava un solo anno, pochi utenti ed inoltre il non versare i contributi molto spesso era non rilevante rispetto alla data del pensionamento visto che con le quote erano richiesti 35 o 36 anni di contrbuti. Con le nuove regole invece se non si versano gli oltre 42 anni (41 se femmine) non si matura il diritto alla pensione. Questa imposizione, fatta a chi non puo’ liberamente decidere magari per il contributivo , mi sembra francamente intollerabile. La sig.a Fornero ha definito, a ragione, ‘barocche’ le finestre, ma questo fatto come si puo’ definire ? Quanto meno un sopruso che riguardando i contribuenti piu’ virtuosi è particolarmente odioso.

  10. marco1052

    mi sembra che la risposta confermi quanto rilevato dai precedenti commentatori; siamo stati espropriati della libertà di utilizzare i contributi.Personalmente ritengo che sia liberale soltanto un sistema che consenta di pensionarsi anche a 40 anni con una pensione adeguata a tale giovane età. Lo Stato non deve preoccuparsi se poi a 65 o pià anni la persona potrà rivendicare l’assegno sociale… si preoccupa di persone vissute di crimini o nullafacentio o lo eroga lo stesso l’assegno? La riforma Fornero è la UNIVERSAL CASERMA PRUSSIANA della previdenza (Alfieri,Vita)

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