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RICAPITALIZZAZIONE DELLE BANCHE: NON SPARATE SULL’EBA

Sono state molte le critiche rivolte alla European Banking Authority nei suoi pochi mesi di vita. Prima sugli stress test giudicati inefficaci, ora sulla ricapitalizzazione delle banche che provocherebbe una consistente stretta creditizia. Ma l’autorità di controllo propone il rimedio, non è la responsabile del problema. I giudizi negativi sull’operato dell’Eba sono dettati da interessi di parte più che da nobili preoccupazioni per il futuro dell’economia europea. Proprio quando la tempesta dei mercati richiederebbe una risposta in termini di maggiore integrazione.

Nei suoi primi mesi di vita la European Banking Authority è stata oggetto di aspre critiche. Prima gli stress test (15 luglio) sono stati giudicati inefficaci; ora la richiesta – confermata venerdì scorso – di ricapitalizzare le banche europee (portando l’asticella al 9 per cento) viene accusata di innescare un consistente credit crunch in Europa e altrove. (1) Si tratta a nostro avviso di critiche sbagliate: come spesso accade alle autorità di controllo, chi propone il rimedio rischia di essere scambiato per il responsabile del male. Vediamo singolarmente le principali critiche.

GLI STRESS TEST DI LUGLIO ERANO “INTRINSECAMENTE ERRATI”

Molti analisti hanno giudicato gli stress test troppo tenui, perché non prevedevano esplicitamente un default della Grecia. (2) In realtà i test dell’Eba hanno dato un contributo fondamentale di trasparenza, visto che per la prima volta il mercato ha avuto, per ogni banca, il dettaglio delle esposizioni creditizie (per paese, tipo di debitore, duration e altro ancora) e dei costi di provvista (nello scenario inerziale e in quello di stress).
Nei tre giorni successivi alla pubblicazione, i prezzi azionari hanno reagito a questi dati: le banche oggetto di test sono cresciute di prezzo più delle altre. Di più, gli extra-rendimenti delle singole azioni sono spiegabili, per un buon 50 per cento, con alcuni semplici indicatori di profittabilità e resilienza ricavati dai risultati del test: il capitale di alta qualità disponibile, l’aumento dei costi di provvista e delle perdite su crediti nello scenario avverso, il tasso di copertura delle sofferenze. (3)
L’importanza dei costi di provvista non sorprende, dato che le banche europee hanno enormi funding gap (differenze tra prestiti e raccolta al dettaglio) che le rendono molto vulnerabili ai tassi di mercato. In questo senso, i risultati del test avevano dato risultati positivi in termini di capitale, molto meno in termini di profittabilità. (4) L’esercizio dell’Eba è stato dunque efficace nel mettere a nudo un tallone d’Achille di molte banche europee: l’eccessiva dipendenza dal funding all’ingrosso. (5)

I TEST DELL’’EBA SONO STATI MENO EFFICACI DI QUELLI DELLA FED

Certamente i test statunitensi del 2009 (“Scap”) sono stati più efficaci nel rassicurare il mercato. Qui i critici dell’Eba sembrano marcare un punto: se gli investitori hanno creduto ai risultati, perché il panico non è passato? Perché è stato necessario soccorrere Dexia, che poche settimane prima aveva ottenuto un certificato di sana e robusta costituzione? Perché solo tre mesi dopo l’Eba ha dovuto effettuare un nuovo mini-stress test basato su ipotesi più semplici e più severe?
Proprio il confronto con lo Scap aiuta a capire. L’amministrazione Usa avallò ai massimi livelli i risultati dei test, imponendo alle banche deboli di ricapitalizzare rapidamente, fornendo i fondi ove necessario e chiarendo al mercato che era pronta a farlo di nuovo. I governi europei sono stati poveri di impegni precisi e ancora oggi perseverano nell’errore. Il Consiglio di fine ottobre e le successive dichiarazioni di alcuni governi dell’Eurozona non mostrano una reale volontà di sostenere le banche (dunque la credibilità degli stress test, nemmeno di quelli, più severi, di ottobre) con un’adeguata disponibilità di denaro pubblico.

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L’EBA INSISTE AD AUMENTARE IL CAPITALE IGNORANDO I RISCHI DI CREDIT CRUNCH

Cosa limita la capacità delle banche di prestare a tassi ragionevoli? Non l’Eba, ma il virtuale congelamento del mercato delle obbligazioni bancarie. Nel 2011 le banche europee hanno collocato 413 miliardi di dollari di titoli non garantiti, cioè i due terzi dell’importo in scadenza. Anche considerando il contributo dei covered bond, resta un buco di circa 144 miliardi di dollari. L’anno prossimo Morgan Stanley prevede passività in scadenza per circa 700 miliardi di euro: una cifra da brividi se si pensa che tra giugno e ottobre (vedi figura) le banche hanno fatto fatica a collocare 20 miliardi al mese.

Fonte: Morgan Stanley

Dunque il credit crunch c’è già e può essere fermato solo se le banche riescono a tornare sul mercato del funding a costi accettabili. All’Eba se ne sono accorti, tanto da aver recentemente dichiarato che “il fatto che per ora soltanto le nostre misure di rafforzamento patrimoniale siano state approvate è per noi motivo di reale preoccupazione”. (6) Del resto, già nel primo comunicato con cui si annunciava la ricapitalizzazione delle banche europee si parlava espressamente della necessità di introdurre “misure aggiuntive” per evitare “una spirale di deleveraging forzoso e il conseguente credit crunch, che colpirebbe l’economia reale”.
Per l’Eba le “misure aggiuntive” non si esauriscono nel capitale. L’Autorità ha chiesto con forza al Consiglio di promuovere anche un sistema di garanzie paneuropeo sulla provvista bancaria e di fornire un massiccio supporto ai paesi periferici per spezzare il circolo vizioso tra rischio bancario e rischio-paese.  Solo la ricapitalizzazione è stata approvata, e l’Eba non ne è certo contenta. Un’architettura concepita con tre pilastri viene costretta a reggersi su un piede solo: per quanto?

LA RICAPITALIZZAZIONE PROMOSSA DALL’EBA È ASSURDA E VA CANCELLATA

Le prime sei banche statunitensi hanno più capitale di quelle europee: il Tier 1 ratio è 13,2 per cento contro il nostro 12,1 per cento (che diventa 11,4 per cento se si guardano le prime dodici, per tenere conto della maggiore frammentazione). Se poi si guarda la leva non ponderata, come spesso fanno gli analisti, alcuni grandi istituti dell’Unione hanno un patrimonio pari al 2-3 per cento dell’attivo.
Vi sono dunque due emergenze. In primo luogo ripristinare la fiducia per rimettere in moto il funding e non pesare sugli impieghi. Quindi, ma sempre entro pochi mesi, ristrutturare i bilanci e far ripartire la profittabilità. Un’ordinata azione di ricapitalizzazione è parte integrante del processo, insieme alle altre misure raccomandate dall’Eba. Limitarsi a ignorare la necessità di capitale aggiuntivo lascerebbe le banche a secco di fondi all’ingrosso e non ridurrebbe il rischio di un deleveraging traumatico.
In questo quadro, qualcuno accarezza l’idea di sgonfiare gli attivi ponderati (migliorando la capitalizzazione) senza ridurre il portafoglio crediti. Sembrerebbe la panacea, ma è una strada rischiosa. Per quadrare il cerchio le banche dovrebbero “ammorbidire” i loro modelli di risk management interni e farseli approvare dalle autorità locali entro pochi mesi. In questo modo i medesimi attivi richiederebbero meno capitale, dunque il capitale di prima sembrerebbe di più. Agli occhi delle vigilanze nazionali questo piano ha un suo fascino, perché consente di mostrare una maggiore patrimonializzazione (ma per quanto, prima che il trucco venga scoperto?) e insieme di evitare brusche contrazioni del credito. Qualcuno, si dice, ha già fatto così: perché noi no? Il motivo è semplice: una simile concorrenza al ribasso tra le autorità dei singoli paesi sarebbe il primo passo per azzerare (dall’interno) due decenni di regolamentazione bancaria rivolta a costruire un terreno di gioco uniforme tra banche europee.

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PIÙ INTEGRAZIONE PER USCIRE DALLA CRISI

L’attuale tempesta dei mercati (talvolta arbitrariamente presentata come una conseguenza dell’euro) richiede una risposta in termini di maggiore integrazione, non certo un ritorno agli egoismi nazionali. Uno schema di garanzia paneuropeo per le banche, un “big bazooka” contro la speculazione sul debito sovrano che non si dimostri ogni volta un fucile a tappo, una vigilanza più forte a livello Eba. Questi i passi da fare, se qualcuno – tra Parigi e Berlino – fosse capace di muoversi.
Le critiche all’Eba sono dettate da interessi di parte più che da nobili preoccupazioni per il futuro dell’economia europea. Per citare Robert Jenkins, attuale membro del Financial Policy Committee presso la Bank of England: “La lobby delle banche ha risposto dando la colpa a Basilea […]. Vuole convincere gli esperti, il pubblico e i politici che incoraggiare troppo presto la prudenza colpirebbe l’economia troppo duramente. Questa tattica non è più divertente. È una strategia intellettualmente disonesta e potenzialmente dannosa”. (7)

 

(1) T. Alloway, Europe’s banks feel funding freeze in “Financial Times”, November 27, 2011 http://www.ft.com/intl/cms/s/0/40f27e5c-177f-11e1-b157-00144feabdc0.html#axzz1fMl0HY4B.

(2) P. Jenkins Europe stress tests undermined by indecision, in “Financial Times”, July 18, 2011. www.ft.com/intl/cms/s/0/5dcca268-b15f-11e0-9444-00144feab49a.html#axzz1fMl0HY4B.

(3) G. Petrella e A. Resti, Do Stress Tests reduce Bank Opaqueness? Lessons from the 2011 European Exercise, http://ssrn.com/abstract=1968681.

(4) M. Onado, European stress tests: Good or bad news?, “Voxeu.org”, 16 August 2011.

(5) Per “maggiori informazioni”, chiedere a Dexia che ha dovuto essere frettolosamente salvata appena le condizioni di mercato sono risultate difficili anche per le banche del Nord. Vedi S. Pignal, S&P downgrades Dexia divisions, in “Financial Times”, October7, 2011, http://www.ft.com/intl/cms/s/0/159d0240-f0c4-11e0-8c49-00144feab49a.html#axzz1fUVggruW and Ailing Dexia’s €6.3bn third-quarter losses, , November 7, 2011, http://www.ft.com/intl/cms/s/0/a1dbda42-0ab9-11e1-b9f6-00144feabdc0.html#axzz1fUVggruW.

(6) A. Enria, Regulatory outlook for EU banks and the implications for corporate lending, speech at the Standard & Poor’s Conference “The Future of Corporate Funding”, London, 23 November 2011.

(7) R. Jenkins, Lessons in Lobbying, Bank of England, 22 November 2011. http://www.bankofengland.co.uk/publications/speeches/2011/speech533.pdf

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  1. Silvio

    Il difetto degli stress test di ottobre e delle ricapitalizzazioni che ne deriveranno è nell’idea di applicare il mark to market ai titoli di Stato. Innanzitutto perché considerare i titoli di Stato attività fallibili ha incrementato la diffidenza nei confronti del debito pubblico europeo da parte degli investitori, cosa di cui certamente non vi era bisogno. Questo esercizio è ancora più insensato oggi, dopo che, con il vertice del 9 dicembre, la partecipazione dei privati ad eventuali ristrutturazioni è stata messa in discussione. Non dimentichiamo che Dexia, l’unica banca europea giunta sull’orlo del fallimento in questi mesi, aveva gravi perdite che non le derivavano da titoli di Stato, ma da altre tipologie di attivi, circa i quali l’EBA continua ad avere un atteggiamento motlo più elastico. Altrettanto, credo, si possa dire oggi per Commerzbank. Imporre il mtm ai titoli di Stato rischia inoltre di vanificare l’ultima mossa della BCE che, rifinanziando a tre anni le banche europee, non vuole solo metterle in condizione di prestare soldi a famiglie e imprese, ma anche indurle a fare ciò che lei non può fare: sottoscrivere le prossime emissioni di Italia e Spagna.

  2. Piero

    Il mercato punisce i pastrocchi, l’Eba, ente per fare acquistare i titoli di stato, non e’ che l’ennesimo tentativo dei tedeschi di volere aggirare il problema, loro non vogliono ammettere che l’euro sci’ come costruito e’ un fallimento, devono procedere alla sua svalutazione perche’ l’euro non e’ solo la moneta della Germania ma e’ la moneta dell’Europa che e’ composta da piu’ paesi con economie molto diverse e non si puo’ pensare che tutti gli stati siano uguali alla Germania, in ogni area geografica vi sono zone piu’ e meno sviluppate, vedi il nord e il sud dell’Italia, quando noi avevamo la lira si dovevano fare misure di rigore solo per il sud perche’ era meno competitivo del nord. Così’, oggi e’ l’Europa.

  3. lorenzo

    Quale poteri ha l’EBA sulle banche? solo moral suasion o ha poteri vincolanti? in tale ultimo caso di derivazione contrattuale, immagino, non normativo. Ricorderei sul tema de quo l’articolo odierno (16 dic.) di Zingales sul Sole sulle forti pressioni ricevute da Andrea Enria, capo del’EBA. Non mi pare se ne parli, a quanto mi consta.

  4. Nicola Dragoni

    Secondo me è follia sostenere che la ricapitalizzazione delle banche non provoca credit crunch. Prima che questa (la ricapitalizzazione) avvenga, le banche sono costrette a ridurre i crediti alla clientela, cioé credit crunch. Mentre questa viene eseguita, i capitali in circolazione dimunuiscono e le altre banche provocano credit crunch. Quando questa è stata completata la rarefazione del credito delle altre banche è completata. Essere folli sì, ma occorre sapere che lo si è. occorre non farsi infettare dalle massaie tedesche, che di economia, come l’ex ministro Tremonti, capiscono poco. Ricordo che l’ineffabile nel 2008 voleva tassare le banche un mese prima della Lehman Brothers. Che tempismo, quasi pari a quello della Merkel, che evidentemente degli anni ’30 ricorda solo l’iperinflazione tedesca, dovuta ai danni di guerra, e dimentica la rarefazione del credito che provocò la grande depressione. Ben Bernanke lo sa bene! Scusate il lessico utilizzato.

  5. sauldistefano

    Credo però che alcune delle critiche rivolte all’EBA non sia del tutto infondate: -Gli ultimi stress sui sovrani incidono solo su una piccola parte dei bilanci bancari; perché non si è agito ad esempio sugli strumenti strutturati (che tendenzialmente sono Level 3 secondo i principi contabili) nei portafogli delle banche? ; -Sono comunque misure pro-cicliche, ed in parte sembrerebbero in contrasto con l’obiettivo della nuova regolamentazione bancaria, che dovrebbe essere quella di ridurre la pro-ciclicità; -Hanno indubbiamente favorito alcuni player, perché la possibilità di compensare le perdite su alcuni titoli (fondamentalmente PIIGS) con i profitti su altri titoli (vedere ad esempio gli OAT francesi) ha ridotto i fabbisogni di capitale (tra l’altro sono gli stessi player che presentano la percentuale maggiore di strumenti strutturati in bilancio). Magari se i dati di mercato utilizzati non fossero stati quelli al 30 settembre (su posizioni al 30 giugno, anche questa è una cosa un po’ strana), ma piuttosto di qualche settimana dopo i risultati sarebbero stati diversi; non è quindi normale che sia stata espressa perplessità sui risultati?

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