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LIBERALIZZAZIONI: TRE ERRORI DA EVITARE

Il decreto del governo in tema di liberalizzazioni coinvolge un insieme molto ampio di settori e attività. Con alcune tematiche trasversali. Bisogna resistere all’impulso di fornire stime immediate sui benefici attesi dai provvedimenti. Da evitare anche un approccio quasi contabile alla quantificazione degli effetti, che ignora come lo sviluppo della concorrenza operi sull’intera catena produttiva. La maggior flessibilità in settori fino a ieri protetti richiede ammortizzatori sociali calibrati sulle loro caratteristiche e interventi capaci di accompagnarne la riqualificazione.

Il decreto varato dal governo Monti in tema di liberalizzazioni coinvolge un insieme molto ampio di settori e attività promuovendo un articolato insieme di misure. Molti pezzi commentano su lavoce.info le misure adottate riferendosi ai principali comparti produttivi. È tuttavia utile affrontare alcune tematiche trasversali che si ripresentano in molti settori oggi sottoposti alle liberalizzazioni.

LA CONTABILITÀ DEI BENEFICI

Il primo problema è quello di resistere all’impulso di fornire immediate stime sui benefici attesi dalle misure. In questi giorni abbiamo assistito a una girandola di numeri, risparmi per famiglia che da un giorno all’altro passavano da 400 euro annui a oltre 1.000 per poi tornare a 500. Inutile dire che queste stime sono prodotte senza spiegare la metodologia, spesso per la totale assenza di quest’ultima. Ma anche i riferimenti avanzati dal governo, con un impatto fino a 10 punti di Pil, per quanto riferite a studi dell’Ocse, usano riferimenti che difficilmente possono corrispondere allo specifico pacchetto adottato, nella specifica situazione in cui si trovano l’economia italiana ed europea. Esiste molta evidenza sugli effetti benefici che le liberalizzazioni hanno esercitato in specifici settori, e anche numerosi studi a livello macro. Ma ci offrono al massimo un riferimento qualitativo (gli interventi servono, e in tempi non biblici).
Un secondo errore che si riscontra spesso nei commenti di questi giorni riguarda un approccio quasi contabile alla quantificazione degli effetti: si sostiene che, se il segmento liberalizzato, ad esempio la distribuzione dei carburanti nelle stazioni di servizio, nella complessiva filiera produttiva conta per una percentuale limitata sul prezzo finale, una compressione dei margini in quella attività a seguito della concorrenza non potrà che avere effetti limitati sul prezzo che il consumatore finale paga. In questi commenti si perde tuttavia di vista un aspetto fondamentale su come lo sviluppo della concorrenza operi sull’intera catena produttiva a partire dalla fase a valle della distribuzione. Se, seguendo l’esempio precedente, le stazioni di servizio possono operare rifornendosi da raffinatori diversi, sottoporranno questi ultimi a una concorrenza che oggi non avviene, con effetti benefici sul costo all’ingrosso del carburante che, quello sì, rappresenta una voce significativa del prezzo finale.

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L’IMPATTO SOCIALE

Una terza osservazione relativa ai processi di liberalizzazione riguarda l’impatto sociale sugli assetti del settore. Nella scorsa settimana, ad esempio, abbiamo letto nelle stesse pagine dei giornali tre diverse notizie relative alla categoria dei taxisti, che grazie alla loro grande vocalità e ai toni gladiatori che hanno assunto, si sono guadagnati le prime pagine al di là della reale importanza di questo settore nel capitolo liberalizzazioni. Abbiamo letto che denunciano un reddito medio di 19mila euro all’anno, che pagano una licenza tra i 100mila e i 200mila euro e che l’utilizzo dell’auto e le forme di organizzazione del lavoro sono spesso inefficienti. Questi tre dati illustrano un intreccio di problemi che si ritrovano anche in altri settori sottoposti a liberalizzazione e che si caratterizzavano per le barriere e i regolamenti che impediscono la libera entrata, dal commercio al dettaglio ai servizi professionali. In queste situazioni, forme di organizzazione del lavoro inefficienti sopravvivono grazie a una diffusa evasione fiscale e a prezzi eccessivi: l’utente ne risulta penalizzato due volte, come acquirente e come contribuente.
E tuttavia, aprendoli alla liberalizzazione, non è possibile trascurare il fatto che questi settori richiedano processi di ristrutturazione rilevanti, senza i quali la compressione dei margini dovuta alla concorrenza, unita a più incisive politiche di contrasto all’evasione fiscale che il governo ha annunciato, rischiano di espellere dal mercato molti operatori. Il parallelo con la filosofia che il governo intende adottare nelle riforme del mercato del lavoro, con più flessibilità unita ad ammortizzatori sociali e a processi di riqualificazione professionale, appare evidente. Settori esposti alle liberalizzazioni richiedono la gestione di fasi transitorie durante le quali le piccole imprese e le attività individuali dei prestatori di servizi dovranno riqualificarsi, accedere a forme di organizzazione del lavoro più efficienti, promuovere processi di aggregazione in grado di sfruttare possibili economie di scala. La maggior flessibilità a cui settori fino a ieri protetti si sottoporranno dovrà richiedere anche ammortizzatori sociali calibrati per le caratteristiche di queste attività e interventi capaci di accompagnarne i sentieri di riqualificazione. Queste problematiche non sono diverse da quelle che le imprese manifatturiere italiane hanno dovuto affrontare con l’euro e la fine della lunga stagione della competitività riguadagnata a suon di svalutazioni della lira. Riconoscere la necessità di accompagnare i processi di aggiustamento può accelerare l’emergere dei frutti delle liberalizzazioni e stemperare l’arroccamento difensivo delle categorie interessate.

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SULLA PARITÀ NON BASTANO I BUONI PROPOSITI*

12 commenti

  1. HK

    Gentile Prof. Polo, il decreto Monti “Cresci Italia” ha tra gli aspetti qualificati quello della liberalizzazione del mercato dei carburanti come Lei ha ben evidenziato. Questo è detto al fine di ridurre il costo dei carburanti che darà gran impulso alla nostra economia. Ma a noi scettici e sospettosi lettori di questo splendido blog, non appare certo questo il nobile fine. Infatti lo stesso governo non si è fatto scrupolo, appena insediato, di aumentare le accise sugli stessi carburanti. Quale precedente allora ci fa ritenere che la riduzione dei costi di produzione non sia la premessa utile in vista invece di un successivo aumento delle accise?

  2. Paolo Brera

    Liberalizzazione, sì. Ma i tassisti, così come la si propone adesso, subiscono l’esproprio di quello che hanno pagato per la loro licenza. Questo non è giusto: lo Stato deve ricomprargliela allo stesso prezzo. Se proprio si vuole espropriare qualcuno — i politici, brava gente!

  3. Gerardo Fulgione

    Sulla questione tassisti vorrei porre una questione non di poco conto: l’aver “comprato” la licenza. Faccio presente che la licenza di poter esercitare la professione di tassista è un’autorizzazione amministrativa e come tale non è un bene passibile di compravendita! Tale “acquisto” pertanto non e’ legittimo. Mettiamoci anche il fatto poi che i tassisti esercitano la professione Fuori campo Iva, creando così concorrenza sleale a chi esegue una prestazione similare (cooperative di noleggio etc…)

  4. Giacomo

    Apprezzo molto questo contributo, soprattutto perchè non cade nella trappola del “non basta, si poteva fare di più” (trappola in cui, invece, cadono molti contributi che appaiono su questo stesso blog). Infatti, a mio avviso, il Professor Polo, conoscendo la complessità dei vari tessuti economici, analizza le problematiche rilevanti che derivano dall’introduzione dei provvedimenti in esame e fornisce proposte costruttive. Chapeau.

  5. michele

    le rc auto erano la voce del capitolo liberalizzazione più pesante nei bilanci degli italiani. è mancata la facoltà di ereditare dal famigliare convivente, oltre alla classe di merito CU, anche la classe di merito interna, se si sceglie la solita compagnia assicurativa. quella delle edicole è una mancata liberalizzazione, perchè i prezzi continuano a essere imposti dalle testate (invariati per i giornali; modificabili dall’edicolante per i gadget). Si è liberalizzato l’orario, l’apertura dei punti vendita, e i gadget che sono un fattore di marketing indispensabile per vendere i giornali. In un settore strategico, come il controllo dei centri di diffusione dell’informazione, non si è imposto nessun limite preventivo alla concentrazione della quota di mercato. Chi possiede più edicole, può aggiungere altri gadget o praticare degli sconti per spingere un giornale piuttosto che un altro. Tuttavia, chi vende un buon giornale a un buon prezzo consevra il diritto alla parità di tratatmento e di accesso ai punti vendita.

  6. romugala

    Le reazioni di ancune categorie di lavoratori e/o attività commerciali, contro le “Liberalizzazioni” dimostrano come la società italiana è costituita da lobbyes. Non è pensabile, subire comportamenti a dire poco #discutibili# da alcune associazioni di categoria. Senza voler quantificare i risparmi futuri – che certamente ci saranno – le liberalizzazioni costituiscono un nuovo impianto di società. Urge mettere mano con immediatezza alla separazione del Gruppo RFII/FS, e ripensare ad un nuovo piano di trasporti locale.

  7. Anonimo

    Le “ricchezze delle nazioni” sono derivate dal sistema di walfare “locale” per effetto delle azioni degli “animal spirits” (investimenti) in termini di divisione equa della ricchezza globale e, non, come condivisione (network-economy) dato l’impatto inflattivo (vedi escalation-relazionali), per effetto delle operazioni di scambio di dominanza (vedi i mercati finanziari) anche se a volte distruttive di valore (“bolle” speculative). In altri termini la competizione, anche intra-fattoriale, è garanzia di maggiori profitti in equivalenza di un aumento delle produttività marginali del capitale (capital-intensive) fermo restando gli aumenti di produttività del fattore di produzione lavoro e, quindi, dati i salari e gli altri prezzi della produzione.

  8. AG

    Il prezzo all’ingrosso internazionale sulla benzina è un prezzo commodity, come tale non mi pare offra margini per una riduzione per effetto di maggiore libertà di mercato in Italia. Le opportunità di sconti (a favore delle cd pompe bianche) derivano dalla natura di “prodotto congiunto” della benzina che fa emergere la disponibilità (non sistematica) di quantità marginali che i raffinatori trovano conveniente vendere all’ingorsso a prezzi largamente scontati. Il margine di raffinazione (differenza fra prezzo internazionale maggiorato dei costi di posizionamento e costo della materia prima) è oggi largamente negativo in Italia e nessun operatore può trovare conveniente importare maggiore materia prima per vendere prodotti in Italia a prezze ulteriormente ridotti. L’opotesi rappresenta nell’articolo è del tutto infonadata e conferma la superficialità con cui si parla di queste cose. Il minore prezzo finale rilevato in altri paesi europei deriva esclusivamente dal risparmio sul costo dei gestori.

  9. LUCIANO GALBIATI

    A dispetto dei detrattori della categoria dei taxisti il mercato delle licenze taxi è pienamente legittimo. Il Decreto Bersani (legge n 248 del 4 agosto 2006) ha inoltre consentito agli enti locali di bandire concorsi a titolo oneroso (aste). Modalità di assegnazione delle licenze implementata da numerosi comuni (es. Bologna). L’amministrazione finanziaria riconosce la natura non speculativa delle licenze taxi. I proventi da cessione sono sottoposti al regime agevolato della tassazione separata (come il TFR dei dipendenti). Per chi acquista vi è la possibilità di ammortizzare la stessa utilizzando l’istituto “dell’ammortamento civilistico”, che permette di frazionare e imputare a passività l’esborso fino a un massimo di 30 esercizi.

  10. Tiziano

    1) se non viene data una stima dell’effetto positivo si perde anche la minima parte a favore dell’opinione pubblica 2) la compressione dei margini per crescente competitività e riduzione della possibilità di evadere porterà chi ha finora abusato a lasciare ma verrà rimpiazzato da chi finora non ha avuto possibilità.

  11. Paolo g.

    Se Monti vuole dare un forte impulso all’enorme numero di PMI deve varare una legge che obbliga a pagare al massimo a 30 giorni fine mese. Le aziende non sono banche e devono usare i soldi per investire non per finanziare i clienti. Si ridurrebbe drasticamente l’entità del rischio di non essere pagati e sarebbe più facile ottenere finanziamenti per investimenti. Non è sopportabile incassare dopo 4 mesi dalla fornitura quando, nel frattempo, si sono pagati stipendi energia IVA ecc. ecc. L’esposizione del sistema bancario non cambierebbe ma per l’encomia industriale sarebbe molto molto di più della boccata di ossigeno. Chi non paga nei termini dovrebbe essere sanzionato. Il tutto a costo zero.

  12. LUCIANO GALBIATI

    In Italia i taxi hanno già subito una pesante deregolamentazione. il Decreto Bersani (legge n 248 del 4 agosto 2006) prevede: 1 più autisti con una sola licenza, 2 liberalizzazione degli orari di servizio, 3 concorsi a titolo oneroso x l’assegnazione delle licenze (aste), 4 attivazione di tariffe fisse da e per luoghi ad alta attrattività (aeroporti,stazioni,ecc). L’industria dei taxi è un settore saturato da un eccesso di offerta e ora nella morsa della fase recessiva; sono sotto gli occhi di tutti i parcheggi di stazionamento delle nostre città pieni di vetture inattive. Evidente che contro i taxi si gioca una partita puramente ideologica; l’ostinata riproposizione di astratte e fallimentari teorie economiche di stampo iper-liberista (es.clamoroso il flop totale della deregulation dei taxi in Olanda e Irlanda). Il problema vero è il tragico impatto di false liberalizzazioni sul destino economico di 60.000 taxisti e le loro famiglie.

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