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ADOZIONI INTERNAZIONALI, UNA FORMA DI COOPERAZIONE

Positiva la nomina del ministro per la Cooperazione a presidente della Commissione adozioni internazionali. L’istituto è un tassello importante di una politica estera orientata allo sviluppo di relazioni di cooperazione con i diversi paesi. Va perciò rafforzato il sostegno delle rappresentanze italiane all’estero a favore degli enti autorizzati, che spesso sono impegnati anche in iniziative di solidarietà destinate all’infanzia e all’adolescenza. Per i genitori adottivi il percorso è caratterizzato da ostacoli burocratici e normativi. E da costi crescenti.

La nomina del ministro per la Cooperazione, Andrea Riccardi, a presidente della Commissione adozioni internazionali (Cai) rappresenta un elemento di discontinuità e colloca coerentemente il tema delle adozioni sul piano più ampio della cooperazione internazionale. Coincide però anche con una ripresa del dibattito e una rinnovata attenzione dell’opinione pubblica verso questa forma di solidarietà. (1)

LA NECESSITÀ DEGLI ENTI

Alla discussione hanno senz’altro contribuito due ricerche uscite in contemporanea: il secondo Rapporto del Coordinamento enti autorizzati sulle adozioni internazionali e la ricerca del Cergas Bocconi sui costi per i servizi erogati dagli enti. (2) Entrambe le ricerche e le diverse prese di posizione dei rappresentanti degli enti hanno messo in rilievo la fase delicata che l’istituto dell’adozione internazionale sta vivendo nel nostro paese a oltre dieci anni dalla ratifica della Convenzione dell’Aja per la tutela dei minori e dalla legge 149 del 2001 e a quasi trenta anni dalle legge 184 del 1983.
La normativa italiana sulle adozioni rappresenta senza dubbio un modello originale nel contesto internazionale perché prevede l’obbligo per le coppie impegnate in un percorso di adozione di affidare l’incarico a un ente autorizzato, escludendo quindi il ricorso a pratiche “fai da te” che si prestano in molti paesi a forti elementi di corruzione, a tutto discapito del diritto dei minori a una famiglia. L’impostazione legislativa italiana ha favorito lo sviluppo di una rete articolata di enti autorizzati dalla Cai sul territorio nazionale: sono di supporto alle coppie e stringono relazioni consolidate con i paesi di origine dei minori. (3)
Da sempre, infatti, il nostro paese si è distinto per l’elevato numero di adozioni internazionali: sono state 3.964 nel 2009, 4.130 nel 2010 e 4.022 nel 2011. Tuttavia, diversi elementi definiscono uno scenario profondamente cambiato negli ultimi anni:

  • la crescita dell’età media dei bambini che entrano nel nostro paese: oltre 6 anni nel 2010; (4)
  • la crescente percentuale di bambini che presentano bisogni speciali o particolari: oltre il 15 per cento sul totale con punte di oltre il 40 per cento nel caso il paese di origine siano la Federazione Russa e la Moldavia o in generale i paesi dell’Est europeo; (5)
  • il venire progressivamente meno del ruolo di alcuni paesi;
  • i crescenti costi a carico degli enti e delle famiglie adottive.

Costi che sono stati valutati dalla Cea in media di poco al di sotto i 20mila euro, suddivisi tra 5.742 euro in Italia e 11.307 euro per la componente estero. La ricerca del Cergas, invece, colloca il valore delle spese sostenute dagli enti solo sul territorio nazionale in almeno 7.500 euro. I costi si trasferiscono inevitabilmente sulle famiglie, rendendo molto oneroso il percorso adottivo, specie in un contesto complessivo di crisi economica. E sempre più numerose sono perciò le segnalazioni di famiglie che si avvicinano all’istituto dell’adozione internazionale, ma vi rinunciano proprio a causa dei crescenti oneri economici.

LE NUOVE SFIDE

Il mutato scenario pone quindi alcune questioni di fondo all’attività della Cai e più in generale alle iniziative che il ministro e il governo saranno chiamati a intraprendere nei prossimi mesi.
In primo luogo, occorre sottolineare la necessità di un maggiore coordinamento fra gli enti autorizzati, il cui numero appare eccessivo rispetto alle reali esigenze delle famiglie e dei contesti territoriali, sia italiani che nei paesi di origine.
Un secondo elemento di riflessione riguarda la sostanziale assenza, tranne il caso dell’Arai piemontese, di un’iniziativa delle Regioni e degli enti locali su questo tema. Oltre a Liguria e Valle d’Aosta, che già vi hanno fatto ricorso, altre Regioni potrebbero utilmente utilizzare l’esperienza e la professionalità di questo organismo pubblico attraverso specifiche convenzioni, anche per diminuire in parte i costi a carico delle coppie adottanti.
Tuttavia, ancora più importante appare la necessità di concepire l’adozione internazionale come un tassello importante di una politica estera complessiva orientata allo sviluppo di relazioni di cooperazione con vari paesi. In questa visione, la politica estera del governo italiano dovrebbe dare maggiore supporto all’attività degli enti che sono impegnati in diversi paesi non solo in interventi legati all’adozione, ma in numerose iniziative di cooperazione allo sviluppo e solidarietà con il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza. E le rappresentanze italiane all’estero dovrebbero essere chiamate a un maggiore impegno a sostegno degli enti e delle famiglie nei percorsi adottivi, resi spesso difficili dalle differenziate normative dei singoli paesi e dall’esistenza di pratiche poco trasparenti delle organizzazioni locali. (6)
Su questi ultimi aspetti va ricordato un certo ritardo delle stesse istituzioni comunitarie, nonostante la risoluzione del Parlamento europeo del 19 gennaio del 2010 che esortava gli Stati membri e le organizzazioni coinvolte a sviluppare un quadro per garantire trasparenza e a coordinare a livello europeo le strategie relative all’adozione internazionale.

(1) Si vedano ad esempio gli articoli usciti su La Repubblica del 14 dicembre 2011 e Il Giornale 25 dicembre 2011.
(2) Si veda Cea (Coordinamento enti autorizzati) e Irs, Secondo Rapporto Cea sulle adozioni internazionali in Italia, disponibile al sito www.cea.it. Sintesi dei risultati della ricerca Cergas sono disponibili nei siti degli enti promotori dell’indagine come il Ciai, www.ciai.it o in www.famigliacristiana.it/famiglia/news/dossier/diminuiscono-le-adozioni_070212113450/quanto-costa-adottare-un-bambino_070212143619.aspx e www.viasarfatti25.unibocconi.it/notizia.php?idArt=9165%20
(3) Gli enti autorizzati dalla Cai erano ben sessantacinque a fine giugno 2011.
(4) Nel 2010 le età medie relativamente più elevate si sono registrate per bambini provenienti da Bielorussia, Ungheria e paesi dell’Est europeo, quelle più basse da bambini provenienti da Etiopia, Cina, Burkina Faso, Armenia e Vietnam.
(5) Nella definizione della Cai sono bambini con “bisogni particolari” i portatori di disabilità lievi o reversibili, mentre quelli con “bisogni speciali” presentano patologie gravi o insanabili.
(6) Il Rapporto del Cea definisce l’attività degli enti una vera e propria “diplomazia civile” che tuttavia “né è assistita da adeguato sostegno istituzionale, né da una conseguente considerazione e status”. Secondo Rapporto Cea, pag. iv.

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I MINI CAMBIAMENTI NELLE PROFESSIONI

  1. Francesco de'Stefani

    Ho vissuto il discorso adozione internazionale dai due punti di vista, come italiano che ha seguito quasi fino in fondo il percorso adottivo, e come residente all’estero in paesi che noi semplicemente chiamiamo terzo mondo. Il primo commento è legato ai tempi e alla burocrazia e agli adempimenti legati al percorso in Italia, a volte assurdi. Ho l’esperienza di una coppia a cui l’assistente sociale in vista alla loro casa, ha risposto che se non c’era una stanza da gioco per il bambino, l’adozione non sarebbe andata avanti, o di un’altra coppia la cui casa era troppo fuori mano per mandare all’asilo il bambino… Ma anche l’altro lato della medaglia non da spunti positivi. In molti paesi un tempo aperti alle adozioni internazionali, sono sempre più le resistenze interne, e sono sempre e comunque privilegiate le adozioni nazionali, rimangono così per l’adozoine internazionale in maggioranza bambini con problemi psicologici o di salute, che coincidono con bambini di di età più avanzata… Questa è la realtà, a cui aggiungere un percorso minimo di quattro cinque anni, con coinvolgimento psicologico e in termini economici e di tempo significativo, e con risultato incerto…

  2. mny

    L’adozione internazionale è un istituto a garanzia del minore e non uno strumento di politica internazionale. D’altra parte sono molti gli stati di provenienza dei bambini che cominciano a chiedere che gli EA che fanno AI non siano gli stessi che fanno cooperazione. i motivi sono evidenti.

  3. Antonio Zucca

    Due anni fa con mia moglie abbiamo adottato dei bimbi brasiliani. Due anni i tempi d’attesa e secondo noi sono il tempo necessario per prepararsi all’adozione. Ottima la collaborazione del tribunale di Cagliari e dei servizi sociali e la solidarietà di medici e strutture preposte ad accompagnarci durante la preparazione. Efficiente e trasparente l’Ente a cui ci siamo rivolti. Superlativo il lavoro delle istituzioni brasiliane (stato di San paolo), altro che terzo mondo! Cordiali saluti Antonio Zucca

  4. Elvira

    Ho adottato 14 anni fa, da 13 collaboro attivamente alla realizzazione di attività di supporto pre-adozione, ma soprattutto post-adozione svolte da una associazione di famiglie adottive (non EA). Occorre sapere che non basta accogliere un bambino, non basta desiderarlo, ma significa farsi carico del suo bagaglio di esperienze non solo da quel momento in poi ma di tutta la sua vita, passato, presente e futuro e relative complessità di elaborazione. Se ne parla, ma non basta parlarne, bisogna sostenere le famiglie mettendo a disposizione aiuti “competenti”, dall’ingresso in famiglia e per tutto il tempo necessario, perché adottati e famiglia adottiva si resta per tutta la vita di ciascun membro. Le istituzioni (pubbliche e diversi EA) non investono abbastanza in questo senso e la famiglia è costretta a rivolgersi al privato per un supporto ma spesso non se lo può permettere. Qualche EA si è mosso e fa un lavoro egregio, anche a supporto della formazione di chi ha deciso di dedicare volontariamente il suo tempo al sostegno delle famiglie adottive. Però non basta e chi ha a cuore il benessere dei bambini lo sottolinea, visto il numero crescente che arriva in Italia.

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