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COME DIFENDERSI DAL CONTAGIO

La fiducia sui titoli sovrani e bancari in tutti i paesi periferici dell’Europa continua a scendere. Cosa possono fare i paesi a rischio, e l’Italia in particolare, per evitare il contagio? L’evidenza empirica mostra che nella crisi sono divenuti più importanti tre fattori: il livello del debito pubblico, il tasso di crescita e il tasso di disoccupazione. E allora è forse utile accelerare privatizzazioni e dismissioni; diluire nel tempo il consolidamento fiscale; e sul mercato del lavoro puntare su forme di flessibilità salariale che riducano il rischio di licenziamenti.

“Contagio” è oggi la parola d’ordine in Europa. (1) Nonostante il salvataggio del governo greco da parte della troika UE-Fmi-Bce, e il pesante taglio imposto a proprietari delle obbligazioni greche, i mercati non si sono sentiti rassicurati circa la permanenza della Grecia nella zona euro. Il sollievo portato dai risultati delle recenti elezioni greche è infatti evaporato nel giro di ore. Allo stesso modo, la decisione da parte dell’Unione Europea di versare circa 100 miliardi di dollari alle banche spagnole non è stata sufficiente a convincere gli investitori internazionali che il cordone ombelicale fra Stato e banche iberiche sia stato reciso. Dunque, la fiducia sui titoli sovrani e bancari in tutti i paesi periferici continua a scemare, come si evince dal rialzo dei tassi di interesse e degli spread sui Cds (Credit Default Swap). E le diverse proposte sul tavolo europeo, dall’“unione bancaria”, agli “Eurobonds” (Eurobills, Project bonds, Redemption funds, e altre ipotesi), all’“unione fiscale” continuano a esistere solamente nel regno dei sogni (o degli incubi, a seconda di chi debba pagare il conto). (2)
La questione del contagio è dunque se la fuga dei capitali dai paesi periferici investirà in pieno anche l’Italia trasformandosi in una fuga dall’euro, e sua finale disintegrazione. Per affrontare la questione e capire cosa possano fare i paesi a rischio, e l’Italia in particolare, per allontanare questo scenario, è utile analizzare la recente evidenza empirica sui Cds dei sovrani europei.

OSSERVANDO I CDS

In una ricerca in corso all’università di Bologna abbiamo analizzato l’andamento dei premi pagati giornalmente per assicurarsi dal rischio di default sovrano, gli spread dei Cds. (3) Abbiamo osservazioni giornaliere (1.630) per il periodo che va dal 10 gennaio 2006 al 29 marzo 2012 per quindici paesi europei, undici dei quali appartengono alla zona dell’euro (Germania, Francia, Italia, Spagna, Belgio, Grecia, Portogallo, Irlanda, Paesi Bassi, Austria, Finlandia), e quattro dei quali che non vi appartengono (Svezia, Norvegia, Regno Unito e Irlanda del Nord, Danimarca). Mediante tecniche econometriche, siamo in grado di separare, per ciascun paese, la parte del premio del Cds che può essere considerata “importata” da fuori, spiegabile cioè dal “contagio” proveniente dai rischi di default degli Stati non europei, europei, e da quelli pertinenti alle banche europee, rispetto a quella parte dovuta a fattori di rischio “domestici”, attribuibile cioè alla valutazione che il mercato assegna al rischio specifico del singolo Stato sovrano. Quando accade che questa componente “idiosincratica” schizzi verso l’alto contemporaneamente in molti paesi, possiamo parlare di “panico”: un fenomeno che potrebbe essere dovuto a diversi fattori: un comportamento “a gregge” (herd behavior) degli investitori, come quello che si verifica quando qualcuno urla “al fuoco” in un cinema e tutti si buttano verso l’uscita; un aumento generale dell’avversione al rischio del mercato, quando gli investitori , anticipando una maggiore probabilità d’insolvenza, disinvestono improvvisamente e tutti fuggono insieme da un’area di paesi considerata a rischio.

RISCHI SOVRANI NELLE DUE CRISI

La figura 1 mostra l’evoluzione del “rischio idiosincratico” per i paesi del campione. I periodi della crisi dei mutui subprime degli Stati Uniti (settembre 2008 e marzo 2009) e la crisi greca (intorno a novembre 2009) sono evidenti nei dati, poiché si vede chiaramente che i “salti” dei rischi idiosincraticisi raggruppano proprio in coincidenza con questi episodi.

Per quanto riguarda l’impatto delle crisi, i paesi si dividono in tre “taglie”: piccola (Finlandia, Germania e Norvegia), media (Svezia, Danimarca, Paesi Bassi, Belgio, Francia, il Regno Unito e l’Austria tendente sul versante alto) e grande (i paesi “periferici”).
In particolare, mentre il terremoto dei mutui subprime degli Stati Uniti scuote tutti i paesi europei, anche se in misura diversa (Irlanda, seguita da Austria e Regno Unito sono i paesi più colpiti, per motivi dovuti al ruolo delle loro istituzioni finanziarie), la crisi greca investe pressoché esclusivamente i paesi dell’euro. Norvegia, Svezia, Regno Unito e Danimarca, che non appartengono alla Eurozona, non vengono colpiti. Ma le differenze all’interno dell’area euro sono almeno altrettanto grandi, con Francia, Belgio, Italia, Spagna, Irlanda e Portogallo che mostrano picchi molto alti e ricorrenti del rischio idiosincratico. Per spiegare perché negli episodi di crisi un paese è più vulnerabile di un altro non basta evidentemente l’appartenenza alla comune area dell’euro.

IL RUOLO DEI FONDAMENTALI FUORI E DENTRO LA CRISI

Vogliamo capire quali sono, se ci sono, le ragioni economiche che spiegano queste differenze tra i rischi dei paesi. Le analisi econometriche sulle determinanti delle differenze nel comportamento dei vari paesi ci dicono che nei paesi dell’Eurozona, tre fattori sono divenuti nella crisi più importanti. (4)

1) Il livello del debito pubblico (che aumenta il rischio): durante la crisi gli investitori riscoprono il debito pubblico. Infatti accade che l’aumento del rischio è in media più elevato nei paesi in cui il rapporto debito pubblico-Pil è più alto.
2) Il tasso di crescita, che – quando c’è – riduce significativamente il rischio;
3) Il tasso di disoccupazione: l’economia reale diventa più importante all’interno della crisi, nel senso che i mercati tendono ad attribuire un maggior rischio di insolvenza a quei paesi che hanno maggiore tasso di disoccupazione e minor crescita.
Vi è inoltre un’altra differenza interessante con il periodo pre-crisi: i rischi sistemici dei paesi diventano sensibili al giudizio delle agenzie di rating (questa variabile non era significativa al di fuori della crisi).
Alla luce di questi risultati viene da chiedersi se non sia utile: 1) accelerare davvero privatizzazioni e dismissioni; 2) diluire nel tempo il consolidamento fiscale, una volta abbandonato il mito dell’expansionary consolidation; 3) sul mercato del lavoro puntare principalmente su forme di flessibilità salariale che riducano il rischio di licenziamenti anziché rendere meno costosi i licenziamenti nel mezzo di una recessione.

(1) Cfr. Paolo Manasse e Giulio Trigilia, “The fear of contagion in Europe”, http://voxeu.org/index.php?q=node/6722
(2)
Cfr. Paolo Manasse, “My name is Bond, Euro Bond”, http://voxeu.org/index.php?q=node/5936
(3)
Questo articolo è basato sulla tesi di laurea Luca Zavalloni alla Laura magistrale in economia (Lmec) presso l’università di Bologna, e su una ricerca in corso con Paolo Manasse.
(4) Per maggiori dettagli tecnici si veda la versione in inglese di questo articolo su http://www.paolomanasse.blogspot.com o su http://www.voxeu.org

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IL CONSUMO DI CARBURANTI

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LE CONSEGUENZE POLITICHE DELLA CRISI ECONOMICA

13 commenti

  1. Giorgio

    Il debito in Giappone è oltre il 230% e non ha alcuna crisi finanziaria. Gli Usa hanno un debito tra il 90 e il 100% del pil ma in questo momento pagano tassi di interesse simili a quelli tedeschi, che hanno un debito maggiore di quello spagnolo (di circa 10 punti di pil). Quanto alla crescita, non ci sarà mai se si continuerà a mettere in atto politiche economiche di austerità con la scusa di ridurre il debito o controllare i conti pubblici. Questa politica è stata applicata in Grecia ed è fallita (sia la Grecia che la politica fiscale). Quanto alle riduzioni dei salari (spacciate elegantemente per flessibilità salariale), esse provocano una riduzione dei consumi. E in tal caso non v’è ragione che le imprese di questo settore facciano investimenti, riducendo anche la spesa delle imprese. Con il calo dei consumi e degli investimenti e con il calo della domanda pubblica, non vi può essere crescita, nè risanamento dei conti pubblici. Affidarsi alle sole esportazioni, che contano per meno del 30% del pil, non risolverebbe il problema: poichè queste dipendono dalla crescita dei paesi acquirenti e dalla qualità dei prodotti, non solo dai prezzi.

  2. Piero

    Giorgio ha ragione, la politica sia europera che italiana deve fare il contrario di quello che si facendo, i paesi euro devono recuperare competitivita’ con il dollaro e lo yuan,mquindi svalutazione dell’euro, parità con il dollaro, non vi sono spiegazioni sulla rivalutazione dell’euro sul dollaro dall’inizio dell’euro, dalla parità siamo arrivati anche ad 1,45; la bce deve fare ritornare la fiducia sui debiti governativi dei paesi euro annunciando acquisti in un decennio di almeno il 50% del debito dei paesi euro ( sono 500 mla all’anno, molto inferiore alle manovre fino ad oggi fatte). Solo con queste misure si puo’ attuare il fiscal combact.

  3. mirco

    Credo che sia giunto il momento di dire basta. Il governo Amato nel 1992 decise un prelievo forzoso dai conti correnti pari se non ricordo male al 6 per mille. Io suggerirei oggi di rifarlo con un aliquota diversa e crescente in funzione della quantità di denaro sui depositi e sui titoli posseduti. Su un debito complessivo italiano di circa 2000 miliardi, introitarne il 40% riportando il debito al 60% cioè 800 miliardi, significherebbe riborsare dei titoli in possesso di investitori stranieri e non effettuare nuove emissioni da una parte e usare una parte dei soldi anche epr la crescita. E’ una cura da cavallo ma è l’unica strada.

  4. Marco

    Non sono i fondamentali che determino l’aumentare dello spread. Ma la percezione del mercato che i membri di un un’unione monetaria emettono debito in una moneta su cui non hanno alcun controllo. Quindi i governi non possono garantire la disponibilità i moneta per pagare i detentetori dei loro titoli. E’ perfettamente possibile che essi manchino in un futuro più o meno lontano della necessaria liquidità. Il mercato lo percepisce e si instaura un circolo vizioso che puo portare a crisi di solvibilità. Questo fenomeno non accade per i paesi che emettono moneta; L’unica soluzione é che l’autorità monetaria, la BCE, garantisca direttamente o indirettamente il debito sovrano.‘ (Ved De grauwe 2012 Self-Fulfilling Crises in the Eurozone: An Empirical Test).

  5. Piero

    Rispondo a Mirco, e’ vero che Amato fece quel prelievo forzoso, ma tu sai a che serviva per difendere la lira che stava sotto l’attacco speculativo, tutti dicevano che a tutti i costi non si doveva svalutare e quindi rimanere nella banda stretta dello SME, ma ti ricordi cosa e’ successo nel mese di agosto 1992? La lira svaluto del 50% e tutti quelli che dicevano un mese prima che la lira andava difesa dopo un mese salirono sul carro della svalutazione, quella manovra fu inutile come alla fine sarà una manovra simile presa oggi. La soluzione sta nelle mani della bce, altrimenti ci conviene uscire subito dall’euro, non facciamoci prendere in giro dai tedeschi.

  6. Fede75

    Crescita, disoccupazione, e debito pubblico dunque sono gli elementi chiave per cercare di sganciarsi dalla corsa verso la catastrofe dei paesi periferici. Credo tuttavia che nel complesso dei fattori che descrivono la realtà di un paese a fini di valutazione del rischio di investimento, vada incluso il livello di legalità/corruzione. Non possiamo pensare di arginare nessuna crisi se restiamo confinati al 69° posto sotto al Ghana e sopra la Macedonia nella triste classifica della “Corruption Perception Index”. Risanamento dei conti pubblici, crescita e occupazione sono variabili dipendenti della legalità ed il mondo (i mercati e non solo) ci valuta anche su questo. http://cpi.transparency.org/cpi2011/results/

  7. Piero

    La richiesta di Monti di fare acquistare i titoli dei paesi come l’Italia che hanno rispettato gli impegni, al fine di contenere gli spreed, da parte dell’efsf o esm, non e’ altro che una manovra suicida per le seguenti ragioni: in primis lo statuto prevede la richiesta di aiuto da parte dello stato, richiesta di aiuto che i mercati enfatizzeranno e cosi’ aumenterà la speculazione, poi i due fondi hanno una capacita’ limitata che i mercati conoscono bene, in sintesi tale soluzione di Monti a mio avviso vanifica tutti gli sforzi fatti finora dall’Italia sulla strada del risanamento. Non posso negare che una politica di bilancio rigorosa faccia bene all’Italia, al fine di ridurre le spese improduttive, non possiamo pero’ trascurare che la stretta sul credito sta facendo chiudere le aziende con gravi ricadute sull’occupazione, pertanto il governo ha delle responsabilita’ in tale senso e non sta facendo nulla, non ha nemmeno fatto il decreto ministeriale per aumentare la garanzia della 662 fino a 2500000 contenuta nella legge salva Italia.

  8. Giuseppe

    Chiedo agli autori del paper se sia il caso di prendere in considerazione variabili come il livello dei prezzi, dei salari, o forse meglio solo i redditi reali, come possibili variabili espicative degli spreads. L’idea sottostante è che l’unione monetaria non sia più credibile in quanto in Europa, senza tassi di cambio nominali, la differenze di competitività non riescono ad essere riequilibrate. L’EMU somiglia sempre più ad un currency board che ad una credibile unione monetaria. Il mercato ne è consapevole e gli spread quindi potrebbero in parte contenere anche un premio al rischio di non essere ripagati in una valuta forte.

  9. Giorgio

    ”Ci vogliono salari piu’ alti” perche’ ”senza il potere d’acquisto della famiglia, i consumi non ripartono”. Questa la parola d’ordine del presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, di fronte ai dati dell’Istat che prospettano un crollo delle vendite al dettaglio scese ai minimi storici da 11 anni ad oggi. Quando gli accademici prendono le cantonate o inseguono ideologie economiche sballate e fallimentari.

  10. andreag

    Cercare il bandolo della matassa nel groviglio euro è una impresa degna di un esegeta biblico! Credo che politiche di austerità non siano utili per far ripartire la crescita di cui c’è urgente bisogno,ma non sono proprio in grado di pensare male della Merkel che vuole che i bilanci stiano in piedi e si faccia finalmente sta convergenza ai parametri di Maastricht. Spending review è la ricetta su cui dovrebbe concentrarsi il presente governo,altro che andare sotto su emendamenti sui poteri di Bondi estesi anche a FS e Poste.La riforma della pensioni era necessaria per garantire di stare sul sentiero di rientro del disavanzo,ma di equità se ne è vista poca,meglio era rivedere retroattivamente il retributivo.La riforma del lavoro,della corruzione,dei tempi della giustizia e dei pagamenti PA/privato e privato/privato sono questi i veri spread che l’Italia paga nel confronto europeo.Uscire dall’euro,svalutare sono più dannosi che utili;la bce quale lender of last resort temporaneo per sostituirsi agli investitori fuggiti(e non per nuovo debito) potrebbe essere ideale per dare tempo all’unione politica/fiscale/bancaria di attuarsi,temperando gli spread;alambiccarsi sui fondi europei è futile.

  11. Piero

    Non sanno piu’ cosa fare, Monti ha proposto che i paesi in regola invece di chiedere l’aiuto per il fondo Efsf, vi possono attingere concedendo delle garanzie, chiaro che l’unica garanzia che lo stato puo’ dare consiste nelle riserve auree ( discutibile) e nelle partecipazioni statali, che fanno gola ai tedeschi e ai francesi, gia’ e’ stato detto a Monti che se vuole vendere il suo oro o le sue partecipazioni bene, ma quelle degli italiani non si toccano. Calcistica mente abbiamo vinto Monti vinca la battaglia con la Merkel, altrimenti si dimetta.

  12. Piero

    Se questi sono i problemi anche da me condivisi per evitare il contagio non e’ difficile comprendere che Monti sta facendo il contrario di quello che dovrebbe fare, il debito pubblico si cura con la crescita che assorbirà la disoccupazione, allora si capisce che la crescita va messa al primo posto, allora Monti afferma che dopo la politica del rigore la crescita e’ piu’ forte, Monti vuole che il consumo in Italia diminuisca e che aumenti l’export, in tale modo il surplus finanzia il debito pubblico, noi dobbiamo lavorare di piu’ consumare di meno e vendere di PIU ‘ all’estero creando surplus finanziari, il ragionamento a livello economico e’ giusto, pero’ esso si scontra contro gli equilibri sociali raggiunti in Italia, equilibri che ultimamente si stanno mettendo in discussione, la cura dimagrante in primis la devono fare i politici poi metteranno le mani in tasca gli italiani, ma cio’ non sta succedendo con Monti, non siamo stati capaci di livellare gli stipendi dei parlamentari ai livelli europei, la commissione a cio’ preposta ha gettato la spugna perché non e’ riuscita a fare i calcoli. Penso che sia l’ora di un governo politico che faccia cosa gli italiani si attendono.

  13. Piero

    Gli italiani si aspettano una forte cura dimagrante dello stato e una forte pressione sull’Europa per risolvere i problemi della crescita che con l’euro non dipendono piu’ dalla politica italiana; in sintesi politica interna di riduzione del costo dello stato sia a livello politico che di servizi, ben venga la spending rewiew ma iniziano dagli stipendi dei parlamentari, ma non dalla sanita’; politica europea che deve risolvere il problema della crisi dei debiti sovrani causata dall’attuale politica monetaria, gli accordi raggiunti la fine del mese sono solo propaganda di Monti per rimanere in sella al governo. Perché Monti non riferisce delle sue affermazioni sul fiscal combact, disse a dicembre 2011 che la riduzione del debito di 40 mld all’anno per il quale ci siamo obbligati si raggiunge da solo senza manovre vediamo a settembre quello che si dovra’ fare, non si rispetteranno gli impegni presi con il fiscal e recepiti in parlamento a marzo 2012, penso che gli italiani meritino piu’ trasparenza.

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