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QUEL BRINDISI SULLA PLANCIA DEL TITANIC

Tutti insieme appassionatamente, politici, banchieri, membri del governo e capi delle fondazioni hanno celebrato il futuro delle fondazioni. Che però non promette bene. Come rivela uno studio di Mediobanca, la loro redditività e la loro efficienza sono ridotte al lumicino. Mentre i pletorici board sono la rappresentazione della spartizione politica, senza vere competenze all’interno. La separazione tra fondazioni e banche è improrogabile per la salute stessa del capitalismo italiano, soprattutto in tempo di crisi.

“Un vero servitore dello Stato. Nanni (Giovanni Bazoli, presidente di Intesa Sanpaolo, ndr) non ti ho mai detto che, se avete fatto l’aumento di capitale con il nostro sostegno, il merito è di Vittorio Grilli””. Questo, secondo le cronache, il giudizio del presidente della Fondazione Cariplo e del sindacato delle fondazioni (l’Accri) Giuseppe Guzzetti, sul vice-ministro dell’Economia, vale a dire l’unica autorità oggi formalmente chiamata a controllare l’operato delle fondazioni.

UNA RIMPATRIATA TRA AMICI

A Predazzo, al seminario sul futuro delle fondazioni, a quanto pare, c’erano tutti e avevano tutt’altro che gli occhi rossi e i cappelli in mano. Una vera e propria rimpatriata tra amici: il controllore che si complimenta con il controllato (le fondazioni sono rigorose e solidali al tempo stesso e, grazie alla leadership di Guzzetti, hanno capito che devono lavorare insieme, Grilli dixit); il nominato che fa le riverenze all’azionista che lo ha nominato (parlare di fondazioni davanti a Guzzetti è come parlare di Chiesa davanti al Papa, si profonde Bazoli), l’azionista che ricambia e, come si è visto, ringrazia entrambi. Ma è proprio questo abbraccio festoso e autocelebrativo tra fondazioni, banche e politica che sta sgretolando il capitale delle fondazioni condannandole ad un inesorabile declino.

LO STUDIO DI MEDIOBANCA

Un recente accurato studio di Mediobanca (1) ha cercato di rendere un popiù trasparente il mondo delle 88 fondazioni bancarie che compongono il regno di Giuseppe Guzzetti. Le risultanze di questo studio sono inquietanti. Le fondazioni sono tuttora le principali azioniste delle banche conferitarie, nonostante la legge prevedesse da tempo la loro graduale fuoriuscita dal capitale delle stesse. Questa concentrazione ha fatto precipitare i rendimenti degli investimenti delle fondazioni rispetto anche a benchmark di portafogli a “rischio zero”mentre le ha sovraesposte ai rischi che si sono poi materializzati negli ultimi due anni. Oggi le fondazioni hanno visto crollare le loro entrate, dato che le banche non sono più in condizione di staccare dividendi. Indicativo il caso della Fondazione Monte Paschi, che si è indebitata per partecipare all’aumento di capitale MPS e sembra avere i giorni contati dato che la banca conferitaria dovrà nei prossimi anni destinare 350 milioni di utili a ripagare i Tremonti bond.
In mancanza di una sorveglianza che non fosse di natura strettamente politica, anzi benedette dai politici locali che le hanno utilizzate come dispensatrici di poltrone e finanziamenti, le fondazioni hanno visto ridursi la produttività del loro personale del 30 per cento in dieci anni. I costi sono cresciuti 7 volte di più delle entrate. Sostengono altissimi costi fissi per il compenso dei loro pletorici organi statutari. Tanto pletorici da portare un membro di questi organi ad amministrare in media 150 milioni, dieci volte meno del capitale amministrato da un membro del board nelle grandi fondazioni non-profit.

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INTERVENTI SPARPAGLIATI E SCARSA COMPETENZA

Le fondazioni italiane sono concepite in modo esattamente opposto a come sono disegnate in tutto il mondo. Fondazioni come Guggenheim o Bill&Melinda Gates sono organizzate e focalizzate intorno al proprio obiettivo: la promozione dell’arte la prima, quella della salute nei paesi in via di sviluppo la seconda. E seguono una strategia di forte diversificazione nella gestione delle proprie risorse. Le fondazioni italiane sono organizzate all’ opposto. Hanno una scarsissima diversificazione del proprio portafoglio, investito in una singola istituzione, mentre sparpagliano i loro interventi a tutto campo.
Inoltre i membri dei board delle fondazioni non hanno la preparazione economica e finanziaria minime indispensabili per le posizioni che occupano. Quindi la concentrazione dell’investimento non consente neanche di ottenere un premio in termini di capacità di controllo, comporta solo maggiore esposizione al rischio. Solo l’1 per cento dei membri dei CdA ha competenze di finanza.
Le poltrone vengono, in effetti, assegnate come presidio di gruppi di interesse con un quarto delle poltrone ai vertici delle fondazioni occupato da politici. Queste nomine vengono puntualmente ripagate da scelte di finanziamento favorevoli alle constituency di riferimento (più medici nei board, maggiori gli investimenti in sanità, più i professori negli organi statutari, maggiore la quota di investimenti in istruzione). Si noti che più forte è la presenza dei politici nei board, minore la quota di finanziamenti a strumenti e organizzazioni di contrasto alla povertà nell’ambito del cosiddetto welfare municipale. Sono altre le priorità.

MA NEL DECRETO SVILUPPO LA RIFORMA NON C’È

Come più volte rimarcato su questo sito, la separazione fra banche e fondazioni non è più rinviabile. La crisi finanziaria ha messo a nudo i loro difetti congeniti. È una di quelle riforme degli assetti proprietari del nostro capitalismo che serve tanto nell’immediato della crisi quanto una volta che la crisi sarà finita. Peccato che il ministro Passera nel suo Decreto sviluppo (ancora “salvo intese”) abbia messo di tutto meno che questa riforma essenziale per rendere al tempo stesso più efficienti e più stabili le banche italiane, contribuendo al rilancio di tutto il nostro sistema produttivo.
Le Fondazioni sono oggi di fronte a un bivio. O si separano dalle banche e diventano enti morali, con una missione di pubblica utilità ben definita, oppure meglio rimettere mano alla legge e destinare il loro patrimonio alla riduzione del debito pubblico. Dati i tempi sarebbe senz’altro un progetto di pubblica utilità.

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(1) Chi fosse interessato al rapporto Mediobanca si rivolga a andrea.filitri@mediobanca.it

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LE CONSEGUENZE POLITICHE DELLA CRISI ECONOMICA

  1. Tommaso Pieragnoli

    Buonasera, oltre alla separazione tra banche e fondazioni è opportuno che si separino le banche in due categorie: una che comprenda le banche commerciali, l’altra le banche di investimento. In Inghilterra questa normativa è entrata in vigore, se non erro, lo scorso anno e negli Stati Uniti è stata in vigore fino al dicembre del 1999. Si deve riportare le banche a fare il loro lavoro e cioè raccolta ed impieghi perchè solo così possiamo dare un po’ di fiato all’economia. Che cosa ne pensate voi in merito?

  2. michele

    La mia opinione è che debbano esser eliminate tout court, sono una porzione importante – e condizionante – di Casta border line. Che, con grande disinvoltura, si muove tra politica, intrecci affaristici perversi, intrallazzi. L’utilità per la collettività è zero, aldilà di quel che vorrebbero far credere, perchè più che far erogazioni liberali, spesso queste fondazioni non fan altro che intermediare fondi che, di fatto, provengon comunque dai cittadini e dal pubblico, che però non esercitano alcun controllo. Basti pensare proprio a MPS (di suo, dovrebbe esser fallita) che sostiene attività le più varie nei propri territori di riferimento, con cifre che van dalle poche decine di migliaia di euro alle diverse centinaia di migliaia. Quelle cifre sono uno strumento di gestione micro clientelare del consenso, e saranno ora scaricate, di fatto, sui cittadini, che attraverso il Tesoro contribuiranno con quasi 4 miliardi a salvare la banca connessa. Miliardi che, con la subitanea erogazione, stan li a dimostrare che per certe attività per niente meritorie (vedi acquisizione Antonveneta), esistano canali privilegiati e incontrollati. 4 miliardi, e non ci son soldi per gli esodati.

  3. jojo

    Instituzioni debole, poteri concentrati. immobilismo strutturale e interessi privati… che futuro? nel migliore dei casi si fa ricomprare a pezzi per pezzi (alitalia, bnl, bulgari, ….), nel peggiore non trova aquirente che sodisfi gli interessi della casta e collasserà su stessa (da definire qual è la massa critica di citadini insoddifati, giovani, pensionati, utenti di servizi pubblici scadenti). che spreco alla faccia della civiltà… putroppo tale padre tale figlio (instituzioni debole, citadini deboli).

  4. andreag

    Anche questo si aggiunge alla lista di cose da migliorare in questo paese, dove il clientelarismo è stato imperante, dalla Roma cesarea ai Comuni, ai feudatari/vassalli/valvassori/valvassetti, al periodo liberale giolittiano alla prima repubblica e alla seconda. Mi pare che si potrebbe stilare una storia breve dell’italia solo parlando del fenomeno del clientelarismo e dell’inutilità delle cattedrali nel deserto nate apposta per i clientes oppure spartiti pro domo sua. Come riuscire a scalfire poteri costituiti e aggrappatisi a ventosa sulle poltrone…beh non ne ho idea. E se penso che neppure le guerre mondiali con tutto il macello seguitone hanno fatto finire questo costume c’è da credere che è fenomeno culturale e civile italiano. Non proprio un orizzonte piacevole.

  5. Giovanni Barone-Adesi

    L’ unione bancaria europea risolverà il problema del controllo attraverso la richiesta dei necessari aumenti di capitale, che le fondazioni non saranno in grado di sottoscrivere. Il problema dello sperpero di risorse dovrebbe risolversi successivamente in tempi brevi.

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