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La casa delle regole europee? Un labirinto *

Con due nuove regole, una sulla spesa e una sul debito, proseguiamo nell’esame delle norme di finanza pubblica a cui devono attenersi i paesi europei. Insieme alle altre creano un dedalo difficile da decifrare, che si presta a molte interpretazioni. E anche a possibili forzature.

LA REGOLA SULLA SPESA

Nelle puntate precedenti, abbiamo esaminato i saldi strutturali e l’obiettivo di medio termine (Mto), o meglio la regola che prevede il rispetto del Mto. Nella puntata odierna, esamineremo altre due regole europee di finanza pubblica: una sulla spesa e una sul debito. Si aggiungono e si intersecano a quelle esaminate in precedenza, venendo a creare un dedalo difficilmente decifrabile e, soprattutto, che si presta a molte interpretazioni e quindi a tentativi di aggiramento o forzatura. Se qui risiede la flessibilità delle regole europee, si tratta di una flessibilità assai opaca e forse neanche sufficiente.
Il Six-Pack del 2011 introduce, nell’ambito del braccio preventivo del Patto di stabilità e crescita, un limite all’espansione della spesa (expenditure benchmark), diretto a rafforzare il raggiungimento dell’obiettivo di medio termine (Mto). Ciò in base al principio secondo cui le entrate straordinarie – in quanto eccedenti il gettito normalmente atteso dalla crescita economica – andrebbero destinate alla riduzione del disavanzo e del debito, mantenendo al contempo la spesa su un sentiero stabile e sostenibile over the cycle. Ciò equivale a impedire un uso discrezionale della spesa nella fasi nel ciclo, affidando interamente la funzione di stabilizzazione anticiclica agli stabilizzatori automatici. Nel valutare i progressi ottenuti dagli Stati membri verso il raggiungimento del Mto, la Commissione esamina l’evoluzione della spesa pubblica rispetto al tasso di crescita di medio periodo del Pil potenziale. Con il che si ritorna ai problemi, già esaminati nella prima puntata, di stima del Pil potenziale che rendono la regola abbastanza incerta: una stima non corretta del potenziale si riflette sull’ammontare di spesa pubblica ammissibile e quindi può avere effetti pro-ciclici indesiderati. (1) Il limite massimo per la variazione della spesa è diverso a seconda della posizione di ciascuno Stato rispetto al proprio Mto. Per i paesi che lo hanno conseguito, l’aggregato di spesa, espresso in termini reali, può muoversi in linea con il tasso di crescita di medio periodo del Pil potenziale (calcolato su dieci anni). Per quelli lontani dal loro Mto, la crescita dell’aggregato di spesa deve essere ridotta rispetto al tasso di crescita potenziale di medio termine di un ammontare che, comunque, garantisca una riduzione del saldo strutturale di bilancio di almeno 0,5 punti percentuali ogni anno. Per il triennio 2011-2013, il limite massimo di crescita della spesa per il nostro paese, fissato dalla Commissione europea, richiedeva una riduzione, in termini reali, di 0,81 per cento l’anno. Per il triennio 2014-2016 il benchmark aggiornato dalla Commissione europea richiede invece una riduzione maggiore, pari a -1,07 per cento.

LA REGOLA SUL DEBITO

Con il Six-Pack, il criterio del debito del Trattato di Maastricht (il mitico rapporto pari al 60 per cento tra debito pubblico e Pil) viene reso per la prima volta operativo, attraverso la definizione di che cosa sia una riduzione “a ritmo soddisfacente” del rapporto debito/Pil. Di conseguenza, è possibile avviare una procedura di deficit eccessivo anche nel caso di violazione della regola sul debito. In realtà, è stato delineato un procedimento di verifica estremamente complesso e certamente di difficile comprensione per le opinioni pubbliche nazionali. (2) Il regolamento n. 1467/1997, riformulato dal Six-Pack, stabilisce che, per la quota del rapporto debito/Pil in eccesso rispetto al valore del 60 per cento, il tasso di riduzione debba essere pari a un ventesimo all’anno, nella media dei tre precedenti esercizi (versione backward looking). Ma prima di avviare una procedura sanzionatoria nei confronti di uno Stato membro, occorre verificare se la riduzione a ritmo adeguato, eventualmente non realizzata nel passato, si potrà realizzare almeno nei successivi tre anni, in base alle previsioni della Commissione europea (versione forward looking). Qualora nemmeno la versione forward-looking sia rispettata, gli Stati membri hanno ancora una chance di evitare la procedura. Infatti, il regolamento precisa che nella valutazione del rispetto della regola si terrà conto dell’influenza del ciclo economico. Con questo aggiustamento si intende ovviare alla potenziale pro-ciclicità della regola, che è un rischio insito anche nelle norme riguardanti il debito. Il rapporto debito/Pil quindi viene rettificato sia al numeratore, sia al denominatore. Nelle fasi negative del ciclo economico, il rapporto debito/Pil aggiustato risulta inferiore rispetto a quello effettivo, in quanto il debito viene depurato dall’effetto degli stabilizzatori automatici e il Pil dei tre anni precedenti viene fatto variare al tasso di crescita del Pil potenziale (che entra di nuovo in gioco). Solo se nessuna di queste tre condizioni viene soddisfatta, la regola del debito è considerata non rispettata. Tuttavia, nel valutare l’opportunità di raccomandare al Consiglio europeo l’apertura di una procedura per disavanzo eccessivo, oltre all’analisi quantitativa sul benchmark numerico, la Commissione deve effettuare delle valutazioni “qualitative” relative a un certo numero di “altri fattori rilevanti”. (3) Qualora la violazione del criterio del debito possa essere imputata a tali fattori rilevanti, lo Stato interessato non può essere sottoposto a procedura per infrazione. È stato inoltre previsto un periodo di transizione di tre anni per l’applicazione della regola per gli Stati, Italia compresa, che alla data dell’8 novembre 2011 risultavano sottoposti alla procedura di disavanzo eccessivo. I tre anni del periodo di transizione sono successivi all’anno in cui il deficit eccessivo viene corretto. In tale periodo, gli Stati devono comunque prevedere un aggiustamento fiscale lineare, strutturale, minimo (Minimum Linear Structural Adjustment, Mlsa) tale da garantire un progresso continuo e realistico verso il benchmark del debito.

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I RISCHI DELLA BASSA CRESCITA E DELLA DEFLAZIONE

Quale rapporto esiste tra la regola del cosiddetto rispetto del Mto (o impropriamente “pareggio di bilancio”) e la regola sul debito? Come evidenziato da molti, la regola del rispetto del Mto è più stringente della seconda, e in condizioni normali, il rispetto della prima implica il rispetto della seconda. (4) Le condizioni normali sono quelle in cui il Pil nominale cresce, sia pur di poco, anche in assenza di crescita reale, per l’aumento del livello generale dei prezzi. Poiché ciò che va ridotto di un ventesimo in media all’anno, ai sensi del Six-Pack, non è lo stock di debito in valore assoluto, bensì il rapporto tra due variabili espresse in termini nominali (il debito a numeratore, il Pil a denominatore), si può dimostrare che, in presenza di un sostanziale equilibrio di bilancio (assenza o quasi di nuovo indebitamento), la crescita del Pil nominale tende a ridurre il rapporto debito/Pil. È possibile che, in questa situazione, il rispetto della regola del ventesimo implichi comunque la necessità di manovre correttive addizionali (oltre a quelle per mantenere l’equilibrio). Tuttavia, quanto sovente riportato dai media – cioè che tali manovre sarebbero, nel caso dell’Italia, pari a 45-50 miliardi annui – è senz’altro fuori luogo. Il problema si pone, invece, quando il Pil nominale si riduce. Un evento che, nel nostro Paese è capitato solo tre volte del dopoguerra, ma tutte e tre nel corso della crisi economica post-2008: nel 2009, nel 2012 e nel 2013. I segnali di deflazione che si diffondono costituiscono ovviamente un early warning sui rischi di una possibile crescita bassa del Pil nominale, in presenza, peraltro, di una crescita ridotta o nulla in termini reali.
Purtroppo, la flessibilità prevista dalla complessa impalcatura delle regole europee non è certo trasparente, ma non sembra né sufficiente, né abbastanza certa e tempestiva da compensare, nelle situazioni più gravi, la mancanza di una politica anticiclica discrezionale di livello europeo (quale sarebbe consentita da un robusto bilancio federale, come negli Stati Uniti) o quantomeno coordinata in modo vincolante tra tutti i paesi dell’Unione (monetaria).

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* Le opinioni qui espresse sono personali e non coinvolgono l’istituzione presso la quale Lucio Landi esercita la propria attività professionale.

 

(1) L’aggregato di riferimento su cui è applicata la regola, è dato, in ciascun anno, dal totale delle spese della Pa, al netto della spesa per interessi, delle spese nei programmi europei pienamente coperte da fondi comunitari e della variazione delle spese non discrezionali per indennità di disoccupazione. Inoltre, l’aggregato di spesa considerato deve essere depurato dalla volatilità intrinseca nella serie degli investimenti. Al valore della spesa così ottenuto deve essere sottratto l’importo delle entrate derivanti da misure discrezionali. La spesa così determinata è quindi deflazionata con il deflatore del Pil.
(2) La procedura per la violazione dei criteri di Maastricht prende lo stesso nome, sia che riguardi il rapporto del 3per cento tra deficit e Pil, sia che riguardi quello del 60 per cento tra debito e Pil.
(3) Questi fattori, oltre agli andamenti di medio periodo delle principali variabili macroeconomiche di finanza pubblica e del rapporto debito/Pil, sono: 1) gli andamenti della posizione debitoria a medio termine, oltre ai fattori di rischio quali la struttura per scadenze e la denominazione in valuta del debito; 2) le operazioni di aggiustamento stock-flusso del debito; 3) le riserve accantonate e le altre voci dell’attivo del bilancio pubblico; 4) le garanzie, specie quelle legate al settore finanziario; 5) le passività, sia esplicite che implicite, connesse all’invecchiamento della popolazione; 6) il livello del debito privato, nella misura in cui rappresenti una passività implicita potenziale per il settore pubblico; 7) gli interventi di sostegno agli Stati membri o nei confronti del European Stability Mechanism attuati nel contesto della salvaguardia della stabilità finanziaria europea.
(4) Ad esempio, Giuseppe Pisauro (2012) 

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  1. antonio petrina

    IL Credit Suisse ( Avvenire 22/07/2014) ha calcolato il Pil potenziale per 10 anni dell’Italia in confronto con la media europea del Pil (2%) e siamo sempre sotto e quindi ciò dimostra il paradigma di Mussgrave e di Modigliani ( 1996) cioè che solo gli investimenti pubblici fissi lordi, non le riforme strutturali e/o distributive (D’altronde quella previdenziale, che generava il secondo debito pubblico, (Castellino) è stata già approvata) rendono sostenibile e solvibile il debito pubblico italiano.

  2. Vi segnalo questo articoli dove si approfondisce la regola del debito

  3. Il Six- Pack e il Tsgc, sono politiche europee suicide, hanno previsto obbiettivi e sanzioni ma non hanno curato la crisi dell’euro zona. Sono misure prese senza un consenso democratico, sono state imposte dalla Commissione europea e approvate in Italia dal governo Monti.
    Tali misure sono state prese considerando che l’area euro è formata da stati “spreconi” è stati “virtuosi”, naturale che il male che deve essere curato e’ quello degli stati spreconi, eccesso di spesa etc. Solo un governo pazzo o subordinato agli stati virtuosi poteva fare approvare simili provvedimenti che minimamente affrontavano l’origine della crisi, anche se in passato si parlo’ di mutualizzare con gli eurobond una parte di debito pubblico degli stati euro. L’approvazione da parte del parlamento in quel momento fu un passo obbligato, fu rappresentata una situazione di crisi talmente grave che l’unica soluzione sarebbe stata l’approvazione di simili provvedimenti. Oggi finalmente si prende atto della inutilità di tali misure, siamo in presenza di deflazione, vi sarà un peggioramento del rapporto debito/Pil a meno che non vi siano manovre fiscali straordinarie, naturalmente i paesi “spreconi” hanno un livello di debito oltre la soglia e hanno un alto carico fiscale, non potranno fare nessuna manovra fiscale, ridurranno sempre più i consumi, ne pagheranno le conseguenze anche i paesi “virtuosi” (le loro virtù sono derivate principalmente dalle esportazioni verso i paesi “spreconi”).

  4. vittorio palmieri

    Volendo interpretare in chiave politica, mi sembra di poter dire che queste norme soffrono di una impostazione “clericale”. Tutto, ma anche il suo contrario, sicché è già stato previsto che ci saranno certi paesi che abbaieranno alla luna, altri che giocheranno a fare i guardiani del tempio. Il punto centrale è e sarà la comunione dei beni e dei debiti. Alla fine, la via ortodossa non sopravviverà o non si farà l’Europa. Disseminare la via per raggiungere questo traguardo di ceci su cui inginocchiarsi per fare penitenza, sa tanto di clericale.

    • Rainbow

      D’accordo che occorre ridurre il debito,ma per farlo non si puo’far leva solamente sulla riduzione della spesa pubblica. La spesa pubblica italiana,sia in termini assoluti che relativi,non e’fuori linea rispetto alla media europea. Fonte ocse,dati 2012, la spesa primaria e’al 44,8%,l media U..E e’quasi un punto superiore! Il problema della spesa italiana e’qualitativo,non quantitativo. La spesa x investimenti e’solo del 4%, mentre il resto e’spesa corrente quindi il moltiplicatore e’basso. Andrebbe profondamente riqualificata più che ridotta. La vera anomalia italiana e’una evasione fiscale pari a circa 150 miliardi,il 10% del Pil,di cui recuperiamo soltanto il 1% rispetto al pil! Questa e’la vera anomalia,e la ragione x cui le tasse sono alte. Per il resto,occorrerebbe far ripartire la crescita,far salire il pil e ridurre cosi il rporto Debito/Pil,e anche qui,i dati recenti indicano un calo verticale sia degli investimenti pubblici,sia di quelli privati. Poi occorre,x far ripartire la crescita,fare una serie di altre cose ( le cause della bassa crescita sono molteplici,anche se nella retorica corrente,questo non emerge):velocizzare la giustizia x attirare investimenti esteri,riformare e ridurre la burocrazia,ridurre i costi delle imprese,favorire il credito alle imprese,erc. E qui torniamo alle famose riforme strutturali ( compreso il recupero di una parte dei 150 miliardi di evasione/elusione) che da anni non si riescono a fare o a portare avanti!

  5. Maurizio Cocucci

    Le regole sono certamente complesse e contengono margini di valutazione discrezionale da parte della Commissione Europea, ma renderle semplici avrebbe come vantaggio (legittimo) quello di una semplice valutazione da parte di chiunque in termini di stima circa le manovre da adottare senza la necessità di attendere la relazione da Bruxelles, certamente però non cambierebbe di molto la sua entità se non per qualche decimale. Il principio base di questi trattati è quello da considerare: il peso del debito deve assolutamente rientrare in proporzioni sostenibili altrimenti l’economia non potrà riprendersi. Il dogma quindi è ridurre la spesa oppure offrire un insieme di servizi che valga la spesa sostenuta e nel caso dell’Italia questa ipotesi la considero personalmente del tutto utopistica. Noi non abbiamo la rettitudine morale degli scandinavi che hanno una spesa pubblica in rapporto al Pil maggiore della nostra ma con effetti sui cittadini molto diversi. Noi dobbiamo ridurre al minimo il peso dello Stato, il quale deve occuparsi solamente dei servizi e investimenti essenziali ma poi lasciare al privato tutto il resto. La ricchezza non la crea il pubblico ma il privato e se quest’ultimo è falcidiato da oneri fiscali per pagare una spesa in gran parte sproporzionata non vi può essere crescita, lavoro, occupazione, benessere. E se così, il mancato rispetto di questi trattati e le eventuali sanzioni saranno l’ultimo dei problemi.

  6. Confucius

    Le regole europee somigliano sempre di più alle regole sui derivati, dove il rendimento (in questo caso il valore dei parametri) dipende da grandezze non oggettive e valutate sulla base di metodi di calcolo fumosi, lasciando spazio ad opinabili azioni di “window dressing” (vedi l’inserimento nel PIL delle attività legate alla prostituzione ed al contrabbando [tipici valori stimati, in quanto per definizione non se ne conosce l’esatto ammontare]). Tanto per fare un esempio, non conta tanto il PIL effettivo (magari anch’esso opinabile, ma almeno fornito da Enti ufficiali) quanto lo scostamento da quello potenziale calcolato (da chi? ma da chi deve poi dare il verdetto sul raggiungimento degli obiettivi stessi, quindi autoreferenziale) sulla base di formule matematiche fondate su ipotesi da verificare a posteriori. Ci saranno quindi sanzioni per sforamenti su anni passati, a seguito del ricalcolo delle grandezze negli anni successivi? Quanto poi alla solvibilità del debito pubblico italiano: ma qualcuno pensa veramente che un debito da oltre quattro milioni di miliardi delle vecchie Lire (10^15, cifra astronomica come la distanza in chilometri della stella più vicina o l’entità mitica del capitale di Paperon de Paperoni [i famosi fantastiliardi]) sarà mai estinto?

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