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Il “capitalismo patrimoniale” secondo Thomas Piketty

Piketty riporta al centro del dibattito il tema della disuguaglianza. E di come questa si perpetua di generazione in generazione, con un capitalismo patrimoniale che si fonda sull’accumulazione, da parte di pochi, di rendite dovute a beni ereditati. Classe media in declino e freni alla crescita.
UN’ANALISI DELLA DISUGUAGLIANZA
Capital in the Twenty-First Century di Thomas Piketty è un contributo importante al pensiero economico. (1) Riporta al centro del dibattito economico e politico il tema della diseguaglianza e della sua perpetuazione tra generazioni attraverso la trasmissione ereditaria delle diverse forme di capitale fisico, finanziario e umano, in una impostazione che può essere definita “classica”. L’analisi di Piketty è rivolta a spiegare il ruolo dell’accumulazione di capitale e della distribuzione del reddito sul e nel processo di crescita dell’economia. L’esito distributivo viene ricondotto a un conflitto tra categorie di percettori, più numerose ed eterogenee rispetto a quelle prese in considerazione da Ricardo o Marx. Non solo i lavoratori si contrappongono ai percettori di redditi da capitale e di rendite ma, all’interno di questa categoria, si distinguono i percettori di rendite finanziarie rispetto a quelli da proprietà immobiliare. Si deve a Piketty l’avere sviluppato, insieme a due colleghi (Anthony Atkinson a Cambridge ed Emmanuel Saez a Berkeley) una metodologia per ricostruire il livello di diseguaglianza nella distribuzione non solo dei redditi, ma anche della ricchezza nel lungo periodo, tanto in quei paesi occidentali dove esiste da tempo un’imposta personale sui redditi, quanto in Cina, in India e in molte nazioni dell’America latina. Raramente, in precedenza, l’analisi della diseguaglianza era stata effettuata nel lungo periodo: anche quando lo si era preso in considerazione, le stime della diseguaglianza riguardavano infatti solo i redditi, e quasi mai la ricchezza.
Il conflitto distributivo appare a Piketty particolarmente rilevante quanto ci si riferisce all’1 per cento più ricco. L’attenzione per tali percettori è un fenomeno molto recente. Per effettuare questa analisi è necessario infatti adottare specifici metodi di stima, condizionati dalle differenze fra i regimi fiscali e fra i tassi di evasione. In particolare, occorre risolvere problemi di comparabilità tra paesi, con particolare riferimento alla stima dei redditi finanziari.
L’analisi di Piketty mostra come i redditi più elevati costituiscano una quota significativa del reddito nazionale e del totale delle entrate fiscali, anche se i rispettivi percettori rappresentano una percentuale molto modesta della popolazione. Il gruppo dell’1 per cento più ricco non comprende d’altra parte solo percettori di redditi da capitale, ma anche di redditi da lavoro. Tra le possibili spiegazioni della crescita dei redditi più elevati si deve annoverare, dunque, anche il funzionamento del mercato internazionale del lavoro. I compensi più alti di alcune categorie di lavoratori come i manager e le cosiddette “superstar”, sono fissati dalle stesse categorie manageriali sulla base di criteri molto diversi da quelli prevalenti nel mercato del lavoro. Negli Stati Uniti (definito paese a diseguaglianza elevata) il reddito disponibile dell’1 per cento più ricco della popolazione è stato stimato, nel 2010, pari a ben il 20 per cento del totale (dati pubblicati dal Congressional Budget Office) essendo cresciuto tra il 2009 e il 2010 con una velocità ben superiore a quella di qualsiasi altro gruppo. In parallelo all’arricchimento progressivo dell’ultimo percentile, si è ridotto il peso della classe “media” (definita come quella che corrisponde al secondo, terzo, e quarto “quintile”, complessivamente al 60 per cento dei percettori): ha ricevuto, nel 2012, una quota pari al solo 45,7 per cento.
QUANDO IL PASSATO DIVORA IL FUTURO
In un sistema caratterizzato da quello che Piketty definisce il “capitalismo patrimoniale”, fondato sull’accumulazione, da parte di pochi, di redditi costituiti da rendite improduttive, e cioè provenienti da beni ereditati piuttosto che da beni accumulati con il risparmio originato dai redditi da lavoro, “il passato divora il futuro”. Se il processo di crescita del prodotto netto rallenta a causa di fattori esogeni (demografici o tecnologici) e il capitale cresce più rapidamente del reddito nazionale, i redditi da capitale assumono un’importanza sempre maggiore rispetto ai redditi da lavoro. Non solo aumenta la diseguaglianza, ma si innesta un circolo vizioso tra diseguaglianza e crescita. L’accesso ai gradi più elevati dell’istruzione è infatti costoso e le categorie più povere, ma oggi anche gran parte della “classe media”, ne vengono escluse, provocando un impoverimento del capitale umano. Piketty documenta come per circa un trentennio, dalla ricostruzione post-bellica agli anni Settanta (la cosiddetta “golden age”), il rapido processo di industrializzazione, insieme a politiche fiscali e di spesa pubblica progressive, abbia favorito la crescita della classe media, il consolidamento della democrazia e una crescita elevata in tutti gli Stati occidentali.
Questa fase si è invertita a partire dalla fine dello scorso secolo. In parallelo all’aumento della diseguaglianza si è osservato un rallentamento della crescita, se non un vero e proprio declino, almeno in alcuni paesi. Secondo Piketty, tuttavia, un aumento della diseguaglianza finisce con il frenare la crescita anziché stimolarla.
La pubblicazione di Il Capitale nel XXI secolo è stata accolta da recensioni molto positive su numerosi quotidiani e settimanali. Recentemente, tuttavia, sono apparse alcune critiche, sollecitate da un intervento di Chris Giles, responsabile della parte economica del Financial Times,circa l’attendibilità delle fonti dei dati nonché della correttezza di alcune stime. I rilievi critici sono stati seguiti da altrettanto numerosi articoli in difesa di Piketty. Lo stesso Piketty ha risposto sottolineando come le analisi delle relazioni tra diseguaglianza e crescita, pur basate su di un’abbondante evidenza empirica, non possano che essere il risultato di un’inferenza imperfetta, dal momento che appartengono all’ambito delle scienze sociali.
(1) Piketty, T. Capital in the Twenty-First Century, Cambridge, MA.: Belknap Press, Harvard University Press, april 2014, pagg. 696, $39,95, eBook $27,46.

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  1. plapla60

    Articolo che non condivido assolutamente. Il vero male di questi ultimi anni più della stortura patrimoniale alberga nella stortura reddituale mai vista a questi livelli neanche nel Medio Evo .Negli anni 60 il capo della Fiat guadagnava 20 volte più dell’operaio.Ora si parla di centinaia di volte . Nei paesi occidentali è nata una oligarchia ridotta di super pagati a scapito dei ceti medi e medio bassi .Negli stessi USA negli anni 60 le aliquote massime sul reddito arrivavano all’80 % ,ora al max siamo al 25/ 30( grazie al reaganismo) E tutto il sistema basato sui consumi è peggiorato. Queste sono le vere storture .
    Se un singolo guadagna al mese 100 , non consuma come 100 persone che guadagnano 1.E’ economia elementare ma forse qualche professore poco avveduto non lo sa.
    Non si risana un paese come l’Italia con tasse pazzesche sulla casa , aumentando la tassazione dei piccoli risparmiatori dal 20 al 26. Questa politica economica ci sta portando allo sfascio. Altro che capitalismo patrimoniale!

  2. Quando si parla di disuguaglianza, rammento che il problema sta nella “società dei consumi”, e che l’unica soluzione – dopo che tutto il resto ha già dimostrato di aver fallito – sta nella “società partecipativa” secondo Dottrina sociale: http://lafilosofiadellatav.wordpress.com/fiatpomigliano-darcomelfi-come-mettere-a-frutto-la-lezione-di-pier-luigi-zampetti-per-risolvere-il-conflitto-tra-capitale-e-lavoro/

  3. Alessandro

    Ho l’impressione che Lei non abbia letto, non dico il libro, ma neppure la presentazione!
    Tant’è che afferma concetti che già sono contenuti nella prefazione!

  4. rob

    senza una classe media non ci sarà benessere per nessuno neanche per il “capitalista” che di “classe media si nutre”. Il problema delle diseguaglianze è venuto drammaticamente alla luce con la globalizzazione e quindi con i nuovi assetti geo-politici. La classe media e lo Stato sociale si è formato in Europa frutto di un percorso storico, spesso anche drammatico ma ha le radici nel profondo di una cultura Romana e Greca che altri sistemi o blocchi geo-politici non hanno. La tanto acclamata civiltà USA è tale a fronte di un detenuto lasciato 20 anni in galera e poi ammazzato con un dose di veleno? Una civiltà del genere è una civiltà debole senza radici storiche e che non può essere presa a modello. L’ Europa deve difendere la sua civiltà e la sua classe media tasformando le altre “civiltà” e non faccendosi trasformare, Questa è la vera sfida!

  5. IC

    Non riusendo a tagliare le spese, lo Stato punta ancora sulle tasse, con la variante di colpire il parimonio oltre che i redditi. Lo studio di Piketty offre una giustificazione a questa nuova via per aumentare il gettito del Fisco. Ma Piketty parla di grandi patrimoni pensando a ordini di grandezza di centinaia di milioni di Euro, mentre fra i politici della sinistra italiana vi è chi sostiene che i grandi patrimoni inizino da alcune centinaia di migliaia di Euro. Queste proposte si basano sulla considerazione che in un’economia globalizzata i veri grandi patrimoni sfuggono alla tassazione

  6. Sarebbe da notare che l’Italia sta prevenendo la creazione di nuove ricchezze da tramandare perché i redditi e i nuclei famigliari con redditi medi sono tassati in proporzione di più di quelli con redditi alti.In molte famiglie di medio reddito,quando qualcuno comincia a lavorare viene “staccato” dal nucleo per non fare pesare la tassazione sul reddito che produce una persona che lo somma a quello del (o della) “capofamiglia” (definizione che il ministero dell’Economia e delle Finanze ha voluto mantenere facendo capire alle persone che “il” capofamiglia può essere solo uomo e che in una coppia lo Stato dice che è l’uomo, anche quando si tratta di chi ha il reddito più alto , che pare che sia quello su cui si basa tutta la dichiarazione dei redditi, e quindi i ricatti sul piano economico nelle famiglie continuano, purtroppo anche quando sono le donne ad avere redditi più alti perché il titolo di capofamiglia in molti contesti viene inteso come un titolo di comando, e le donne, se in molti contesti ,anche altoborghesi e anche nel nord del Paese, non possono rivalersi sull’uomo anche guadagnado di più,si rivalgono sui membri che le donne stesse mantengono e che se lavorano non risultano più mantenuti, ad esempio figlie e figli, che se si “staccano” non hanno più lo stesso tenore di vita che aggregati al nucleo fiscale famigliare, se non in casi in proporzione rari, se non si staccano fanno aumentare le tasse del nucleo stesso che quindi non “accumula” quasi niente).

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