Il contributo di solidarietà sulle pensioni alte si scontra con i principi di non discriminazione e non retroattività delle leggi, ma l’emergenza, come in altre occasioni, potrebbe giustificare queste violazioni. Un’alternativa sarebbe una manovra generalizzata quale l’eurotassa del 1997.
IL PRINCIPIO DELLA NON RETROATTIVITà
La proposta di tassare le pensioni più alte per sostenere altre forme di welfare- ad esempio, le pensioni deboli, gli esodati, la cassa integrazione – solleva questioni di principio che vanno affrontate prima degli aspetti di merito.
Primo principio, la non retroattività delle leggi.
Tesi della violazione: il vecchio sistema a ripartizione, giusto o sbagliato che fosse nel premiare oltre misura lo stipendio finale del lavoratore, era comunque il sistema imposto dalla legge. Sul piano sostanziale, poi, il vantaggio nella pensione era generalmente pagato dal lavoratore attraverso una più lenta dinamica del salario nella sua vita lavorativa. Anche il caso eclatante della promozione del militare al momento del pensionamento faceva parte di tutto un insieme di vantaggi e svantaggi che caratterizzava la carriera militare rispetto ad altri percorsi lavorativi e che nessuno all’epoca trovava scandaloso. In termini generali, le regole pensionistiche, che la cattiva influenza sindacale aveva alla fine reso fin troppo diversificate tanto da parlare di giungla pensionistica, facevano parte delle buone e cattive regole del gioco che determinavano la scelta individuale del settore di lavoro – pubblico o privato, dipendente o autonomo – e anche dello specifico lavoro all’interno di ogni settore. Modificare ex post le pensioni comporta quindi una duplice violazione, del diritto e della logica: modifica il contratto a prestazioni avvenute; e lo modifica in una singola regola che non piace più, dimenticando che essa interagiva con le altre regole contrattuali per formare un tutto inscindibile.
Obiezione: la non retroattività è senz’altro una regola positiva ma non un principio inderogabile. Lo Stato, infatti, la viola frequentemente, anche se celatamente, nei rapporti economici di lungo termine. Sono rapporti che nascono in un certo contesto considerato stabile e poi si scontrano con nuove regole che formalmente si applicano nel futuro ma di fatto retroagiscono sui valori pregressi. Un’inattesa imposta sulla casa o sulle rendite finanziare è pagata periodicamente da lì in avanti. magari da nuovi proprietari, e quindi non appare retroattiva nella forma; ma nella sostanza essa è pagata una tantum al momento della sua introduzione sotto forma di caduta del valore del bene patrimoniale. E non era forse sostanzialmente retroattiva l’imposta sui depositi bancari introdotta dal governo Amato nel 1992? E che dire dell’inatteso blocco dello stipendio nel pubblico impiego, che viola la progressione dei compensi che costituiva una radicata regola del settore ed era quindi incorporata nelle aspettative dell’impiegato al momento della sua scelta del lavoro? In conclusione, la bontà della regola della non retroattività non ha impedito la sua frequente soccombenza di fronte alle esigenze della finanza pubblica. Tanto più essa appare sacrificabile nell’emergenza attuale che, in fatto di principi, probabilmente ci obbligherà a derogare al nostro principio costituzionale del pareggio di bilancio, prima ancora che al Fiscal Compact europeo.
IL PRINCIPIO DELLA NON DISCRIMINAZIONE
Secondo principio, la non discriminazione.
Tesi della violazione: come ben sottolineato dalla Corte costituzionale nella sentenza del giugno 2013, il prelievo speciale sulle pensioni ha natura tributaria e quindi viola il principio dell’equità contemplato nell’art. 53 della Costituzione, secondo cui si paga in base alla capacità tributaria e non alla tipologia del reddito. Perché un pensionato deve versare allo Stato, a parità di reddito, più del lavoratore, del capitalista, dell’imprenditore?
Obiezione: il principio costituzionale di equità tributaria ha sempre qui tollerato forme ragionevoli di redistribuzione tariffaria e contributiva all’interno di svariati servizi pubblici e di schemi mutualistici di fatto obbligatori, con oneri alti sui soci e utenti forti che consentono oneri bassi sui soci e utenti deboli. Il principio di non discriminazione tributaria è insomma risultato compatibile con forme ulteriori di redistribuzione entro gruppi sociali più ristretti rispetto alla comunità nazionale, anche se larghi in assoluto. Da questo punto di vista si può sostenere che la redistribuzione tra pensionati di oggi e di domani ha buon fondamento, vista l’enorme disparità tra le alte pensioni del sistema retributivo di cui godono parecchi pensionati odierni e le magre pensioni del sistema contributivo che attendono molti giovani.
Si sa che, dopo la citata sentenza della Corte Costituzionale del giugno 2013, la Finanziaria 2014 elaborata dal governo Letta ha introdotto una nuova forma di contributo di solidarietà sulle alte pensioni, caratterizzato rispetto al precedente dalla temporaneità, essendo previsto per il triennio 2014-2016, dalla più alta soglia della pensione colpita, dalla generalità delle forme pensionistiche incluse nello schema. Non c’è stato finora pronunciamento contrario da parte della Corte. Forse per il breve tempo trascorso dalla sua introduzione ma forse perché la nuova forma di solidarietà supera le vistose discriminazioni della legge del 2011 e configura un’accettabile redistribuzione in senso lato mutualistico. Il tempo chiarirà.
Per ora si può concludere che le questioni di principio appaiono serie ma non dirimenti e potrebbero perciò ammettere una manovra speciale sulle pensioni, particolarmente se configurata come misura transitoria di redistribuzione all’interno del settore pensionistico, dettata dall’emergenza di una finanza pubblica che cerca di coniugare risanamento finanziario e rilancio economico.
UNA SOLUZIONE ALTERNATIVA C’È
Si può allora esaminare la questione nel merito. E qui si può essere molto brevi e osservare che la non retroattività e la non discriminazione, anche se derubricate da principi inderogabili a valori, rimangono riferimenti molto importanti nella vita collettiva. Allontanarsi da essi significa minare in profondità il rapporto tra cittadini e Stato, oltre che alimentare negli operatori esteri la fama di inaffidabilità dell’Italia. Tutto si può fare nell’emergenza, ma il Governo dovrà dimostrare che davvero non c’è alternativa ragionevole. Il dibattito appena avviato sulla legge di stabilità 2015 consentirà di configurare e valutare meglio le opzioni disponibili e quindi di prendere decisioni più consapevoli. E intanto sia consentito di concludere confessando di pensare con nostalgia all’eurotassa, il contributo straordinario e transitorio per l’Europa introdotto dal primo governo Prodi nel 1997 per entrare nell’eurozona e in buona parte restituito in seguito. Fu un atto coraggioso, degno di un popolo maturo che sa affrontare i problemi con lucidità ed equità Poi fu una rincorsa al populismo, nella ricerca del consenso elettorale a scapito delle soluzioni reali, che ha contribuito a generare il declino dell’Italia.
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ludovico
C’è un modo equo per approcciarsi al problema e che potrebbe passare il vaglio della Corte Costituzionale.
E’ evidente a tutti che siamo in una situazione disperata e che bisogna affrontare con realismo, ma con equità il problema. Perchè anche nelle situazioni disperate le misure devono essere coerenti in una società che intende sopravvivere. I problemi che affliggono l’Italia sono da un lato un’altissima tassazione e contribuzione che grava su una parte di cittadini e, dall’altro, un’altissima evasione ed elusione fiscale, passata e presente, di cui beneficia un’altra parte di cittadini.
Se non si risolve il secondo problema non si risolve il primo. Allora, dato che si parla di retroattività, anche questa va usata in modo uguale per tutti. Poichè si parla di andare a guardare i contributi versati, anche questo principio va esteso a tutti. Credo che se si facesse questo la Corte costituzionale non avrebbe nulla da eccepire.
Quindi per prima cosa rileviamo i patrimoni di ciascuno accumulati negli ultimi 40 anni (più o meno il periodo medio di lavoro) e affianchiamoli ai redditi dichiarati negli ultimi 40 anni da ciascuno. Dopo di che chi non riesce a giustificare i patrimoni accumulati con guadagni dichiarati o donazioni o eredità paghi quello che non ha pagato negli ultimi 40 anni. Quindi facciamo lo stesso con le pensioni. Alla fine il taglio delle pensioni sarà compensato dall’alleggerimento delle tasse derivante dalla prima operazione.
federico
l’uomo della strada considera -indipendentemente da qualsiasi altro criterio-ingiusti i trattamenti pensionistici o vitalizi nei quali è facile ravvisare un’evidente sproporzione con i contributi versati e magari anche col periodo lavorativo (troppo breve).Si tratta di rimuovere privilegi acquisiti e ingiustificati:certamente non sono interessati milioni di casi,dato che l’enorme maggior parte degli assegni di pensione erogati (circa 16 mln) sono di ragionevole entità.
f.z.
Gaetano
..il principio di “non retroattività delle leggi” o “dei diritti acquisiti” proprio non lo capisco. Come viene visto, se esiste tale principio, nei Paesi civili??
Luigi Calabrone
Ridurre le pensioni superiori al minimo vitale (per es. 1.500 euro netti), col pretesto che gli interessati non le avrebbero finanziate, è ingiusto (già dichiarato anticostituzionale) e minerebbe per decenni la credibilità dello stato italiano, già debole/poco credibile, giustificando, di fatto, la futura evasione contributiva e fiscale e l’esportazione di capitali.
I pensionati attuali hanno iniziato a lavorare negli anni ’60/’70, quando furono stabiliti i criteri del sistema, che oggi non possono venire modificati retroattivamente, a meno che lo stato italiano sia quasi in bancarotta; in tal caso, le riduzioni di bilancio dovrebbero riguardare anche gli stipendi, gli organici della pubblica amministrazione, il sistema fiscale, gli enormi sprechi e ruberie pubbliche, ecc.
A quel tempo, contro il parere dei tecnici/assicuratori e la prassi dei paesi progrediti, invece di stabilire un sistema pubblico che garantisse solo un livello di pensioni alimentari per tutti, lasciando a chi godeva di retribuzioni superiori le risorse per costituirsi pensioni integrative private, fu stabilito coattivamente che lo stato (con residuo mentale da stato etico: tutto nello stato, nulla al di fuori dello stato) avrebbe drenato dai lavoratori ogni risorsa contributiva e fiscale, con aliquote di trattenute fiscali di rapina per i lavoratori con retribuzioni superiori al minimo, cui, però, avrebbe corrisposto pensioni di livello superiore all’alimentare.
Oggi vogliamo rapinarli di nuovo?
Enrico
Un po’ polemicamente e me ne scuso, risponderei alla sua domanda con la situazione attuale “no, nonli rapiniamo di nuovo; rapiniamo i loro figli che pagano sempre tasse molto alte, ma avranno una pensione ( se l’avranno) molto più bassa”.
In ultimo: quando si parla di minimo vitale, bisognerebbe paragonarlo alla media degli stipendi attuali, depurato del fattore accumulazione di cui i giovani non beneficiano.
Luigi Calabrone
Le pensioni, come previsto da norme di 40/50 anni fa, non sono elemosina per i bisognosi, ma retribuzione differita, commisurata, come da Costituzione italiana, a quantità e qualità del lavoro svolto. Maturate in questi termini, uno Stato credibile non può affermare (dopo aver trattenuto ai lavoratori di ieri contributi e detrazioni fiscali con aliquote fino al 50%) che tali pensioni oggi si sono mutate in elemosina alimentare, da commisurare unicamente allo stato di bisogno, togliendo ai pensionati, a sua discrezione, quello che oggi sarebbe “superfluo”. Se, tuttavia, lo Stato italiano si avvicina alla bancarotta, può, come tutti gli stati del mondo, e come previsto dalla Costituzione, aggravare l’imposizione fiscale, su tutti i redditi, compresi quelli dei pensionati, che molte volte mantengono figli/nipoti. Questo aggravamento della pressione fiscale, decentemente, deve essere deciso solo insieme a misure di riduzione delle retribuzioni pubbliche abnormi (alti burocrati, magistrati, politici, ecc.) e degli sprechi, ruberie, enti inutili, eccetera, come descritto moltissime volte anche in questo sito. Se poi i giovani pagano tasse troppo alte, bisogna ridurle – non rubare ai pensionati. Per il futuro, lo stato dovrebbe, più chiaramente di quando sta facendo ora, dichiarare per iscritto (“busta gialla”) le pensioni pubbliche che verranno pagate e incoraggiare, con adeguate riduzioni fiscali, la previdenza complementare a capitalizzazione, come, ad esempio, in Germania.
Gianfranco
tutto vero, ho pero’ l’impressione che i “privilegi” delle pensione piu alte e dei pensionati privilegiati sono sempre intoccabili diritti acquisiti, mentre invece quelle piu’ basse o di pensionati normali possono essere strapazzate a piacere (vedi insegnanti quota 96 o i 42anni e sei mesi o i 66 anni e 3 mesi capitati tra capo e collo e costati fino a 6 ed oltre anni di posticipo della pensione (i cui contributi sono stati pero pretesi e profumatamete pagati in tempo e senza ritardi)
piero bartolozzi
mi permetto ricordarle il precedente contributo di solidarietà (Decreto “Salva Italia”-D.L.6 dicembre 2011,n.201 convertito in legge 22 dicembre 2011, n.214) attualmente in vigore a carico dei pensionati di alcune gestioni previdenziali confluite nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti.tale contributo, che per me (ex-dirigente d’azienda) è l’1% dell’assegno lordo, decorre dall’ 1/1/ 2012 fino al 31/12/2017.dato che non ne parla mai nessuno, sarebbe bene che fosse lei, Professore, ad informarne i lettori di “lavoce.info”.distinti saluti. Piero Bartolozzi, Milano
alberto ferrari
Ma perché inventarsi ogni volta cose nuove e … strampalate. La Corte costituzionale ha già indicato la via maestra che è quella di utilizzare meglio l’IRPEF, introducendo nuove aliquote per i redditi, comunque derivanti. più alti. E, a parità di gettito globale, rimodulare le aliquote di chi guadagna meno.
Mario Rossi
Caro alberto, come mai esistono gli esodati se il principio di non retroattività vale? Come mai lo stato non paga i propri fornitori con contratti firmati? Come mai esiste il patto di stabilità dei comuni? Come mai un imprenditore deve pagare in anticipo per incassi che probabilmente non farà nemmeno mai? La verità è che tra poco le tasse non le pagherà più nessuno perchè nessuna impresa più avrà utili da denunciare, i disoccupati per definizione non hanno reddito e la mangiatoia fatalmente rimarrà vuota. Gli italiani che fino ad ora hanno pensato solo a lavorare perchè quella impresa rappresenta la propria vita stanno finendo e al loro posto le fatture le potranno produrre i nostri pensionati d’oro e i nostri bei dirigenti pubblici imboscati.
Francesca
Gentile GILBERTO MURARO,
quando lei scrive:
“Da questo punto di vista si può sostenere che la redistribuzione tra pensionati di oggi e di domani ha buon fondamento, vista l’enorme disparità tra le alte pensioni del sistema retributivo di cui godono parecchi pensionati odierni e le magre pensioni del sistema contributivo che attendono molti giovani.”
Le è ben chiaro che con questa classe politica non ci sarà alcun beneficio per i pensionati di domani in quanto eventuali soldi sottratti ai pensionati di oggi finiranno nelle fauci di un sistema corrotto ed inefficiente?
In altre parole se molti giovani oggi sono aiutati dalle pensioni dei nonni, in un futuro i soldi tolti ai nonni andranno in sprechi di varia natura ed i giovani rimarranno a bocca asciutta.
La promessa di usare i tagli per rilanciare l’economia e favorire i giovani è stata fatta anche da Monti meno di 3 anni fa quando la Fornero ha fatto una riforma che da gen2013 ha cominciato a dare i suoi effetti.
Qualche giovane ha visto anche lontanamente qualcuno di questi soldi per le persone che “non sono andate in pensione” nel 2013 e nel 2014?
Saluti
Francesca
Grazia
1500,00 euro netti, al mese, dopo 41 anni di lavoro sono troppi? Tutte le tasse che paghiamo con questi soldi? Addizionali regionali sono aumentate del 40% (nel 2014 euro 39,00 al mese, nel 2015 euro 57,00. Nel mio comune la Tasi ha toccato l’aliquota del 10,8.
Saluti da Mg
Piersergio Crosetti
Mi ha colpito questa frase: “Allontanarsi da essi significa minare in profondità il rapporto tra cittadini e Stato”. Mi permetto di far riflettere il Professore su una cosa: quando ho iniziato a lavorare mi è stato detto che lo avrei fatto per 35 anni e avrei preso una pensione in base al retributivo. Ho fatto scelte per questo ora non le sembra che spostarmi praticamente di 10 anni (e son tanti) la pensione per mantenere i privilegi acquisiti MINI GRAVEMENTE la mia fiducia verso lo Stato? Mia moglie rimasta senza lavoro a 45 anni ha fatto scelte (pesanti) confidando nelle norme al momento delle scelte (puntualmente sconvolte dalla Fornero due anni dopo). E’ così difficile ammettere semplicemente che chi ha avuto molto doveva pagare molto e chi ancora niente molto meno. O dobbiamo lavorare tutti per mantenere i privilegi acquisiti?
Questo comportamento dello Stato non ha minato il mio rapporto con lui, l’ha troncato. Lo Stato ha sconvolto le mie aspettative di vita futura pur di mantenere privilegi (sovente clientelari ed ingiusti) acquisiti.
Questo è. Tutto il resto è fumo.
paolo
Ovviamente la solidarietà fra generazioni va estesa anche nei confronti degli stipendi d’oro
Ciro
Se il pensionato ha detto al figlio dieci anni fa che poteva sottoscriverlo il mutuo poiché la rata l’avrebbe pagata lui. Se il pensionato dopo il collocamento in pensione quale dipendente pubblico ha lavorato per altri 7 anni come co.co.co versando 66.000 € di contributi e ricevendo 210 € netti mensili per cui se vivrà 10 anni ancora (sino ad 85 anni) riceverà 27.300 € e la differenza (66.000-27.300) sarà destinata a pagare le pensioni minime. E se a causa della riduzione della pensione d’oro (2.500 €) il pensionato non potrà più pagare la rata di mutuo del figlio?
Piero
Sul “minare in profondità il rapporo tra il cittadino e lo Stato” direi che ci siamo già dal momento che la pensione di un insegnante è considerata d’oro in relazione alla maggiorazione rispetto ai contributi versati, mentre si considera di latta il vitalizio di oltre 5000 euro netti di un consigliere regionale 41enne. Per prima cosa occorre semplicemente e subito abolire tutti i vitalizi, se non in caso d’indigenza e per particolari meriti. Solo immediatamente dopo si può rivedere l’intero capitolo delle pensioni.
flavio favilli
Pensioni retributive
Il dibattito dimentica che con la riforma Amato del 1992 è stato introdotto un meccanismo di calcolo nella determinazione della pensione retributiva del settore privato – tuttora vigente- finalizzato alla contribuzione da parte delle pensioni più elevate. Semplificando al massimo il meccanismo va ricordato che il calcolo passa dal 2% della retribuzione pensionabile(la media degli ultimi 5 anni +5anni) che per 40 anni di contribuzione significa l’80% di detta retribuzione pensionabile, ad aliquote di rendimento inversamente proporzionali all’aumentare della retribuzione pensionabile. Nel 2011( prima della riforma Fornero) le aliquote di rendimento erano 2% sino a 43000€ circa ; 1,60% da 43.000 a 57.000€; 1,35% da 57.000 a 71.000€; 1,10% da 71.000 a 81.000€; 0,90 % oltre gli 81.000€. Il tutto in presenza di contributi versati interamente dal datore di lavoro e dal lavoratore a differenza degli iscritti successivamente al 1995 per i quali vige un massimale retributivo oggi fissato in circa 100.000€