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Commercio internazionale: negoziati di nuovo fermi

Si fermano di nuovo i negoziati della Doha Round Agenda. Stavolta non si tratta soltanto dell’ennesimo ritardo sulla tabella di marcia, ma della presa d’atto che l’approccio multilaterale è probabilmente impercorribile. La credibilità politica del Wto ne esce ridimensionata.

RIPRENDE IL GIOCO DELL’OCA

La nona conferenza ministeriale dell’Organizzazione mondiale del commercio tenuta a Bali nel dicembre 2013 si era conclusa con il primo accordo multilaterale, raggiungendo un’intesa interlocutoria su importanti dossier quali l’agricoltura, le facilitazioni commerciali e gli aiuti allo sviluppo dei paesi più arretrati. L’accordo avrebbe dovuto essere confermato entro il 31 luglio 2014, data entro la quale i paesi membri del Wto avrebbero dovuto adottare il protocollo contenente gli emendamenti regolamentari messi a punto dal Preparatory Committee on Trade Facilitation, organismo creato ad hoc e aperto a tutti gli stati coinvolti.
Tuttavia, pochi mesi dopo l’accordo multilaterale, le delegazioni governative si sono nuovamente divise e non sono state in grado di adottare il protocollo entro il termine che esse stesse si erano date, portando il round negoziale al punto di partenza in uno snervante gioco dell’oca sulla pelle dei consumatori. All’indomani della conferenza di Bali si sono infatti verificate divisioni tra coloro che ritenevano imprescindibile adottare il protocollo in base a quanto stabilito nell’accordo multilaterale, e coloro che spingevano per ulteriori modifiche e limature di quanto già concordato in quella sede.
Il negoziato è poi sostanzialmente naufragato poiché non si è riuscito a trovare il punto di incontro sul dossier relativo alle facilitazioni commerciali, che rappresenta la punta dell’iceberg di divisioni profonde e trasversali. Si tratta di misure volte a velocizzazione il commercio internazionale grazie a procedure di sdoganamento anticipato (pre-clearing) che necessitano di sistemi informatici adeguati e di modernizzazione delle amministrazioni doganali coinvolte anche per quanto riguarda la gestione automatizzata del rischio collegata ai traffici e transiti internazionali, l’utilizzo di forme di pagamento elettronico, la riduzione delle formalità doganali e la previsione di ulteriori facilitazioni per gli operatori economici affidabili e di audit post-clearing.
L’adozione del protocollo avrebbe di conseguenza comportato per gli stati meno sviluppati consistenti investimenti. Dubbi sono pertanto nati sulla capacità di attuazione da parte di questi ultimi, e la previsione di poter beneficiare dell’assistenza dei paesi industrializzati non è stata ritenuta sufficiente, dal momento che il supporto – anche finanziario – sarebbe stato su basi volontarie.
L’ennesimo fallimento dei negoziati per l’attuazione della Doha Development Agenda avrà impatto su tutti i dossier aperti del Doha Round. Tra le materie oggetto dei negoziati vi sono infatti l’eliminazione dei sussidi sui prodotti agricoli che distorcono il funzionamento dei mercati, la riduzione delle barriere tariffarie e non tariffarie che penalizzano i traffici commerciali e incrementano il costo finale dei prodotti, i negoziati in materia ambientale e gli aiuti allo sviluppo dei paesi più arretrati mediante l’accesso dei loro prodotti sui mercati esteri a dazio zero.

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LA POSIZIONE DELL’ITALIA

Per quanto riguarda l’Italia, tra i temi di maggior interesse vi è senz’altro il negoziato in materia di protezione delle indicazioni geografiche di origine in ambito Trips (Wto’s Agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights). Sul punto, l’Italia fa parte di quel gruppo di stati che intendono, da un lato, rendere operativo il registro multilaterale per i vini e gli alcolici previsto all’articolo 24 dell’accordo Trips, che garantisce un avanzato livello di protezione per questi prodotti attraverso un sistema di registrazione e notifica multilaterale tra gli stati membri. Dall’altro lato, il nostro paese vuole estendere il livello avanzato di protezione anche ad altri prodotti, primi fra tutti quelli del comparto agro-alimentare, che attualmente beneficiano della più blanda protezione stabilita dall’articolo 23, che non ha impedito in questi anni il proliferare di prodotti italian sounding.
Sullo sfondo, tuttora irrisolte appaiono le divergenze tra soggetti, come l’UE e gli Stati Uniti, che desiderano giungere ad accordi di regolamentazione del commercio internazionale sulla base di nuovi standard e regole anche di sicurezza, e stati come Cina o India che vedono gli stessi come un modo per fornire un vantaggio competitivo alle imprese occidentali che più facilmente potrebbero adattarsi alle nuove regole. Altra materia in cui è difficilmente raggiungibile un accordo multilaterale è l’agricoltura. Qui gli stati meno sviluppati, guidati dall’India, non accettano di eliminare i sussidi pubblici per la sicurezza alimentare o di rivedere la politica dei prezzi politici in materia, con le conseguenti distorsioni del mercato che ciò comporta, e hanno l’obiettivo di rendere permanenti tali programmi. Soluzione che trova la netta opposizione dei paesi industrializzati.
Le difficoltà a raggiungere accordi su queste materie a livello multilaterale, oltre a minare la credibilità dell’Organizzazione mondiale del commercio quale strumento di sintesi politica per limitarla a quella di semplice organismo regolatore, spingerà presumibilmente gli stati a concentrarsi su accordi bilaterali, regionali o plurilaterali. E se da una parte questi potrebbero garantire tempi di conclusione delle intese più in linea con le esigenze del commercio internazionale e dei paesi coinvolti, dall’altro potrebbero contribuire a uno sviluppo del commercio globale meno equilibrato e armonico rispetto a quello che si avrebbe mediante accordi multilaterali, attraverso i quali nessun attore potrebbe più essere facilmente trattato da semplice rule-taker.

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Il Punto

  1. Premesso che sia giusto aiutare i paesi sottosviluppati! Ma quì stà succedendo che i paesi sviluppati (vedi l’Italia in coda a tutte le statistiche!), nel competere con i paesi in via di sviluppo? si stanno sottosviluppando a causa del WTO che crea Tsunami verso i paesi sviluppati creando disastri eco socio economici che non si riescono ad arginare! Possibile che no si riesce a proporre un modello sociale equo mondiale? Il problema è sempre lui ‘PE’.

  2. Luca

    Non è solo un problema di commercio di vini, di pomodori e di mozzarelle.
    L’Italia annaspa nel manifatturiero. E soffoca per eccesso di spesa pubblica.
    La chiave della nostra recessione sta nell’errore compiuto nel 2001 con l’ingresso della Cina nel WTO senza alcuna contropartita riguardante il controllo sulla sostenibilità ambientale e sociale delle produzioni importate in Occidente.
    Il pur pregevole e documentato articolo di Andrea Festa sembra considerare questo aspetto come secondario, “sullo sfondo”, come dice l’Autore, quando riferisce:

    “Sullo sfondo, tuttora irrisolte appaiono le divergenze tra soggetti, come l’UE e gli Stati Uniti, che desiderano giungere ad accordi di regolamentazione del commercio internazionale sulla base di nuovi standard e regole anche di sicurezza, e stati come Cina o India che vedono gli stessi come un modo per fornire un vantaggio competitivo alle imprese occidentali che più facilmente potrebbero adattarsi alle nuove regole.”

    Gran parte dei nostri problemi nascono esattamente da là, oltre che dalle nostre ormai croniche tare italiche (che però avevamo anche prima del 2001), come pure dalla esitazione della partitocrazia a tagliare le rendite e i privilegi parassitari, il cosiddetto “Big Government” all’italiana, che è il ramo su cui lorsignori stanno comodamente acquattati da lungo tempo, insieme ai loro numerosi amici professionisti della tangente. Per vedere cadere quel ramo temo occorrerà aspettare la completa marcescenza della pianta.

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