Con il “no” alla separazione dal Regno Unito, gli scozzesi ci consegnano un insegnamento sull’Unione Europea. Intanto, l’UE non indebolisce ma rafforza l’integrità dei suoi Stati membri. E soprattutto l’eventuale divorzio di Londra da Bruxelles diventa ancora più complicato e rischioso.
SEPARATISTI ALL’INTERNO DELLA UE
Tra le tante lezioni del referendum scozzese che vale la pena trascrivere, ve ne sono due che riguardano l’Unione Europea.
Prima lezione: l’Unione Europea non indebolisce l’integrità dei suoi Stati membri, ma anzi la rafforza.
Fino a oggi era comune l’opinione che l’Unione agisse come una sorta di magnete che attira gli Stati esterni a essa, ma innesca spinte di progressiva disgregazione dei suoi Stati membri. Il costante allargamento che da sei ha portato a ventotto i membri dell’Unione e la vicenda dell’Ucraina forniscono una prova tangibile del primo effetto.
Le spinte separatiste in Spagna, Belgio e, appunto, Scozia suggerivano l’ipotesi del secondo effetto. Queste spinte infatti hanno preso vigore anche in ragione dell’effetto “ombrello” dell’Unione, consistente nel fatto che la copertura politica e regolamentare della UE può oggi sostituire in gran parte quella dello Stato-nazione e quindi abbandonare quest’ultimo non comporta danni economici e politici rilevanti.
L’atteggiamento di alcuni Stati sul referendum scozzese ci ha fatto comprendere che l’Unione può avere, viceversa, effetti inibenti sulle spinte separatiste. Infatti, in base al diritto internazionale, al momento dell’indipendenza, gli Stati secessionisti si sciolgono da tutti i trattati che legano lo Stato a cui appartenevano. Pertanto se la Scozia avesse scelto di divenire indipendente si sarebbe trovata fuori dai trattati UE (oltre che dai trattati Onu, Wto, Nato, e così via). Sennonché, conformemente all’articolo 49 del trattato UE, per aderire/rientrare nell’Unione occorre il consenso unanime di chi è rimasto membro. Questo consenso è oggi tutt’altro che scontato, proprio perché prestarlo per qualcuno favorirebbe le spinte centrifughe al proprio interno. Ad esempio, il governo spagnolo nei giorni precedenti al referendum ha fatto chiaramente intendere che si sarebbe opposto all’operazione di reingresso della Scozia nella UE. Il referendum scozzese ha quindi dimostrato che le nostre idee sull’effetto disgregante dell’Unione vanno modificate; quest’ultima in realtà può avere un effetto di consolidamento degli Stati membri.
EFFETTI SULLA BRITISH EXIT
Seconda lezione: la cosiddetta Brexit, ossia l’uscita del Regno Unito dalla UE, è ancora più complicata e rischiosa di quel che appare.
La questione sino ad ora è stata affrontata nel Regno Unito cercando di individuare e misurare gli eventuali vantaggi e svantaggi economici che il paese avrebbe da una separazione dal resto dell’Unione. Ma la vicenda del referendum scozzese suggerisce che anche il profilo costituzionale interno è cruciale. Gli scozzesi sono in grandissima maggioranza per rimanere nella UE, e pertanto un voto britannico a favore della separazione li trascinerebbe fuori dall’Unione contro la loro volontà. Si riaprirebbe, allora, la questione dell’indipendenza della Scozia dal Regno Unito, su nuove e ancora più complesse premesse. Per risolvere il problema, si potrebbe forse immaginare che il consenso al recesso dall’Unione debba ottenere la maggioranza in tutte e quattro le nazioni che compongono il Regno Unito (Inghilterra, Galles, Scozia e Irlanda del Nord). Naturalmente se così fosse, il referendum avrebbe quasi certamente esito negativo, perché quanto meno gli scozzesi voterebbero no. Oppure, spingendosi a immaginare soluzioni giuridiche creative, si potrebbe percorrere la strada opposta a quella abortita con il referendum scozzese, vale a dire che sia l’Inghilterra a decidere la separazione dal resto del Regno Unito, che rimarrebbe membro dell’Unione ma senza i “secessionisti” inglesi.
Una cosa è certa: David Cameron si è sbagliato di grosso quando, all’indomani dell’esito del referendum, ha affermato che la questione dell’indipendenza scozzese “è risolta per almeno una generazione”.
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Celso Saresani
Nota chiara e utilissima: la leggeranno i ‘secessionisti’ nostrani?
Federico Solfaroli
Vero. In ogni caso, Londra è stata costretta a promettere maggiore devolution. Il che significa che il Regno Unito si avvia a diventare uno stato federale. Un test anche per gli altri stati dell’Unione. Il discorso si riaprirà presto con la questione catalana.