Gli inceneritori di rifiuti potranno operare al limite massimo della capacità e assorbire le eccedenze di altre Regioni. Con alcuni correttivi, la maggiore flessibilità dei flussi destinati ai diversi impianti può dare diversi vantaggi. Indispensabili rete nazionale di ultima istanza ed ecotassa.
INCENERITORI NELLO SBLOCCA ITALIA
Il decreto “sblocca Italia” prevede che gli impianti di incenerimento dei rifiuti sul territorio nazionale siano autorizzati a operare al limite massimo della capacità, al fine di assorbire le eccedenze di altre Regioni. Poiché gli impianti sono quasi tutti al Nord, mentre le eccedenze provengono principalmente dal Centro-Sud, alcuni la vedono come una sorta di vendetta postuma contro il Nord che, in passato, ha destinato alle Regioni meridionali enormi quantità dei propri rifiuti, malamente trattati e peggio seppelliti nelle tante “terre dei fuochi”. Per altri si tratta di un regalo alle multiutility del Nord, che possono così incrementare i profitti, anche tradendo il patto con il territorio che, all’origine, aveva permesso di realizzare gli impianti. Per altri ancora è l’ennesima occasione mancata per costringere le regioni più arretrate a dotarsi di più moderni ed efficaci sistemi di gestione del rifiuto. Non manca chi ironizza sul fatto che la capitale possa essere così salvata dall’emergenza annunciata che presto l’avrebbe messa in ginocchio. In verità, una maggiore flessibilità dei flussi di rifiuti destinati ai diversi impianti comporta, a mio parere, numerosi potenziali vantaggi. Gli inceneritori hanno alti costi fissi ed economie di scala. Conviene farne pochi e grandi, ma così si moltiplicano anche i rischi industriali legati all’eventualità di un sottoutilizzo. Un problema di cui si sono accorti con ritardo nel Nord Europa – e in virtù del quale, va detto, i rifiuti napoletani possono essere gestiti in Olanda. Un evidente vantaggio è quello di usare al meglio la capacità esistente, riducendo – sebbene non eliminando – la necessità di nuovi impianti. Questi ultimi si potranno liberare dal principio di autosufficienza e prossimità, potendo servire ambiti più vasti. Pochi impianti efficienti, quindi, invece che tanti e sottodimensionati. Se ben disegnato, il meccanismo dovrebbe anche incentivare il riciclo: le aree già dotate di inceneritori, infatti, avrebbero interesse a riciclare di più a casa propria, per liberare capacità da cedere al mercato; quelle deficitarie saranno stimolate a fare lo stesso, per ridurre al minimo la necessità di acquistare capacità altrui. Nell’immediato, troverebbe destinazione una fetta non piccola dei rifiuti che finiscono in discarica – ancora il 36,9 per cento del totale – o esportati. E si eviterebbero le sanzioni che l’UE prevede per chi manca gli obiettivi di recupero. Nel medio termine, le Regioni in ritardo nello sviluppo delle raccolte differenziate, ma a corto di discariche, potrebbero concentrare gli sforzi sulle prime senza lo spettro dell’emergenza incombente.
I RISCHI
Non vanno tuttavia sottovalutati anche gli svantaggi. Primo, non sempre gli impianti esistenti sono già autorizzati a operare al massimo della capacità – tanto che la norma prevede una corsia veloce per l’adeguamento delle autorizzazioni ambientali. I limiti attuali potrebbero essere stati imposti per evitare un sovraccarico di emissioni; estenderli in modo frettoloso, potrebbe compromettere gli equilibri territoriali. Il secondo svantaggio è dovuto all’“azzardo morale”: le Regioni in deficit sarebbero disincentivate dalla ricerca di soluzioni a casa propria, disponendo dell’ombrello offerto dagli impianti che altre hanno saputo costruire, anche grazie a una migliore capacità di gestire il consenso delle comunità interessate e prevenire i conflitti. Finora un aspetto chiave che ha permesso di venire a capo delle opposizioni è stato proprio l’impegno a utilizzare gli impianti solo per i rifiuti prodotti localmente, elevando il principio di autosufficienza a baluardo contro la possibile invasione di “rifiuti stranieri”. Tanto che la Lombardia si era già opposta all’ipotesi di un utilizzo dei propri impianti per la “munnezza” napoletana, e ora è in prima linea nel difendere la propria autonomia. Occorre tuttavia ricordare che già oggi questi impianti ricevono frazioni consistenti di rifiuti speciali, senza vincolo di prossimità: spesso scarti della selezione a valle delle raccolte differenziate. Un terzo aspetto delicato è legato alla concentrazione dell’offerta, anche a seguito dei processi di integrazione che caratterizzano le utility locali. Buona parte della capacità è controllata da Hera, A2A e Iren; la fusione tra le ultime due è molto più di un’ipotesi. La norma avrebbe l’effetto di congelare la capacità disponibile.
UNA RETE NAZIONALE DI ULTIMA ISTANZA
Ecco allora alcuni tasselli che ancora mancano nella norma e che potrebbero potenziare i vantaggi, riducendo gli svantaggi. Primo, non c’è bisogno di passare dall’estremo della pianificazione confinata entro ambiti provinciali, all’estremo opposto di una totale liberalizzazione. Il principio di autosufficienza potrebbe valere per livelli concentrici. Chi non riesce a gestire i propri rifiuti a casa propria potrà avvalersi di una capacità di riserva messa a disposizione dalla Regione in altre province, come già accade. E le Regioni che non riusciranno a disporre di sufficiente capacità si rivolgeranno a una “rete nazionale di ultima istanza”, predisposta dallo Stato prenotando capacità presso impianti di altre Regioni. Secondo, per scoraggiare l’azzardo morale, il ricorso alla rete nazionale deve essere accompagnato da forti sanzioni economiche (ecotassa). La penalizzazione potrebbe essere fissata a un livello già elevato nel caso in cui una Regione dichiari con congruo anticipo il deficit, e ulteriormente maggiorata nei casi in cui lo faccia in emergenza. I proventi dell’ecotassa devono andare a compensazione delle aree che ospitano gli impianti di destinazione. Terzo, lo Stato dovrebbe programmare in anticipo la rete di ultima istanza, basandosi sulle “prenotazioni” da parte delle Regioni, istituendo meccanismi competitivi, una sorta di “capacity payment”, con eventuale ricorso a precettazione d’urgenza solo per il ricorso non programmato in caso di emergenza. Se nella borsa elettrica opera un “mercato del giorno prima”, qui si potrebbe pensare a un “mercato dell’anno prima” o “del mese prima”, con analoghe caratteristiche. Quarto, per rafforzare la dissuasione, andrebbero elevati gli obiettivi di recupero e riciclo in capo ai consorzi nazionali delle varie filiere (imballaggi e non solo), ricorrendo a soluzioni ispirate al principio di “responsabilità estesa” anche per altre frazioni. Contestualmente, andrebbe ulteriormente disincentivata la discarica, incrementando la tassa sul conferimento a questi impianti o ricorrendo a meccanismi di “cap and trade” analoghi a quelli istituiti nel Regno Unito. Quinto, l’emergente concentrazione industriale richiede un’attenta regolazione delle tariffe di conferimento agli impianti. Si può ipotizzare che ogni impianto sia vincolato ad accogliere prioritariamente i rifiuti raccolti sul proprio territorio a una tariffa standard regolata; le eccedenze potranno essere utilizzate per rifiuti di altra provenienza, a condizioni di mercato, prevedendo meccanismi di profit-sharing a vantaggio degli utenti locali, attraverso uno sconto sulla tariffa regolata. Infine, per governare l’iter di autorizzazione all’espansione della capacità, devono essere previste tutte le cautele del caso, ad esempio imponendo ulteriori misure di abbattimento o compensazione delle emissioni sul territorio, assicurando un congruo ruolo alle agenzie ambientali delle Regioni ospitanti, ovviamente evitando che queste si servano dei propri organi tecnici per vanificare la norma, negando a priori l’assenso.
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Alfonso Gambardella
Invece di pensare a bruciare meglio, si dovrebbe FINALMENTE pensare a bruciare sempre meno, fino a non bruciare più. Le conquiste della scienza in questo caso non vengono applicate, visto che il bruciare i rifiuti è la cosa più vecchia della nostra epoca. Eppure i sistemi alternativi al “bruciare” sono sempre più efficienti e più redditizi soprattutto per la salute delle popolazioni.
Antonio Massarutto
Piano con le certezze, amico mio. I sistemi alternativi al bruciare (spero che tra questi non si intenda la discarica) sono sempre più efficienti, è vero, e in base alle conoscenze di oggi si può ritenere che una buona metà dei rifiuti urbani possano essere recuperati attraverso il riciclo, il compostaggio etc. Rimane l’altra metà … Suggerisco un piccolo sguardo alle statistiche Eurostat, dalle quali si evince una cosa molto semplice tutti i paesi che hanno eliminato la discarica utilizzano, più o meno alla pari, riciclo e combustione.
Marco
Bruciare i rifiuti è una soluzione ben più vecchia della nostra epoca…
Produrne meno è la soluzione, teorizzare “reti di incenerimento”è…mi devo inventare l’aggettivo…”pre-economico”. E’ una soluzione che crea il problema: più inceneritori necessitano di più rifiuti, ci arriva anche il mio cane.
Infatti la notizia sarebbe: “L’Italia ha costruito troppi inceneritori. Il Governo autorizza ad alimentare gli impianti esistenti con rifiuti di altre regioni”.
Se facessimo raccolta differenziata gli impianti esistenti sono sovradimensionati (alcuni vecchi, altri nuovissimi), come hanno scoperto nel Nord-Europa.
Regards
Bruno Citarella
Dai commenti verrebbe da pensare che l’italiano è troppo difficile per gli italiani o siamo in perenne campagna elettorale: l’analisi condotta nell’articolo sembra molto chiara e a prescindere dalla qualità dello “sblocca Italia” o dall’indubbia necessità di superare l’incenerimento dei rifiuti come forma di gestione del problema ricordiamoci che: in Campania ci sono da smaltire 6milioni di “ecoballe” e non mi sembra si stia parlando di nuovi impianti ma di indurre a usare meglio ciò che già esiste.
Un invito al governo: più soluzioni ragionate (ad es. come quella descritta nell’articolo su cui si può discutere) invece dei soliti spot spesso eterodiretti dalle lobby che certo non ragionano nell’ottica del “bene comune”.
Antonio Massarutto
In Italia non c’è eccesso di impianti, che io sappia. In alcune regioni invece l’offerta comincia a sovrabbondare, ma in altre invece scarseggia. Le altre regioni forse non fanno parte dell’Italia? Produrne meno è la soluzione, verissimo. Ma fino al giorno in cui avremo imparato a produrne di meno, che facciamo? Li lasciamo per le strade? Se facessimo … se producessimo di meno …. se mia nonna avesse le ruote … Regards anche a lei
Massimo GIANNINI
Se l’autore avesse svolto una corretta analisi costi-benefici degli inceneritori (e non solo semplice vantaggi-svantaggi) sarebbe arrivato a conclusioni diverse e non certo avvallare la scelta scellerata e distorsiva dello sblocca Italia. Quando si smetterà di dare priorità agli inceneritori sarà sempre troppo tardi per l’Italia e la salute degli Italiani.
Antonio Massarutto
Si dà il caso che ne abbia fatta più di una. La rimando per brevità agli articoli che ho pubblicato sulla rivista Waste Management, l’ultimo dei quali è ancora in bozze e apparirà tra breve. Spero che lei mi invii i suoi, li leggerò volentieri (il mio indirizzo email è pubblico)
Alice Crosilla
Alcuni dubbi:
1) che senso ha dividere il nord dal sud … non è unita l’Italia (1861) ?
i datterini prodotti in Campania accanto ai rifiuti tossici non finiscono, per caso, all’interno della catena alimentare dei cittadini del nord/sud? (potrei continuare inserendo i relativi costi di gestione sanitari per il trattamento delle patologie derivanti da un alimentazione non proprio Green… magari confrontando i diversi sistemi sanitari all’interno del contesto europeo per la gestione di tali patologie e le modalità di funzionamento e finanziamento dei sistemi di welfare legati a un tema delicato quale la salute, è corretto professore? Ho imparato bene la lezione?)
2) A quanto ammonta attualmente la capacità non ancora utilizzata degli impianti di incenerimento dei rifiuti sul territorio nazionale?
3) “le aree già dotate di inceneritori, infatti, avrebbero interesse a riciclare di più a casa propria, per liberare capacità da cedere al mercato” … Non è un automatismo: Perché lo da per scontato (tale passaggio) ?
4) A quanto ammonta il sovraccarico di emissioni che si originerebbero abbattendo gli attuali limiti (primo svantaggio) ?
Non riscendo a utilizzare al massimo la mia capacità produttiva mi fermo qui…
La ringrazio per l’attenzione, cordialità a.c.
P.S. Se Massimo Giannini avesse svolto una corretta analisi costi-benefici del Jobs Act e dell’art. 18 (e non solo una fotografia spot) sarebbe arrivato a INFORMARE e non a disinformare gli utenti/cittadini/contribuenti/lavoratori/disoccupati durante la prima puntata di ballarò…
Antonio Massarutto
Cerco di essere telegrafico: 1) non mi pare di essere io quello che divide l’Italia in due: infatti sono favorevole all’idea di utilizzare impianti dovunque dislocati per gestire rifiuti ovunque prodotti, entro certi limiti 2) la capacità attualmente sottoutilizzata è insufficiente a gestire TUTTI i rifiuti attualmente esportati o messi in discarica, ma potrebbe intanto iniziare a gestirne una fetta; 3) non do per scontato che accada, ma propongo di disegnare incentivi affinché sia più probabile che accada. O forse non ho usato il condizionale? 4) non si può generalizzare e va valutato localmente, anche prevedendo misure di compensazione delle emissioni sul territorio (es. utilizzare parte dei proventi per finanziare misure che riducono le emissioni di altri impianti situati nel medesimo territorio. PS non sono sicuro che Massimo Giannini sia lo stesso Massimo Giannini che crede lei, ma forse sarà lui stesso a chiarircelo
Alice Crosilla
La ringrazio per la Sua risposta (in particolare per la sintesi).
Cordialità,
a.c.
marcello
La crastrofica situazione dei rifiuti in Italia testimonia uno dei più evidenti fallimenti della capacità programmatica e gestionale degli enti locali. Lo Sblocca Italia fotografa lo stato di collasso del sistema della gestione dei RSU. Allo stato è necessario prvvedere a una gestione centralizzata, cioè coordinata dal ministero dell’intero ciclo dei rifiuti. Nella situaizone attuale, dati i 55 inceneritori presenti in italia, molti piccoli in realtà, si hanno due possibilità praticabili. La costruzione di almeno 15 nuovi inceneritori sul modelo di quello di Torino (piano presentato anche da CdP) oppure portare in 5-anni la raccolta differenziata all’80% e usare al massimo della capacità gli impianti esistenti costituendo delle macroregioni di riferimento in cui trasportare i rifuti delle macroregioni in deficit di capacità di smaltimento. Le simulazioni dimostrano l’economicità e la fattibilità di quest’ultima alternativa (+5% di raccolta differenziata il primo anno e +10% negli anni successivi). La scelta della gestione centralizzata eèuna win-win situation e sarebbe possibile senza costruire nuovi impianti e senza ampliare le capacità di quelli esistenti, semplicemente coordinando e redistribuendo meglio i flussi di rifiuti. Ovviamente senza costruire nuove discariche.
Andrea Gasparini
Se avessimo un governo lungimirante non parleremmo nemmeno più di inceneritori . A Vedelago è attivo da anni un sistema efficiente di gestione dei rifiuti e non è certo l’unico esempio da esportare ed imitare altrove . Queste best practice andrebbero imposte per legge su tutto il territorio nazionale usando una minima frazione della protervia insita in provvedimenti come lo “Sblocca Italia” .
Antonio Massarutto
Il modello Vedelago funziona quando ci sono piccole comunità. Non è generalizzabile alla scala di una provincia, figuriamoci a quella di un intero paese.
Con buona pace dei “rifiutozeristi”, oggi non è possibile riciclare davvero più di una certa frazione. Il resto o va in discarica, o viene bruciato, oppure viene camuffato per spedirlo in Cina, come fa San Francicsco. Potrà non piacere, ma il dato è questo, e con questo ci dobbiamo confrontare
Tarcisio Bonotto
Non capisco perché gli economisti, invece di avere un occhio critico e una visione a breve e lunga scadenza adeguata allo sviluppo individuale e collettivo, sotto tutti i punti di vista, si limitino ad elaborare parzialmente idee altrui. Sulla salute associata agli inceneritori vi sono decine di dossier, vedi Regione Veneto, ASL di Brescia etc. Ma forse agli economisti non interessa il concetto di integrazione dell’esistenza umana, tra ambiente, società, economia, cultura. L’economia è in funzione del benessere umano, l’economia per l’economia non ha senso si esistere. Oppure è meglio accordarsi a ciò che dice sempre il Governo per non essere una voce critica fuori dal coro? Qual’è il beneficio sociale di una tale pratica? La popolazione alla fine butta alle ortiche tutto ciò che non è progressista…
Non perdiamo più tempo prezioso in stravaganze intellettuali.
Antonio Massarutto
I dossier che conosco io dicono esattamente il contrario di quello che lei asserisce. Dicono che le emissioni associate agli impianti moderni sono così piccole da essere trascurabili, specie in confronto con le altre e ben più preoccupanti fonti di inquinamento atmosferico in ambito urbano. Dicono che le patologie associate alla presenza di impianti di moderna concezione sono irrilevanti. Paragonare gli impianti di oggi a quelli di 40 anni fa è come confrontare un’automobile di oggi con una di 40 anni fa,
marcello
Gl economisti hanno una visione complessiva del problema rifiuti e infatti hanno per anni cercato studi epidemiologici che semplicemente, siamo al tempo del decreto Ronchi, non esistevano. Per esempio non esisteva un serio studio epidemiologico sugli inceneritori in Italia, per non parlare delle discariche. Esisteva uno studio su Malagrotta che considerava più modalità di smaltimento e quindi non era sufficientemente analitico. Ora le cose sono migliori, e si hanno alcune evidenze, sulle quantità di diossine prodotte e quant’altro. Resta comunque il fatto che la raccolta differenziata in Italia è attorno al 35% e che il resto va smaltito. Premesso che la migliore pratica per i rifiuti è non produrli (politiche sugli involucri e sul riuso) il problema è come smaltire i rifiuti. Avere un piano che in 5 anni porti la media della differenziata all’80% è una visione ottimista, ma fattibile, con l’impegno di tutti e l’allestimento di strutture capaci di realizzare un ciclo completo del rifiuto. Il che vuol dire potenziare e sviluppare i consorzi di raccolta ecc. Per il restante 20% si possono usare le strutture esistenti dopo di che si potrà fare il punto della situazione. L’alternativa è portare i rifiuti all’estero con un costo compreso tra 80 e 140 euro a tonnellata, oltre ai costi ambientali ecc., che per il paese nel suo complesso significa qualche miliardo di euro.
Lo Sblocca Italia prende solo atto dell’incapacità degli EELL .
Daniele Gizzi
Produrre meno rifiuti, prepararli per il riutilizzo, riciclarli il più possibile, recuperare materia ed energia, e ciò che rimane in discarica (ultima chanche). Tutti punti complementari e non alternativi di una corretta gestione dell’intero ciclo dei rifiuti. Possiamo pensare di fare a meno del recupero di energia? Tutta Europa produce energia termica ed elettrica dai rifiuti e lo fà anche utilizzando rifiuti italiani. Dal porto di Napoli partono navi cariche di rifiuti che finiscono nell’inceneritore di Rotterdam, 20 anni tecnologicamente più vecchio del Termovalorizzatore di Acerra (CE). Roma ci sta pensando su, nell’impossibilità di trovare soluzioni condivise con la popolazione, spesso disinformata.
Vi sembra ragionevole? E’ambientalmente sostenibile? E’ economicamente sostenibile? Certo! Per gli olandesi SI! Tanto siamo noi a pagare e a regalargli risorse, anzi pagando perché se le prendano…
Green Economy significa anche trasformare rifiuti in risorse energetiche e sviluppare una intera filiera…
Sauro
Gentile Signor Massarutto,
grazie per l’analisi economica nell’articolo.
Vorrei metterla al corrente di due cose che secondo me sono fondamentali quando si parla di incenerimento.
1) un commento ingegneristico che proviene dalla mia esperienza professionale: i processi di combustione sono processi praticamente impossibili da controllare al 100%. Per farle un esempio banale, immagini la combustione del metano nelle moderne centrali elettriche: sebbene le emissioni siano basse, non si riesce ad azzerare la produzione di inquinanti generati da una molecolina di metano (di appena 5 atomi) con una di ossigeno (2 atomi). Secondo lei è realistico pensare che la combustione di grandi molecole (plastiche, gomme, materia organica) non generi inquinanti o che questi possano essere controllati? Glielo dico con certezza: è impossibile. Si può solo affermare che gli inquinanti saranno al di sotto di una soglia e che tale soglia verrá scelta in base alla capacitá di abbattimento degli impianti (sigh!)
2) chi le scrive vive a Zurigo, una città che ha scelto di bruciare e di farne una filosofia se non un vero e proprio motivo di orgoglio. Zurigo potrebbe raggiungere livelli di riciclo stratosferici, vista la grandissima partecipazione delle persone al riciclo, la loro cultura civica e le infrastrutture che lo permettono. Invece dobbiamo accontentarci di un banalissimo 40%,in constante declino, in quanto gli inceneritori aumentano costantemente. Per capirsi, Napoli ha all’incirca 22-23%…
Sauro
…segue dal commento precendente:
La ragione di questo 40% è da attribuire solo ed esclusivamente alla voracitá degli impianti di incenerimento che, per la felicitá di tutti, producono acqua calda per uso domestico. Insomma, per la proprietà transitiva deviata, il non riciclare, oppure riusare, oppure rigenerare, oppure non produrre, non aiuta la produzione di acqua calda domestica. Il che, quasi feticisticamente, viene addirittura venduto come rinnovabile, in quanto si risparmierebbe la combustione di fonti fossili (come se la plastica fosse fonte rinnovabile). Conclusione: gli inceneratori disincentivano il riciclo e anzi, diseducano la popolazione in quanto gli si da una soluzione all’apparenza molto semplice.
Ultimo commento: per capire l’inutilità degli inceneritori basta guardare il bilancio di massa di un impianto qualunque. L’inceneritore genera reflui solidi (ceneri) per circa il 30% rispetto al rifiuto iniziale, che devono essere smaltite come rifiuto speciale, il restante 70% piu tutti gli additivi necessari per l’abbattimento inquinanti, vengono trasformati in parte in CO2, in parte in polveri di tutti i tipi, che vengono disperse nell’ambiente e con un impatto non ancora chiaro.
La domanda è: qual è l’alternativa? Se l’uomo è riuscito a costruire centrali nucleari, sono sicuro saremo capaci di attuare una politica sui rifiuti zero.
saluti cordiali
Sauro
massimo scagliotti
Buongiorno dott. Massarutto , in relazione all’ articolo sui termovalorizzatori vorrei metterLa al corrente che esiste un’ altra possibilità con nessun impatto ambientale in quanto nulla viene bruciato in alcuna fase del processo , gli unici output sono biogas ( per produzione di energia elettrica tramite motori termici e da ora in poi biometano ) , acqua e ammendante , solo meno del 10% del conferito va in discarica, e sono gli impianti di biogas da FORSU che riciclano totalmente tutta la plastica , il vetro , i metalli e la carta presenti nel FORSU , il quale ovviamente non è mai pulito al 100% , inoltre , essendo totalmente d’accordo con Sauro nel suo post del 26/12 , è inefficiente bruciare il FORSU che contiene un’alta percentuale di acqua che immessa in un termovalorizzatore non produce energia , ma anzi la dissipa diminuendo la temperatura della combustione con connessa instabilità dei gas prodotti ed aumento degli inquinanti . Sono azionista di un impianto perfettamente funzionante della potenza di 8 MHW , che tratta 126.000 ton./annue Se di Suo interesse mi contatti pure via mail che sarò lieto di poterLe meglio illustrare caratteristiche tecniche ed economiche dell’ impianto .
p.s. tale impianto costa ca il 30% di un termovalorizzatore di pari potenza !
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roberto de falco
che brutto articolo. ignora completamente i danni da combustione . la verita’ e’ che gli inceneritori non li vuol nessuno e che se te ne capita uno vicino casa hai finito di campare decentemente. basta con questa storia di bruciare i rifiuti passiamo al differenziato vero a l recupero vero e facciamola finita di bruciare rifiuti perfino nei cementifici vedi castelraimondo.