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Cos’è il “bail-in” per gestire le crisi bancarie?

Il 1° gennaio è entrata in vigore la nuova direttiva europea sulle crisi bancarie. Prevede una serie di strumenti che hanno l’obiettivo di prevenire e gestire eventuali crisi in modo da ridurne l’impatto. Non ci saranno più salvataggi con fondi pubblici, ma “risoluzioni”.
QUANDO MANCANO LE REGOLE
Oggi la Banca d’Italia dispone di due strumenti di fronte alla crisi di una banca o di un intermediario finanziario: l’amministrazione straordinaria, che mira a risolvere la crisi sostituendo gli organi di governo della banca; e la liquidazione coatta amministrativa, che mira a liquidare la società, quando è possibile vendendone nel giro di poche ore il patrimonio (ad esempio, gli sportelli bancari, con i connessi rapporti con i clienti) mentre l’impresa è ancora in attività. Ad esempio, è così che è stato liquidato il Banco di Napoli nonché, a suo tempo, il Banco Ambrosiano.
Questi strumenti, nel corso di vari decenni, hanno generalmente dato buona prova. Durante la crisi finanziaria, che ha messo in pericolo decine di banche in tutto il mondo, e quindi la stabilità dell’intero sistema, è emerso che, a differenza dell’Italia, molti paesi non avevano regole speciali per le crisi bancarie. Northern Rock, ad esempio, è stata prima finanziata dalla Banca d’Inghilterra, poi, di fronte al panico dei depositanti, nazionalizzata, infine liquidata, con uno strascico di cause legali. Lehman Brothers è stata fatta fallire, provocando onde di contagio che si sono propagate in tutto il mondo.
Per evitare il collasso, i governi hanno finanziato le banche in crisi con centinaia di miliardi (di dollari ed euro), con effetti perversi: oltre al danno per i contribuenti (l’Irlanda ha visto moltiplicarsi il proprio debito pubblico in conseguenza del salvataggio degli istituti), la beffa che le banche vengono giudicate non solo per la loro solidità, ma anche e soprattutto per la solidità del loro paese. Una banca tedesca gode di credito sul mercato più di una banca italiana, anche qualora quest’ultima sia in ipotesi più forte della prima. Un evidente caso di concorrenza falsata e un grave rischio di spirali perverse fra crisi bancarie e crisi degli stati.
DAL VECCHIO AL NUOVO
È parso chiaro che, nell’interesse di tutti, le regole dovevano cambiare. Dopo riforme effettuate da singoli paesi (Regno Unito e Stati Uniti in primis), nel 2011 il Financial Stability Board ha raccomandato una serie di nuovi principi ai quali le legislazioni di tutti i paesi dovevano essere adeguate.
Per questo motivo, l’Unione europea ha adottato una direttiva denominata “Banking Recovery and Resolution”, lunghissima ed estremamente complessa, che è entrata in vigore (in grandissima parte) il 1° gennaio 2015. Anche se l’Italia è in ritardo con il suo recepimento, entro pochi mesi anche noi faremo conoscenza con le sue regole. Il suo obiettivo è duplice:
(1) prevenire la crisi degli intermediari finanziari;
(2) nel caso la crisi esploda, risolverla con rapidità ed efficienza.
Questo con un arsenale di strumenti senza precedenti nel nostro sistema.
PREVENIRE, PIANIFICARE, CONTROLLARE E INTERVENIRE
In primo luogo, ogni banca e intermediario finanziario dovrà predisporre e far approvare all’autorità di vigilanza (Bce per le banche più grandi e Banca d’Italia per quelle di minore dimensione) un “piano di risanamento”, che preveda in anticipo (e in dettaglio) cosa fare se si verificano eventi avversi, interni o esterni (ad esempio, una perdita di depositi, la perdita di un importante contratto, il cambiamento dei tassi d’interesse, il default del debito sovrano, eccetera). Ciò allo scopo di evitare di dover prendere decisioni non meditate e spesso inefficaci sotto l’impulso dell’urgenza.
In secondo luogo, l’autorità di gestione delle crisi (il nuovo Single Resolution Board (Srb) con sede a Bruxelles per le grandi banche, e una struttura operativamente indipendente della Banca d’Italia per le altre) deve predisporre un piano di gestione o un “piano di risoluzione”, che, analizzate le caratteristiche della singola banca, individua le azioni più adatte e le attua nei confronti dell’intermediario in crisi. E nel far ciò, l’autorità può anche prescrivere a una banca perfettamente sana di semplificare la sua struttura, appunto per facilitare la gestione di una sua eventuale crisi.
In terzo luogo, quando la banca viola o sta per violare regole prudenziali, l’autorità di vigilanza può dare ordini agli amministratori, può rimuovere gli amministratori assieme al top management e agli organi di controllo, e può affiancarli o (più verosimilmente) sostituirli con uno o più amministratori temporanei.
Strumenti penetranti che, con l’eccezione dell’ultimo (che è di fatto l’erede dell’amministrazione straordinaria che già abbiamo), sono oggi a noi sconosciuti.
LE GRANDI BANCHE IN CRISI NON SI LIQUIDANO: SI “RISOLVONO”
Quando la crisi sia conclamata e vi sia pericolo per la stabilità del sistema, scatta la “risoluzione” della banca. Questo è il nuovo termine che designa un insieme di sofisticati “attrezzi”, che consentono all’autorità competente di intervenire con grande rapidità, al fine di preservare la continuità delle funzioni essenziali della banca.
Nell’arco di poche ore (di solito nel fine-settimana, a mercati chiusi), infatti, l’autorità, anche avvalendosi di un amministratore speciale, potrà:

  1. vendere tutto il patrimonio della banca, una sua parte o anche le sue azioni a un terzo soggetto (vendita delle attività di impresa), o separare le sue attività;
  2. trasferire tutto il patrimonio della banca, o una sua parte, a un ente-ponte, utile quando non sia possibile trovare in tempi brevi una collocazione definitiva per gli asset della banca (cosa che accade di frequente in caso di crisi diffusa del settore bancario);
  3. trasferire la proprietà della banca ai suoi creditori, facendoli diventare azionisti e cancellando o diluendo significativamente i suoi vecchi soci (si tratta del famigerato “bail-in”);
  4. adottare, come ultima spiaggia e seguendo le regole sugli aiuti di Stato, strumenti pubblici di stabilizzazione finanziaria, quando l’applicazione degli strumenti di risoluzione non sarebbe sufficiente a evitare rischi per la stabilità finanziaria o comunque occorra tutelare un interesse pubblico. Regole più stringenti, dunque, di quelle che hanno consentito la pioggia di aiuti erogati dagli stati europei durante la crisi finanziaria.
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La liquidazione coatta amministrativa resterà (anche se migliorata), ma per gestire le eventuali scorie della banca ormai “risolta” e per le crisi che non mettano in pericolo la stabilità del sistema.
IL BAIL-IN: COS’È?
Fra tutti gli strumenti spicca quello del bail-in, di cui si comincia a parlare con un misto di interesse e timore. Il suo nome evidenzia la contrapposizione rispetto ai bail-out, cioè ai costosissimi salvataggi del passato effettuati con risorse esterne. L’idea sottostante è semplice: in caso di crisi, sono gli stessi investitori a dover sopportare i costi del salvataggio della banca, e investitori, sia pure in misura diversa, sono non soltanto i soci, ma anche i creditori, che si vedranno sostituiti ai soci. Anche Seat Pagine Gialle è stata recentemente salvata mediante la conversione di crediti in azioni: ma in quel caso soci e creditori lo hanno scelto, approvando un concordato preventivo, mentre nel caso del bail-in ciò accadrà per effetto di complesse valutazioni e decisioni tecniche da parte dell’autorità di risoluzione.
In sostanza, il deficit di patrimonio rispetto a quello necessario perché la banca possa continuare ad operare viene “trovato” non all’esterno, ma presso gli stessi finanziatori, che vedono i loro crediti convertiti (secondo una sequenza prestabilita, e con esclusione dei depositanti garantiti e pochi altri creditori) in capitale, fino al livello necessario a ristabilire la soglia minima. Per effetto della conversione, i “vecchi” soci sono diluiti o esclusi dalla società. Contemporaneamente, la banca viene ristrutturata dal punto di vista operativo ed è capace di reperire liquidità grazie all’avvenuto rafforzamento patrimoniale.
Incerti sono gli effetti della prospettiva di un possibile bail-in sulle scelte dei finanziatori delle banche (diversi dai depositanti garantiti e dai pochi altri, che è previsto non siano toccati). Il maggior costo del capitale, che appare inevitabile, non deriva necessariamente dal bail-in in sé, ma dal venir meno della prospettiva di salvataggio pubblico. Il nuovo sistema fa sì che tanto più la banca rischia, quanto più deve pagare il suo capitale, e questo ha effetti positivi per la concorrenza fra banche.
Ciò che il bail-in induce è, probabilmente, una frammentazione delle fonti di finanziamento e un arbitraggio fra passività soggette a bail-in e passività che ne sarebbero escluse. Verosimilmente, esso si tradurrà in un vantaggio per i creditori rispetto alla liquidazione della banca in crisi. Ciò tuttavia non si saprà fino al 2016 quando, giusto il tempo di conoscerlo, il bail-in entrerà in vigore in tutta l’Unione europea (oggi solo alcuni stati, fra cui il Regno Unito, ce l’hanno). Soltanto in occasione della sua prima applicazione, infatti, si capirà esattamente quali sono i suoi effetti, chi vince e chi perde.
 
 
 

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Il Qe in salsa europea è servito

  1. Stefano Scarabelli

    Le regole del bail-in verranno utilizzate una volta soltanto: abbiamo già visto con Lehman Brothers cosa significhi scambiare un problema sistemico con un problema specifico e purtroppo il sistema finanziario dell’Eurozona è da capo a piedi insolvente (come lo erano quelli americani e britannici prima del qe).

  2. EzioP1

    Si sa di già come avverrà l’eventuale equità di trattamento, nel caso sia ammessa, del valore delle azioni ottenute dai nuovi soci azionisti a seguito della conversione dei loro crediti e il valore delle azioni possedute dai vecchi azionisti? In altre parole, come vengono valutate le nuove azioni in rapporto alle vecchie se è ammesso che tra le due ci sia una differenza?

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