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Jobs act, un vaso di Pandora con tante ambiguità

In dirittura d’arrivo il decreto legislativo di attuazione del Jobs Act che definisce la nuova regolamentazione dei licenziamenti. Al di là di dubbi su punti specifici, il provvedimento non rispetta gli obiettivi di tutele uniformi e di semplificazione affermati nella legge delega.
UN TITOLO FUORVIANTE
La legge delega 183/2014, nota come Jobs Act, si distingue per la vaghezza nella determinazione dei «princìpi e criteri direttivi». Fra le poche indicazioni circostanziate, spiccano l’istituzione di una «Agenzia nazionale per l’occupazione (con competenze gestionali in materia di politiche attive del lavoro e Aspi)» e la «previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti».
Per il resto, «su importanti e vasti ambiti del diritto del lavoro», il testo enuncia orientamenti così generali che occorrerà attendere i decreti legislativi per conoscere il vero volto della nuova disciplina del lavoro.
Nel Consiglio dei ministri del 20 febbraio è previsto il varo di due decreti legislativi, Vale comunque la pena di cominciare a considerare alcune questioni di notevole portata e di palese delicatezza, affrontate in uno dei due schemi di decreto, quello sulle «disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti».
Leggendolo, ecco una prima sorpresa: neppure una riga del provvedimento è dedicata specificamente al contratto a tutele crescenti. Il testo si snoda in 12 articoli, tutti volti sostanzialmente a definire la nuova regolamentazione dei licenziamenti, riferiti all’insieme dei lavoratori assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato, senza una specificazione che lo restringa a quello a tutele crescenti (e a meno dei dirigenti), dalla data di entrata in vigore del decreto.
ESTENSIONE CONDIVISIBILE, MA SOLO IN PARTE
Lo schema di decreto innova significativamente la disciplina sui licenziamenti, restringendo la reintegrazione del lavoratore a quelli discriminatori (e assimilati) e allo specifico caso di licenziamenti disciplinari ingiustificati per «l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore». Per le altre ragioni di licenziamento (giustificato motivo oggettivo o soggettivo o giusta causa) prevede un risarcimento economico.
Il decreto mantiene invece l’estensione della nuova disciplina ai «licenziamenti collettivi», già operata dalla cosiddetta riforma Fornero (legge 92/2012). La nozione di «licenziamenti collettivi» è stata stabilita in relazione ai processi di mobilità e a una particolare politica del lavoro – le liste di mobilità. Nella determinazione del numero minimo di lavoratori che debbono essere licenziati, la nozione è del tutto convenzionale: è “licenziamento collettivo” quando un’impresa con più di 15 dipendenti effettui almeno cinque licenziamenti in un arco di tempo di 120 giorni, nell’ambito della stessa provincia.
Dal punto di vista sostanziale, è rilevante, invece, il motivo che giustifica il licenziamento collettivo: deve riferirsi a un singolo processo di riduzione o trasformazione dell’attività.
Lo schema di decreto richiama sì l’attuale procedura e i criteri ai quali attenersi nella scelta dei lavoratori da licenziare («anzianità di servizio, carichi di famiglia, esigenze tecnico-produttive), ma solo per negargli qualsiasi rilievo: nel caso di una loro violazione, si procede comunque col risarcimento economico. Si tratta di un’anomalia che dovrebbe essere sanata.
LICENZIAMENTO PER GIUSTIFICATO MOTIVO E GIUSTA CAUSA
Nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo o soggettivo o per giusta causa, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro e determina un’indennità risarcitoria a carico del datore di lavoro, fissata pari a due mensilità per ogni anno di servizio e comunque entro l’intervallo fra 4 e 24 mensilità.
I punti di debolezza, o comunque di controversia, dello schema di decreto sono due. Il primo attiene al basso tetto dell’indennità risarcitoria, incongruo rispetto al criterio di due mensilità per anno di servizio enunciato giusto due righe prima. Infatti, ventiquattro mesi corrispondono a dodici anni di anzianità. Per il lavoratore che abbia una storia lavorativa lunga in una stessa impresa ciò si traduce in una penalizzazione ingiustificata.
E dubbi suscita poi la normativa prospettata per la risoluzione di controversie in merito «al licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa», in buona sostanza al licenziamento per motivi disciplinari.
In questo caso, il lavoratore che ricorra al giudice vedrà il provvedimento annullato e il datore di lavoro condannato al pagamento di un’indennità risarcitoria, quando «sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento». L’ultima affermazione, evidenziata in neretto nel testo, è a prima vista sconcertante perché in aperto contrasto con un principio generale: la proporzionalità della sanzione alla violazione.
Vi è poi un’ultima considerazione generale. Il provvedimento non muove verso gli obiettivi di «tutele uniformi», «semplificazione», «razionalizzazione», pur affermati a chiare lettere nella legge delega.
Non si fa strada con sufficiente vigore una nuova logica dei rapporti fra imprese e lavoratori – e Stato: una logica consapevole che la sfida dell’innovazione e della competitività si impone congiuntamente a tutti gli attori, dunque più dialogante, più aperta all’esigenza di convergenze; e di conseguenza regolata da una normativa uniforme, quindi anche snella, che stimoli la corresponsabilità delle parti sociali.
 

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Il senso di Maroni per l’autonomia

  1. Elisabetta

    Solo una precisazione, durante la discussione della legge in parlamento avevo letto che la legge avrebbe riguardato i nuovi contratti, invece ora mi sembra di capire che il licenziamento è possibile anche per i contratti firmati prima dell’entrata in vigore della legge. Me lo conferma? saluti.

    • Asterix

      No vale solo per i nuovi assunti.. il criterio base in Italia è scaricare sui figli le colpe dei padri. I nostri nonni ci hanno scaricato il debito pubblico che avevano creato loro, noi abbiamo scaricato ai figli il precariato che silenti abbiamo accettato.. cosa potranno scaricare loro non lo so…

    • Ugo Trivellato

      Vale per i nuovi assunti … più qualche altro. Il Decreto prevede che “nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all’entrata in vigore del presente decreto [superi la soglia dei 15 dipedenti], il licenziamento dei lavoratori, anche se assunti precedentemente a tale data, è disciplinato dalle disposizioni del presente decreto”.

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