La riforma della legge elettorale e quella del Senato sono collegate. Ma la prima si fa con legge ordinaria, la seconda necessita di una revisione costituzionale, che richiede più passaggi in Parlamento. Le probabilità di approvazione e le incognite da affrontare. Aspettando le elezioni regionali.
DUE RIFORME COLLEGATE
A che punto sono la riforma elettorale e quella della Costituzione? Quante probabilità hanno di essere definitivamente approvate? Quali sono le loro caratteristiche principali e quali i punti potenzialmente più critici?
Le due riforme sono strettamente collegate, per diversi aspetti. Innanzitutto, sono frutto di un accordo, siglato poco più di un anno fa, tra il Pd e Forza Italia (il cosiddetto “patto del Nazareno”). È ragionevole, seppur non scontato, aspettarsi che il destino, positivo o negativo, dell’una sia legato a filo doppio a quello dell’altra. La riforma elettorale, infatti, prevede sì il superamento dell’attuale normativa (la legge 270/2005, cosiddetto “Porcellum” o legge Calderoli, così come corretta dalla sentenza n. 1/2014 della Corte costituzionale, il cosiddetto “Consultellum”), ma solo per la Camera dei deputati. Più esplicitamente, la riforma elettorale non contiene alcuna indicazione sul meccanismo di voto del Senato. Questa scelta si capisce solo se letta insieme alla riforma costituzionale in discussione, che prevede, tra le altre cose, il superamento del bicameralismo perfetto e la trasformazione del Senato in Camera delle autonomie, con limitato potere legislativo.
LA LEGGE ELETTORALE
La riforma della legge elettorale è già stata approvata dai due rami del Parlamento. La Camera ha approvato in prima lettura la proposta di riforma il 12 marzo 2014 (365 voti a favore e 156 voti contrari); poche settimane fa, il 27 gennaio 2015, anche il Senato ha approvato la proposta di riforma (184 voti a favore e 66 voti contrari; 24 senatori del Pd non hanno partecipato al voto per protesta). Tuttavia, poiché il Senato ha introdotto alcune modifiche al testo, questo deve di nuovo tornare all’esame di Montecitorio.
Delle caratteristiche dell’Italicum si è già scritto in altri contributi, ma vale la pena di sottolineare i tre aspetti più importanti del dibattito al Senato e che, verosimilmente, condizioneranno anche quello alla Camera.
1) Introduzione del premio di maggioranza alla lista o partito e non alla coalizione: in questo modo scompare l’incentivo a coalizzarsi, in quanto il premio di maggioranza, quando scattasse, verrebbe attribuito solo a un unico partito. L’aspetto cruciale di tale previsione è la scomparsa della necessità di aggregare quanti più partiti possibili per raggiungere la soglia del premio; esattamente per questo motivo, la norma non è vista di buon occhio dai partiti minori.
2) Soglia di esclusione unica al 3 per cento: proprio per compensare i partiti più piccoli, è stata assicurata una soglia di esclusione più bassa, in grado di accontentarne molti (per qualcuno troppi). In realtà, se da un lato una soglia più bassa permetterà una maggiore rappresentatività, dall’altro polverizzerà ulteriormente le minoranze, che saranno più divise e renderanno più forte la stessa – monolitica – maggioranza.
3) Preferenze e capilista bloccati: nelle liste elettorali vi sarà un capolista “bloccato”, che sarà sicuramente eletto qualora il suo partito ottenga un seggio nel collegio; i successivi candidati in lista, invece, saranno eletti secondo le preferenze espresse. Si tratta di un indubbio miglioramento rispetto al “Porcellum”, anche se è difficile dire a priori quale sarà la quota di eletti con preferenza e quale quella di eletti “bloccati”. È la norma che, politicamente, ha creato le opposizioni più feroci, in quanto all’interno dello stesso Pd diversi senatori si sono dichiarati contrari, rivendicando invece la possibilità di esprimere preferenze su tutti i candidati. A proposito dei capilista, è interessante notare che uno stesso candidato può essere capolista di fino a dieci collegi diversi. Paradossalmente, un abbondante ricorso a tale possibilità aumenterebbe il numero di candidati eletti con le preferenze; tuttavia, ciò renderebbe più arbitraria la composizione del parlamento. Sarebbe stato perciò ottimale prevedere anche un meccanismo di selezione automatica del collegio di elezione nel caso di candidatura multipla.
Alla luce di ciò, e nonostante il fatto che dopo l’elezione del Presidente della Repubblica il “Patto del Nazareno” sembra essersi dissolto, appare evidente che la riforma elettorale ha elevate probabilità di essere definitivamente approvata dalla Camera. Innanzitutto perché la maggioranza di Governo, a Montecitorio, è solida e autosufficiente. Inoltre, la gestione da parte di Matteo Renzi dell’elezione del Presidente della Repubblica sembra avere ricompattato il Pd. In effetti, le schermaglie al Senato apparivano più lotte interne con fini diversi da quelli dichiarati e sembra impossibile che, su una questione più di principio che di sostanza, il partito non sia in grado di garantire i numeri. Discorso diverso se invece la Camera dovesse approvare con modifiche la riforma: in questo caso, il testo tornerebbe al Senato dove una maggioranza certa sarebbe ancora da ricostruire.
Si tratta di una bella notizia? Ovviamente, se piace la forma dell’Italicum la risposta dovrebbe essere affermativa. Tuttavia, non va dimenticato che la riforma va di pari passo con quella – costituzionale – che ridisegna il ruolo del Senato. Non a caso, l’entrata in vigore della nuova legge elettorale è rinviata addirittura al 1° luglio 2016. Se la riforma costituzionale dovesse fallire, il Senato continuerebbe a essere eletto con la legge vigente, corretta dalla sentenza della Corte costituzionale.
LA RIFORMA COSTITUZIONALE
È quindi cruciale, anche per il destino – e per l’efficace funzionamento – della nuova legge elettorale, capire a che punto si è sulla riforma costituzionale. A differenza delle leggi ordinarie, i requisiti per l’approvazione della riforma costituzionale sono molto più stringenti. Innanzitutto, lo stesso testo deve essere approvato per due volte dalla stesso ramo del Parlamento. Inoltre, la seconda votazione richiede una maggioranza qualificata (dei componenti e non dei votanti).
Attualmente, la legge di riforma costituzionale è già stata approvata in prima lettura dal Senato l’8 agosto 2014 (183 voti favorevoli e 4 astenuti; i contrari non hanno partecipato alla votazione). Ora ha appena superato l’esame delle commissioni della Camera e sta per essere votata in aula. Tuttavia, è quasi certo che il testo che sarà approvato a marzo da Montecitorio sarà diverso da quello ricevuto dal Senato e dunque l’iter di riforma dovrebbe considerarsi appena cominciato.
Anche in questo caso, si rimanda ad altri contributi sull’esposizione dei tratti salienti della riforma, che sono principalmente due: la trasformazione del Senato da Camera elettiva con potere legislativo a ente di secondo livello, rappresentativo delle regioni e delle altre autonomie locali e con potere legislativo limitato a specifiche materie; e la riforma del Titolo V, con sostanziale ridimensionamento della potestà legislativa delle Regioni (di fatto, un grosso passo indietro rispetto alla riforma costituzionale del 2001). Vale la pena di enfatizzare la portata di questi interventi che costituirebbero davvero un passaggio definibile “dalla Prima alla Seconda Repubblica”.
Ciò dovrebbe chiarire anche le posizioni dei partiti sulla riforma: innanzitutto, sono contrari i partiti autonomisti (Lega Nord) e gli oppositori “a prescindere” (così si è spesso caratterizzata, sostanzialmente, l’attività del Movimento 5 Stelle); mentre la minoranza Pd, alla Camera, non si è presentata per votare un articolo che ristabilisce la previsione di senatori di nomina presidenziale, precedentemente eliminati da un altro emendamento della stessa minoranza.
Tuttavia, l’aspetto più problematico sarà convincere i senatori, per ben altre due volte, a votare di fatto contro se stessi: un passaggio estremamente delicato per diversi motivi. Se, da un lato, c’è il collegamento con la riforma elettorale, dall’altro, si tratta di vedere fino a che punto Renzi può spingere il braccio di ferro sul tema: le elezioni anticipate che il presidente del Consiglio può minacciare spaventano sì le opposizioni, ma quasi sicuramente gli restituirebbero un Parlamento ancora più frammentato. Proprio a questo proposito appaiono cruciali due eventi che si realizzeranno nei prossimi mesi. Il primo sarà il ritorno di Silvio Berlusconi alla politica a tempo pieno. Nonostante tutto, poter mettere le mani su una così rilevante riforma costituzionale appare una tentazione troppo forte per liquidare il tema a cuor leggero. Il secondo saranno le elezioni regionali che si terranno in primavera e che, in caso di risultato ancora estremamente positivo per il Pd, potrebbero dare ulteriore man forte a Renzi, sia contro le minoranze, che non vorranno tornare alle urne, sia soprattutto contro i suoi oppositori interni.
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anonimo milanese
Domanda, ma é costituzionale approvare una legge elettorale incompleta?
Secondo il calendario descritto, si verrebbe a creare una finestra di circa un anno (forse piu’) con il bicameralismo perfetto (in attesa della riforma del Senato) ed una legge elettorale solo per la Camera mentre al Senato resterebbe il cd. “Consultellum”. In queste condizioni ho seri dubbi sull’ammissibilita’ costituzionale dell’Espositum perché creerebbe un vacuum legislativo (o quantomeno una forte incertezza) di circa un anno, cosa che non mi risulta ammissibile dalla Costituzione. Quando l’Espositum sara’ votato, il Presidente della Repubblica dovrebbe valutarlo in funzione del quadro costituzionale in vigore al momento della firma, non di quello che potrebbe essere dopo. In sintesi, troverei proceduralmente piu’ corretto fare prima la riforma costituzionale e poi la legge elettorale, non contemporaneamente. Questo ovviamente al di la’ dei contenuti.
Roberto
Ovviamente sarebbe più corretto fare prima la riforma costituzionale e dopo la legge elettorale, ma come sempre accade in Italia si fa tutto il contrario di tutto.
Inoltre la riforma costituzionale non sarà semplice approvarla perché alla fine dovrà passare attraverso il referendum.
In caso di mancato successo della riforma costituzionale, l’italicum si rivelerebbe inutile perché non permetterebbe comunque a Renzi di andare a votare avendo la certezza della maggioranza assoluta, visto che il senato rimane eletto con il proporzionale.
Quindi in caso di elezioni anticipate si rischia l’ennesimo impasse, a meno di non cambiare prima delle elezioni anche la legge elettorale del senato adeguandola a quella della camera.
E’ la solita situazione gattopardesca italiana, riforme ideate male dal punto di vista tecnico e temporale rischiano di lasciare tutto come prima.
anonimo milanese
Sono d’accordo con l’osservazione, ma se provo a trarre le conclusioni del ragionamento significherebbe che, in queste condizioni, il Presidente della Repubblica non dovrebbe accettare di firmare la riforma elettorale finché non viene prima approvata la riforma costituzionale, o sbaglio?
Gli scenari sarebbero quindi quelli di un Presidente che firma una legge elettorale palesemente incostituzionale oppure di un Presidente che, rifiutandosi di firmare, si farebbe garante della Costituzione ma con conseguenze politiche importanti per il Governo in carica (scenario verosimile?).
Altresí mi domando la legittimitá dei Presidenti delle Camere nell’approvare una calendarizzazione cosí confusa e pasticciata del processo legislativo, sempre ragionando al netto dei contenuti.
Roberto
Tutti i tuoi ragionamenti sono legittimi e giustificati.
Purtroppo però non credo che Mattarella abbia la forza politica di bloccare la riforma elettorale, felice di essere smentito.
Stesso discorso vale per i presidenti delle camere, serve gente molto più forte politicamente per modificare l’atteggiamento del governo.
La Boldrini e quello che è accaduto alla camera nella recente approvazione della riforma costituzionale è un esempio della pochezza di certe personalità.
Per questo motivo è probabile che andrà a verificarsi la situazione già citata (prima riforma elettorale e poi costituzionale), con il solito rischio di governabilità in caso di elezioni anticipate.
Henri Schmit
Penso che qualsiasi cittadino mediamente intelligente e onesto debba insorgere contro qualsiasi forma di lista bloccata, negazione del diritto di voto, cioè che i deputati sono quelli preferiti dagli elettori, non da qualcun altro, nascosto dietro quinte a tirare i fili.
Con 120 collegi da cinque seggi in media significa che l’ultimo seggio si assegna a (100:6 meno qualcosa per la dispersione del voto =) 14%. Con un partito al 35%, tre compresi fra il 15% e il 22% significa che solo i 120 secondi seggi, quasi tutti del PD, saranno assegnati con le preferenze; con il gioco delle candidature multiple; meno della metà, diciamo che forse 60. Ma poco importa, 90%, 80% o solo il 75% assegnato con posti bloccati, è sempre violazione della costituzione e dei principi elementari della democrazia, anche se la Consulta dovesse accettare.
Povero paese! Senza questo tipo di controllo su chi decide (= formalmente la maggioranza in Parlamento) il paese non cambierà, non riuscirà a controllare l’attività del governo e dell’amministrazione e degli uomini che vi girano intorno. Certo, non basterà il libero voto (cioè il controllo dell’opinione pubblica sull’attività legislativa), ma senza libero voto non si cambierà mai niente.
Un mio articolo su forum costituzionale “la riforma del senato e la rappresentanza democratica”. Mi batto per questo tema dal 2005 quando sostenevo che si doveva abolire la quota proporzionale della legge che portava il nome del neo-presidente della repubblica.
Giulio MANCABELLI
Pertanto, non possiamo decretare la fine della storia accontentandoci del solito obsoleto esistente! (Fukuyama) In quanto già gli stessi Greci Antichi avevano concepito il “ciclo”come l’uovo di Colombo e l’hanno introdotto come criterio dinamico evolvente per praticamente applicarlo nelle prassi dell’esercizio della democrazia, dove sistematicamente il ciclo veniva usato per l’assolvimento delle cariche cosicché, si alternavano nei ruoli e nelle funzioni per meglio poter contrastare rischi di cadere nel dispotismo. Così in altrettanto dinamico alterno modo, praticavano il ciclo, oltre i Greci anche gli stessi Romani, con riferimento perfino anche al loro impianto istituzionale giacché, quando reputavano la loro Repubblica a rischio, la sospendevano per inserirvi un ciclo d’assoluta governabilità attraverso l’elezione di un dictator – dittatore per poi (dopo sei mesi) ritornare alla Repubblica! Questa era la prassi, anche se espressa in modo sbrigativo, permetteva loro di concepire in modo elastico flessibile l’istituzione per mantenerla il più possibile integra incarreggiandola entro quegli evolventi termini alterni fra “Senato e Governatore“!? Pertanto anche da questi soli aspetti se ne dovrebbe evincere quell’insito latente assioma diade che il SEMIALTERNO esprime ed intende sintetizzare nella sua articolazione: “Governabilità e Rappresentatività” ancora dai meccanismi elettorali data la complementarietà di entrambi. Da cui sgorga il sistema elettorale SEMIALTERNO!
Pierluigi Urbani
ricordo di una grossa lotta per annullare l’articolo 2 non graditi alla minoranza dem ; potrebbe fornirmi qualche ragguaglio su questo punto ? Grazie in anticipo