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Per un’Irpef più equa

La progressività dell’Irpef non va eliminata, ma razionalizzata. Riducendo le detrazioni e introducendo trasferimenti monetari basati sulla prova dei mezzi per il complesso dei redditi familiari. Il sistema permetterebbe di abbassare le aliquote sui redditi bassi e medi, alzando quella più elevata.

IL RUOLO REDISTRIBUTIVO DELL’IRPEF
In un articolo su lavoce.info Paolo Liberati e Antonio Scialà sostengono che l’attuale progressività dell’Irpef non sarebbe più giustificata. La ragione è costituita dalla grande quantità di redditi evasi o erosi, cioè redditi che, lecitamente o meno, sono sottratti alla progressività dell’Irpef e che la ridurrebbero sostanzialmente a un’imposta di specie sui redditi da lavoro dipendente e pensione.
Pur essendo considerazioni condivisibili, è possibile, aggiungendone qualcun’altra, pervenire a una conclusione molto diversa, e cioè che è auspicabile e possibile mantenere, razionalizzandolo, il ruolo redistributivo dell’imposta personale progressiva.
L’esclusione dall’Irpef della maggior parte dei redditi da patrimoni, reali o finanziari, è andata rafforzandosi negli ultimi anni, insieme a quella di redditi da lavoro, dipendente o autonomo, ritenuti meritevoli di agevolazione.
È un aspetto rilevante e complesso, in quanto nel disegnare la tassazione e collocazione dei redditi da patrimoni non si può ignorare la forte e crescente mobilità dei capitali attraverso le frontiere, così come la scelta di un decentramento fiscale fondato principalmente sulla tassazione patrimoniale immobiliare. Tuttavia, la tassazione di specie immobiliare e finanziaria ha assunto negli ultimi anni livelli che si collocano, pur nella opacità di doppie e triple tassazioni, ai livelli più elevati delle aliquote Irpef: vanno in questa direzione il moltiplicarsi di imposte sugli immobili o la loro crescita in termini di aliquote effettive, così come per i redditi finanziari il cumularsi di un aumento della tassazione (fino all’attuale 26 per cento) e di una mini imposta patrimoniale. Dunque, sebbene per entrambe le componenti patrimoniali si potrebbe ragionare su un loro (re)inserimento nell’imponibile personale, c’è consapevolezza che questa categoria reddituale, maggiormente presente tra i redditi più elevati, è oggi soggetta ad aliquote piuttosto elevate e partecipa, magari in maniera pasticciata, all’azione redistributiva.
Resterebbe invece importante disboscare una parte d’interventi, anche recentissimi, che tolgono dall’imposizione progressiva altre componenti di reddito con diverse motivazioni. Ma occorre chiedersi innanzitutto se l’Irpef, pur con evidenti limiti, possa avere – e abbia – un significativo carattere di progressività capace di svolgere l’indiscussa azione redistributiva del bilancio pubblico. Su questo sembra utile non trascurare che la doppia tassazione dei dividendi e delle plusvalenze da partecipazioni qualificate portano a contribuire anche i redditi da impresa di maggiore consistenza.
Inoltre, per ragioni connesse con le caratteristiche dei mercati, la distribuzione dei redditi degli autonomi presenta una forma a “U”, con frequenze concentrate o sui redditi bassi, o su quelli elevati, perché in certi segmenti di mercato è più difficile evadere le imposte (e l’Irpef in primis), mentre in altri (anche perché meno soggetti a concorrenza) è più facile conseguire un elevato reddito. Ne deriva che nello scaglione di reddito più elevato sono prevalenti, contrariamente a quanto spesso si pensi o si affermi, i contribuenti e ancor più i redditi diversi da lavoro dipendente e pensione, a maggior ragione se si ha l’accortezza di considerare che tra i redditi fiscalmente assimilati al lavoro dipendente si celano i compensi degli amministratore di società.
Gli indici di concentrazione di Gini, anche quando calcolati sul complesso dei redditi e delle imposizioni in qualche modo assimilabili alle dirette, mostrano un netto ridursi della concentrazione quando si passa dal reddito lordo a quello netto.
COME CAMBIARE L’IRPEF
Per raggiungere una maggiore equità e un effetto redistributivo più consistente non è necessario ridurre le aliquote formali più alte (le ultime due o anche la terza?) e “recuperare un profilo progressivo attraverso provvedimenti di spesa”. Se decine di miliardi devono essere impiegati sul versante di una riduzione dell’Irpef, destinarne altrettanti (ma anche meno) al versante della spesa è semplicemente impossibile. La direzione verso la quale a nostro avviso ci si deve muovere è quella di alleggerire l’Irpef dai compiti di sostegno del reddito familiare che le sono stati maldestramente affidati – in modo crescente – da una dozzina di anni: calibrare le detrazioni familiari in base a un’Irpef individuale crea distorsioni in termini di equità. Un assegno universale legato alla prova dei mezzi basato sul reddito equivalente del nucleo in base alla globalità dei redditi, compresi quelli da patrimonio, quelli esenti e il reddito figurativo della casa d’abitazione, permette di superare l’obiezione, giusta in sé, che sono i redditi da lavoro e pensione a costituire la maggior parte del gettito Irpef. Specie se il contributo di parziale finanziamento di questo assegno prevedesse, secondo i criteri vigenti, minimali contributivi per redditi autonomi dichiarati inferiori a certe soglie.
L’evasione resterebbe un problema sia per l’Irpef che, in misura minore, per gli strumenti di spesa means tested suggeriti. Una seria riduzione dell’evasione è uno dei principali compiti che un governo italiano dovrebbe avere. Qualche passo in avanti è stato compiuto, ma altri se ne possono fare: attraverso la tracciabilità dei pagamenti, la riduzione dell’uso del contante, le proposte di riforma dell’Iva recentemente formulate dal Nens e, più in generale, con le modifiche (fondate) delle aspettative.
Nella proposta di riforma dell’Irpef , il gettito dell’imposta potrebbe aumentare attraverso l’eliminazione delle detrazioni familiari e la riduzione delle detrazioni per tipologia di reddito (rese fisse e non decrescenti come adesso, anche per riconciliare aliquote formali ed effettive). La prima aliquota verrebbe ridotta (20 per cento) mentre l’ultima aumenterebbe (48 per cento oltre i 200mila euro, con eliminazione del vigente contributo di solidarietà). Ma l’introduzione di un assegno universale (oltre a una parziale fiscalizzazione dei contributi sociali) farebbe sì che la spesa di trasferimento aumenterebbe in maggior misura e con notevole azione redistributiva, per cui la proposta verrebbe a costare solo quasi un punto di Pil, dunque di gran lunga meno delle varianti della flat tax.
LE VERE ALIQUOTE DELL’IRPEF
Vale la pena di soffermarsi infine su un aspetto che è meno noto di quanto dovrebbe: le “vere aliquote” dell’Irpef sono meno delle cinque formali che si leggono sul Tuir o nei manuali di scienza delle finanze, avvicinandosi a una flat tax già al superamento dei 28mila euro.
Se invece dell’imposta lorda osserviamo la netta, che è quella che grava sui contribuenti, le aliquote sono più alte e molto più ravvicinate. Già sopra i 28mila euro incominciano a esserci contribuenti con un’aliquota marginale vicina al 42 per cento e spesso superiore al 43 per cento, cioè quella applicabile allo scaglione oltre i 75mila euro.
Gli obiettivi principali sono dunque far scendere le aliquote marginali e medie per i lavoratori con redditi bassi e medi; avere un sistema di aliquote marginali crescenti e uguali per tutti; sostenere i carichi familiari attraverso un sistema di trasferimenti monetari che elimini il grave problema dell’incapienza; ridurre il cuneo fiscale sul lavoro, attenuare il problema sociale dei nuovi working poor o degli esodati.
La nostra proposta si muove in modo coerente in questa direzione. Certo, sopra i 100mila euro di reddito familiare vi sarebbe, in media, un leggero aumento del prelievo, non per “far piangere i ricchi”, ma per contenere il costo della riforma.

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  1. IC

    Il tema affrontato è molto complesso e in genere poco conosciuto. Condivido alcune delle considerazioni degli autori. Ad es. che le aliquote effettive della tassazione su redditi e capital gain negli investimenti finanziari possono risultare enormemente superiori a quelle apparenti (26% e 12,5%). Basta pensare alle limitate possibilità di compensazione con le perdite in relazione alle diverse tipologie di strumenti finanziari e dei rapporti con più intermediari finanziari, agli archi temporali concessi per queste compensazioni e al fatto che le perdite devono precedere almeno di un giorno i guadagni Le perdite non possono essere compensate con cedole e dividendi. Vi sono poi altre imposte (come ad es. i bolli) e costi e commissioni caricati dalle banche che non riientrano nel computo dei guadagni. Migliaia di piccoli risparmiatori sono stati coinvolti nel default dei bonds argentini con perdite per loro assai rilevanti che non sono riusciti a compensare con guadagni o con cedole di BTP italiani. Anzi nel caso dei BTP acquistati sopra la pari non è ammessa la compensazione della perdita alla scadenza con le cedole incassate. Chiediamo quindi al Fisco di allargare la possibilità di compensazione fra guadagni e perdite. Quando sento i sindacalisti che si lagnano per la tassazione dei redditi finanziari chiedendo per equità aliquote molto superiori sono in dubbio fra attribuire queste tesi alla loro ignoranza o alla malafede

  2. Dopo l’articolo sul contratto a tutele crescenti di Tito Boeri su lavoce.info, arrivato al Jobs Act, pure questo articolo è destinato a un esito storico. Il Governo Renzi, carente di idee, trova in questa proposta la migliore e più articolata alternativa del momento, al progetto di Matteo Salvini sulla flat tax.
    Il rottamatore / innovatore Matteo Renzi di certo non si lascerà suggerire la riforma fiscale da un altro rampante quarantenne in carriera, come Matteo Salvini.
    Né un governo di sinistra può proporre una flat tax iniqua e non progressiva, o copiare una cosa inventata dalla destra di Reagan ormai 40 anni fa.

  3. Luigi Calabrone

    Come al solito, su questo sito la materia delle aliquote viene trattata accademicamente, trascurando che alle aliquote statali si assommano quelle regionali e comunali. In tal modo, quando si scrive 42%, si deve intendere 44%, eccetera. Probabilmente, chi scrive non fa la denuncia dei redditi personalmente, o si fida alla cieca del lavoro del commercialista. Occorre più concretezza quando si parla di numeri. Inoltre, manca qualsiasi accenno alle soluzioni adottate in qualche paese significativo d’Europa, con cu per il resto dobbiamo confrontarci. Mi piacerebbe maggiore precisione e concretezza.

  4. Senza dubbio una riforma dell’IRPEF è necessaria, non solo per le distorsioni che evidenziate e perchè a essa si agganciano le tasse locali, indegne e fuori controllo, ma soprattutto perchè è diventata una tassa sul lavoro e pensioni che costituiscono l’87% della base imponibile.
    Nel frattempo, la ricchezza delle famiglie italiane è cresciuta, e soprattutto si è modificata la composizione.
    L’indice di concentrazione del reddito di Gini ha raggiunto lo 0,34 del 2012. L’indice di Gini della ricchezza mostra una crescista continua fino a 0,64 nel 2012.Il 10% delle famiglie più ricche possiede il 46,6% della ricchezza netta familiare totale. La concentrazione della ricchezza finanziaria è ancora più elevata attestandosi attorno allo 0,74, mentre cla concentrazione delle passività finanziarie è allo 0,93. L’indice di di concentrazione di Gini misurato sui redditi familiari del 35,6%.
    Quindi 2 milioni di famiglie, cioè 5 milioni di italiani su 60, posseggono 4.000 miliardi di euro. Ora anche considerando un 10% di ricchezza evasa all’estero, non sarebbe il caso di introdurre una seria patrimoniale come in Francia sopra il milione di euro communque e ovunque detenuto? Non si rischia di concentrarsi sulla pagliuzza e non vedere la trave?

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