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Se la riforma delle autonomie passa per i tagli alle risorse

La legge di stabilità 2015 impone forti tagli agli enti locali, di fatto ridefinendone il perimetro di azione. I vincoli di natura finanziaria, contabile e di personale sono utilizzati come leva per accelerare i processi di riassetto istituzionale, in una rischiosa riorganizzazione “spontanea”.
IL PESO DELLA MANOVRA 2015 SUI COMUNI
La legge di stabilità 2015 non porta per i comuni l’attesa riduzione del peso della manovra. Anche quest’anno il contributo richiesto al comparto è di quasi 4 miliardi di euro, riducendo la capacità di azione degli enti per un importo pari a un ulteriore 6 per cento della spesa corrente.
Questo è il risultato di più interventi diversi i cui effetti si sovrappongono. In primo luogo, come da tempo e da più parti richiesto, viene ridimensionato l’obiettivo del patto di stabilità, ma la contemporanea manovra di svalutazione dei crediti di dubbia esigibilità compensa in larga parte la riduzione. Si tratta, è vero, di un intervento contabile rivolto a ridurre i residui attivi in bilancio, che ha però l’effetto di ridimensionare i margini di azione degli enti.
Viene prevista, inoltre, la decurtazione del fondo di solidarietà per 1,2 miliardi (20 per cento). Dal momento che il fondo è finanziato con parte del prelievo sull’Imu, l’azione si traduce in una riduzione delle risorse per i comuni a favore dello Stato.
A vantaggio degli enti, invece, va il rifinanziamento del patto verticale incentivato a sostegno delle amministrazioni in difficoltà nel sostenere gli obiettivi del patto di stabilità interno.
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LA MANOVRA ANTICIPA LA RIFORMA DELLE PROVINCE
Le province sono al centro di un complesso processo di riforma, da poco avviato e ancora non completamente definito negli aspetti operativi. La legge di stabilità interviene imprimendo un’accelerazione attraverso un taglio radicale alla capacità di spesa e al personale. Interventi, dunque, finalizzati a spingere verso un nuovo assetto, costringendo di fatto a una riorganizzazione operativa “spontanea”. Se da un lato è forte il rischio dell’improvvisazione, dall’altro si intende, forse, intervenire sui tempi lunghi dell’inerzia.
Nel complesso l’attività degli enti, misurata in termini di risorse disponibili, viene ridotta al 70 per cento rispetto al 2014 per le province e al 75 per cento per le città metropolitane (Upi, 2015).
Inoltre, la funzionalità delle province, espressa in termini più generali, è destinata a essere definitivamente compromessa dal fatto che la legge di stabilità prevede anche la riduzione al 50 per cento del personale. L’operazione, che è strettamente connessa allo “svuotamento” di funzioni architettato dalla legge Delrio, risulta finora incerta nell’articolazione e difforme nel territorio, subordinata alle scelte e ai tempi delle singole regioni. Approssimativamente, si tratta di 15mila addetti che andranno ricollocati presso altre amministrazioni. Tutte le regioni, con poche eccezioni, sono intervenute normativamente, ma per lo più rinviando a successivi atti l’assegnazione delle funzioni.
Infine, le città metropolitane, il soggetto istituzionale innovativo nel contesto delle autonomie locali, si troveranno inevitabilmente a muovere i primi passi in un ambito di risorse scarse.
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ANCHE PER LE REGIONI SI RIDUCE IL PERIMETRO D’AZIONE
Anche le regioni sono chiamate a un crescente contributo al risanamento del paese attraverso una riduzione dei costi per 4,2 miliardi (3 per cento della spesa corrente). Al taglio si aggiunge l’introduzione del vincolo contabile del pareggio di bilancio corrente e finale, per un contributo richiesto al comparto di 2 miliardi, quindi nell’ammontare potenzialmente già incluso nel taglio.
Dal lato delle risorse, la manovra sull’Irap è destinata per quest’anno a incidere sul bilancio degli enti limitatamente al gettito extra-standard. Al di là dell’intento anticiclico dell’intervento, la contemporanea azione dal lato dei costi e del prelievo fiscale spinge a interrogarsi in merito all’ipotesi di una riduzione strutturale del perimetro d’azione delle regioni, tale da incidere sulla capacità di offerta di servizi per la salute.
Tabella 3 – L’impatto della manovra sulle regioni italiane (milioni di euro)
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In definitiva, dunque, la legge di stabilità 2015 si pone in discontinuità con il passato, dando priorità alle politiche di contenimento della pressione fiscale, anche a costo di ridiscutere i vincoli di finanza pubblica imposti in sede comunitaria. Il processo di riforma promesso in cambio si basa sulla complessiva contrazione del peso della pubblica amministrazione locale e sulla ridefinizione del suo perimetro di azione, come ormai condiviso da molti studiosi, tra i quali su queste pagine Massimo Bordignon.
Infatti:

  • i tagli alla capacità di spesa riguardano trasversalmente tutti gli enti: non si allenta il peso sui comuni, nonostante le attese; le province e le città metropolitane vengono fortemente ridimensionate nelle risorse finanziarie ma, soprattutto, umane; i tagli arrivano anche alle regioni e difficilmente non coinvolgeranno la sanità;
  • si tratta di tagli strutturali dal momento che riguardano contemporaneamente fronti diversi, cioè la capacità di spesa, le risorse, il personale. Prefigurano, inoltre, un riassetto del sistema di decentramento, scontando una riforma complessiva solo tracciata nelle linee fondamentali, e a oggi demandata a strumenti regolamentativi o alle iniziative locali;
  • riforme quali la riorganizzazione delle province a favore delle città metropolitane, il consolidamento della governance regionale nella gestione del patto di stabilità interno sono certamente rivolte a una maggiore efficienza complessiva del sistema delle autonomie, ma non bastano a nascondere che i tagli alle risorse impongono un proprio passo al processo di riforma in atto.
Leggi anche:  Un colpo di spugna sulle rivendicazioni delle regioni?

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  1. IC

    E’ doveroso distinguere i comuni spreconi e corrotti che hanno dissipato le loro risorse e che oggi chiedono disperatamente risorse allo Stato dai comuni bene amministrati che hanno accumulato negli anni risorse destinate a investimenti e che per effetto dei tagli lineari si trovano con le mani legate

  2. Alberto Conserva

    La logica appare quella dei tagli lineari. Al di là del metodo giusta la determinazione nel ridurre I costi amministrativi. Mi chiedo se analogo zelo sarà applicato anche ai ministeri. Mi sembra che in questa ottica sia sempre più inaccettabile il privilegio delle regioni a statuto speciale.

  3. Eric P.

    1) penso che i privilegi economici delle regioni a statuto speciale possano essere eliminati, in termini di autonomia invece penso che, piuttosto che toglierla a tutti, sia molto meglio darne a tutti un po’ (rendendo un po’ meno speciali le speciali e più speciali le ordinarie). La regione FVG dove vivo ha autonomia nella sanità ed ha un sistema che, assieme all’Umbria, è preso ad esempio per l’efficacia della spesa sanitaria ( http://www.cermlab.it/la-spesa-sanitaria-pubblica-in-italia-dentro-la-scatola-nera-delle-differenze-regionali-il-modello-saniregio/ ).
    2) Il fatto che ci siano scandali nelle regioni non vuol dire nulla. Ce ne sono anche a livello centrale e sono pure più grandi. Basti vedere la notizia di stamattina sugli appalti e il ministro Lupi.
    3) mi dispiace che questo governo stia andando verso nuove forme di centralismo.

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