L’aumento della speranza di vita richiede un allungamento della vita lavorativa. Che però si scontra con altre problematiche sul mercato del lavoro. Come la presunta minore produttività dei lavoratori anziani e i salari più elevati con il passare degli anni. Il ruolo delle imprese e del welfare.
IL DILEMMA DEL SISTEMA PREVIDENZALE
Il pensionamento è un momento complesso nella vita delle persone. E può alquanto disorientare la discussione che su questo tema sta avendo luogo in Italia.
Da un lato, si parla infatti – ed insistentemente – di flessibilità in uscita. L’idea – per la verità non proprio nuova – è di consentire ai lavoratori di accedere ai benefici previdenziali prima dei termini attualmente previsti dalla legge, seppure con (forti) penalizzazioni, perché il “pre-pensionamento” avverrebbe completamente con il (meno generoso) sistema contributivo. Dall’altro lato invece, a seguito dell’adeguamento dell’età di pensionamento alla speranza di vita introdotto alcuni anni fa, dal prossimo gennaio si andrà in pensione quattro mesi dopo, ovvero per gli uomini a 66 anni e 7 mesi con una pensione di vecchiaia.
In apparente contraddizione, queste misure rispondono in realtà a due logiche ben precise, e manifestano in pieno il dilemma che il sistema previdenziale si troverà ad affrontare nei prossimi anni. L’aumento della speranza di vita richiede un corrispettivo allungamento della vita lavorativa per poter consentire al sistema previdenziale di essere in equilibrio finanziario. Impossibile, evidentemente, pagare lo stesso beneficio previdenziale a persone che vivono più a lungo, se non aumenta anche il monte contributi. Poiché sono da escludere ulteriori aumenti dei contributi previdenziali, non resta che lavorare più a lungo.
LAVORATORI ANZIANI, AZIENDE E WELFARE
Facile a dirsi, ma in realtà l’allungamento delle vita lavorativa si scontra con altre problematiche sul mercato del lavoro. Al di là delle note criticità evidenziate da lavoratori e sindacati – deterioramento delle condizioni di salute per i lavoratori anziani, esistenza di lavori usuranti e altro ancora – esistono spesso delle forte resistenze anche dal lato delle imprese. I lavoratori anziani sono considerati – non sempre a ragione, come evidenziano diversi studi recenti – poco produttivi. A questa presunta minore produttività si affiancano salari che, per via degli scatti di anzianità, diventano più elevati con il passare degli anni.
Non si tratta di un fenomeno nuovo. Anche in passato le imprese incentivavano i lavoratori anziani, soprattutto quelli ritenuti poco produttivi, a pre-pensionarsi. E non è un fenomeno solo italiano, poiché programmi previdenziali che consentivano il prepensionamento, magari in cambio dell’assunzione (anche solo temporanea) di giovani lavoratori, si sono diffusi in tutta Europa negli anni Ottanta e Novanta. Da almeno dieci anni, tuttavia, questi programmi sono in larga misura scomparsi e l’età effettiva di pensionamento è aumentata ovunque.
È facile prevedere che il trend di progressivo incremento dell’età effettiva di pensionamento continui anche in futuro. Non solo lo stato delle finanze pubbliche, in Italia ma anche altrove, non consentirà alle generazioni future di godere dello stesso trattamento previdenziale dei loro padri – incluso l’accesso al pre-pensionamento. Ma probabilmente la consapevolezza di aver maturato un trattamento previdenziale poco generoso costituirà un incentivo per i lavoratori anziani a trattenersi sul lavoro qualche anno in più per poter ottenere una pensione più elevata.
In questa prospettiva, diventa particolarmente rilevante il ruolo delle imprese nella gestione di una forza lavoro che invecchia. Saranno necessarie misure che consentano di allineare salari e produttività soprattutto per i lavoratori sopra i 50 anni. La possibilità di usare il demansionamento, recentemente introdotta, può andare nella direzione di modificare il profilo salariale per età, se ai lavoratori anziani sanno offerte altre mansioni all’interno dell’impresa, anziché la solita opzione del (pre)pensionamento. Ma maggior attenzione sarà necessaria anche verso politiche aziendali e pubbliche che aumentino la produttività dei lavoratori anziani (si veda un recente rapporto Ocse al riguardo).
Malgrado un possibile e auspicabile riallineamento tra salari e produttività, anche in futuro alcuni lavoratori anziani saranno comunque licenziati. Per questi casi sarà necessario considerare il ricorso al welfare attraverso sussidi di disoccupazione che utilizzino un meccanismo experience rating – ovvero in base al quale le imprese che fanno un maggior ricorso ai licenziamenti pagano contributi sociali (per finanziare i sussidi di disoccupazione) più elevati. Il futuro del sistema previdenziale non potrà prescindere dal buon funzionamento del mercato del lavoro e in generale del welfare.
source:Ocse
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ferrari alberto
Ma non sarebbe più semplice definire una età , per esempio 65 anni, per avere il diritto alla pensione e poi per chi vuole restare e l’azienda è d’accordo definire che il salario sarà a carico in parte all’azienda e in parte all’INPS? Così il datore di lavoro compensa la minore produttività con un minor costo del salario e l’INPS anticipa solo una parte della pensione. E vissero tutti felici e contenti!
Gabriele
Credo la soluzione al problema sia la totale privatizzazione della gestione dei contributi previdenziale. Se questi fossero affidati a società di investimento in regime di concorrenza lo sviluppo della economia sarebbe fin troppo ovvio
angelo
E’ mai possibile che in questa nazione solo ciò che è utile al cittadino diventa insostenibile? La sanità è sempre più in crisi, per prenotare una visita spesso si ricevono appuntamenti ad un anno. Le pensioni non possono essere più sostenibili. Sul lavoro non si riesce a trovare una idonea soluzione e non bisogna essere schizzinosi. Le tasse aumentano sempre di più. Nel sociale si ricerca sempre di più l’obolo del privato. Attività illecite che vengono scoperte da un programma televisivo. Quando però si tratta di toccare i privilegi di coloro che dovrebbero essere di esempio ( per non andar lontano, i politici), allora tutto diventa un diritto acquisito intoccabile. Continuare per molto senza correre il rischio di elencare falsità. Nelle situazioni positive siamo sempre secondi a qualcuno. In quelle negative, sempre i primi. Si è stati capaci di distruggere una nazione e continuiamo ad assistere a litigi televisivi fra coloro che a vario titolo sono i distruttori. Senza passare per un nostalgico, povera Italia.
Aldo
Quelli che chiamano diritti acquisiti non sono tali perché danneggiano la maggioranza, è molto differente il concetto del vitalizio o pensione del politico o manager pubblico in quanto a fronte del dare si riceve di più togliendo agli altri che vengono danneggiati e se qualcuno critica il concetto dei prepensionamenti del passato come privilegio in realtà questo veniva esercitato per favorire l’entrata dei giovani nel mondo del lavoro e come tale era su larga scala un beneficio sociale che poi sia stato esercitato o controllato malamente è un’altro discorso, ma ditemi i vitalizi quale riscontro positivo hanno nella maggioranza, sono solo un privilegio.
quando non c’è possibilità delle pari oppurtunità sono privilegi! Alla mia vicina prende pensione 500€ il marito defunto prendeva 1000€ ora lei prende in tutto 650€ …
Io artigiano ho dato un,anno della mia vita allo stato come militare a cavallo del 79-80 ma dell’80 ho dovuto pagare per intero anno 80 i contributi come artigiano e non posso utilizzare almeno i 6 mesi come militare del 79 questi politici e pure i sindacalisti hanno oramai triplici pensioni per aver avuto incarichi diversi ed aver ridotto sappiamo come il paese.
Silvestro De Falco
Purtroppo l’accentramento del futuro previdenziale dei cittadini in una sola istituzione comporta enormi inefficienze dal punto di vista del ricambio nel mercato del lavoro.
Si potrà essere giovani quanto si vuole anche a 60-70 anni ma nei confronti delle forze fresche dei paesi emergenti non ci vuole molto a capire “who eats whose lunch”.
Solo l’empowerment previdenziale – l’abbassamento dei contributi previdenziali, dove ognuno pensa al proprio futuro pensionistico – può portare ad avere una forza lavoro sempre fresca e motivata. Infatti, un tale processo comporterebbe una vera e propria devoluzione decisionale, dove ognuno decide quando andare in pensione.
Infatti, l’abbassamento dei contributi previdenziali e il conseguente aumento del risparmio personale porterebbero i singoli a non rimanere al lavoro un minuto più del necessario.
L’abbassamento dei contributi comporterebbe anche un uso più efficiente del risparmio nazionale, visto che si mettono da parte 210 miliardi all’anno in un fondo a contributi definiti gestito dall’INPS che rende poco o nulla.
Se quei soldi fossero stati depositati in banca dai singoli, l’effetto ricchezza sarebbe stato pronunciato – con conseguente ricaduta positiva sui consumi – senza contare il fatto che le banche avrebbero una base di depositi più solida e potrebbero ritornare a concedere crediti, visto che l’effetto ricchezza di cui sopra comporterebbe una maggiore fiducia e, quindi, una maggiore domanda di investimenti.
Alessandro Ronzoni
Concordo totalmente. Fintanto che non sposteremo il problema del trasferimento della ricchezza dai lavoratori di oggi ai pensionati di oggi, a un modello di “trasferimento temporale”, la soluzione non potrà avere alcuna soluzione, se non lo scontato e non scalabile allungamento dell’età pensionabile. Purtroppo questo passaggio necessità di qualche “generazione cavia”, che cioè contribuisce sia agli attuali pensionati, sia a sè stessa nel futuro, dato che non è credibile che lo Stato, in questa situazione, possa contribuire in misura massiccia a questo cambiamento. E qui nasce il classico problema del “Not In My Back Yard” di non facile soluzione: nessuno vuol far parte della generazione cavia.
Savino
Il Governo chieda il prima possibile alla Corte Costituzionle un parere ad hoc su cosa sia “diritto acquisito” nella società contemporanea e applichi i relativi parametri, faccia una verifica sul rapporto contributi-erogazioni ( come già detto dal Prof. Boeri) e imponga il sistema contributivo per tutti, pensionati remoti e recenti.
Andy mc TREDO
Veramente il parere lo può dare un qualsiasi studente di diritto pubblico: la Costituzione non ne parla, mai! Le trecentomila leggi italiane non lo citano mai esplicitamente. Dato che i sindacati richiamano il concetto ad ogni scadenza di contratto e nessuno si è mai opposto forse si potrebbe essere incappati nel caso di un “uso o consuetudine”, forma arcaica di legge non scritta, se del caso facilmente abrogabile con un provvedimento legislativo.
Alessandro Ronzoni
Concordo totalmente. Fintanto che non sposteremo il problema del trasferimento della ricchezza dai lavoratori di oggi ai pensionati di oggi, a un modello di “trasferimento temporale”, la soluzione non potrà avere alcuna soluzione, se non lo scontato e non scalabile allungamento dell’età pensionabile. Purtroppo questo passaggio necessità di qualche “generazione cavia”, che cioè contribuisce sia agli attuali pensionati, sia a sè stessa nel futuro, dato che non è credibile che lo Stato, in questa situazione, possa contribuire in misura massiccia a questo cambiamento. E qui nasce il classico problema del “Not In My Back Yard” di non facile soluzione: nessuno vuol far parte della generazione cavia.
Aldo
Inoltre lo Sato recupera già ora con il cumulo pensione/attività sulle persone comuni/imprenditori tassando iniquamente(non certo per i politici ed altri privilegiati che possono evitare con tassazioni separate)trovare soluzioni eque è impossibile perchè lo stato deve fare privilegi a discapito, come il caso tfr in busta paga. Tanto la pensione, per gonfiare i soliti diventerà sempre più un miraggio…..per non parlare del caso Indpap….era meglio una volta dove ciascuna categoria aveva i suoi meriti…artigiani dipendenti statali e così via quando si accorpa si vuole nascondere i soliti privilegi inoltre credo che l’Inps non debba affrontare le spese sociali perché queste dovrebbero essere a parte e penso che qui ci siano anche i presupposti anticostituzionali con questo concetto si potrebbero evitare pure i vitalizi, non si possono togliere i contributi della pensione per altre cose ma purtroppo già ora sappiamo che in Puglia il vitalizio è uscito dalla porta entrando dalla finestra come pensione con maggiori vantaggi rispetto a prima, pare di assistere ai fatti rimborsi elettorali/finanziamento pubblico partiti, In Italia fatta la Legge trovato l’inganno ancor più favorevole! personalmente ho la figlia che lavora all’estero l’impresa mia la trasferirò fuori mi godrò una pensione deludente ma vivibile fuori Italia e mia madre che ha una pensione più giusta dovrà elargirla alla badante la quale trasferirà i soldi all’estero. Il Paese si impoverise grazie a questi
Luigi
La cosa tragica, di cui non si tiene mai conto è che l’aspettativa di vita (per i 50 enni di oggi) è cresciuta di circa 1 anno negli ultimi 10 (dati Eurostat) ma l’aspettativa di vita in salute (per i 50 enni di oggi) è scesa di circa 8 anni portandosi a 66 per le donne e 67 per gli uomini (dati Eurostat). Cio’ vuol dire che la pensione, nella migliore delle ipotesi, se ne va in assistenza e spese sanitarie perchè il suo “godimento” viene a corrispondere con l’insorgere di malattie inabilitanti.
Io dico : a questo punto meglio lasciare prima il lavoro e godere di una pensione piu’ bassa. Bisognerebbe venisse concessa questa possibilità.
Enrico
Una cosa che trovo profondamente ingiusta è l’obbligatorietà di costruirsi la pensione con l’INPS. Le alternative non mancano (es. il TFR lo si può usare per costruirsi una pensione complementare), quindi perchè non poter scegliere come gestirsi l’intero importo della pensione? Le condizioni che pone l’inps potrebbero non essere competitive con altre che offrono, magari, la possibilità di cominicare a ricevere un’assegno tarato sul tempo (prima vai, meno prendi).
Sarebbe cosi poco fattibile? In fond l’inps non è una legge di natura.
IC
La continuazione del lavoro dovrebbe essere opzionale. Vi sono ottantenni ancora attivi ed efficienti nel lavoro e sessantenni che per motivi di salute, anche mentale, non sono più in grado di lavorare. Ovviamente gli anziani perdono forza fisica, concentrazione mentale e velocità nel lavoro, ma possono contare su maggiore esperienza e equilibrio nelle decisioni. Per chi continia a lavorare è necssario quindi modificare tipo e/o intensità e orari di lavoro con conseguente adeguata riduzione dei compensi
Carlo (@carloebasta)
Sempre più il lavoro non dà reddito che consenta “vita dignitosa”, come vorrebbe la Costituzione (consultare report su povertà di Caritas:. aumentano le persone che frequentano mense dei poveri pur lavorando) . Dunque, va riconsiderato il significato di lavoro ed accostato a quello di reddito per la sopravvivenza. In questo quadro gli anziani dovrebbero avere la possibilità di andare in pensione a circa 60 anni, liberando posti di lavoro per i giovani.
Il sistema pensionistico va radicalmente riformato, sganciandolo dall’andamento demografico. E’ disumano pensare ad una società che invecchia e, proprio per questo, riduce il reddito dei vecchi.
La pensione deve diventare un reddito che consenta una vita dignitosa tra 1.200-1.700 € , parzialmente differenziato per motivi di merito ed anzianità.
Via i contributi, via anche quella parte di INPS le cui strutture si occupano di calcoli e di contributi. Via tutto questo meccanismo istituzionale costosissimo. Welfare unico sul reddito: pensioni e sostegno al reddito a carico della fiscalità generale. Via anche la cassa integrazione.
Risparmierebbero le aziende, lo Stato e si troverebbero le risorse per questa operazione di civiltà, anche eliminando tutte le pensioni che superano i 1.700 € mensili.
Di colpo centinaia di migliaia di posti di lavoro per i giovani.
Chi si ostina con la retorica a favore dei giovani, li sta maltrattando sia nella loro giovane età che negando loro una vecchiaia dignitosa
Alfonso Salemi
I calcoli sull’aspettativa di vita non indicano quale tipo di vita.
In genere dopo una certa età ci sono le malattie della terza età.
Spesso i nonni aiutano i nipoti.
Anche questo è un lavoro sociale.
L’entità della pensione dovrebbe tenere conto dei versamenti previdenziali effettuati ma anche di un reddito minimo
garantito per i “non capienti”.
Le osservazioni inviate comprendono spunti molto interessanti e utili per una strategia intelligente relativa al reddito dei cittadini, ma qualcuno che può agire concretamente (cittadini che sono al governo) li legge?
Oppure sono solo uno sfogo di individui impotenti contro il muro?
Biagio Lubrano
Tutte questi studi e proiezioni non tengono conto di due fattori secondo me molto sottovalutati ma molto importanti.
1. La scarsezza gestionale della classe imprenditoriale italiana che userà lo strumento del demansionamento per poter esercitare ulteriore pressione sui lavoratori anziani per metterli alla porta senza incappare i diatribe giudiziarie.
2. Le condizioni di lavoro che sono drasticamente diverse da quelle dei nostri padri. Basti pensare alla presenza continua e ossessionante delle email e del telefonino che producono degli stress sconosciuti alla maggior parte degli attuali pensionati.
laura luigia invernizzi
I dati statistici sull’età di pensionamento indicano per tutti gli Stati considerati, un’età media di 62 anni per il diritto pensionistico che poi non sempre corrisponde al ritiro dal mondo del lavoro. Andrebbe uniformata per tutti i tipi di pensione, l’età del diritto acquisito e che coincida con l’inizio del pagamento della pensione. Questa sarebbe un’azione normalizzatrice ed equalizzatrice. Poi analizzare ciò che succede alle persone prima dei 62 anni per capire come impostare gli interventi che si deciderà di attuare: reinserimento lavorativo anche part time, analisi sociologica dei bisogni della società e della famiglia che possano dare luogo a lavoro e posti di lavoro, sostegno al reddito eventualmente, volontariato continuativo eventualmente tramite voucher Inps lavoro occasionale solo per la parte dei contributi AGO.
Andrea Scaglioni
A mio parere queste fredde analisi prescindono da una visione umana del lavoro e dalla giusta considerazione per la persona. Concordo con quanto sotto.
Papa: “Il lavoro non sia schiavo del profitto
“La moderna organizzazione del lavoro – lamenta il Papa – mostra talvolta una pericolosa tendenza a considerare la famiglia un ingombro , un peso, una passività per la produttività del lavoro. Ma domandiamoci: quale produttività e per chi?”.
Francesco osserva che “la città intelligente è indubbiamente ricca di servizi e di organizzazione. Ma è spesso ostile ai bambini e agli anziani. A volte – denuncia il Papa – chi progetta è interessato alla gestione della forza-lavoro individuale da utilizzare o scartare secondo la convenienza economica. Allora, siamo sicuri che la società umana ha cominciato a lavorare contro se stessa”.
Il Papa avverte che “la gestione dell’occupazione è una grande responsabilità umana e sociale, che non può essere lasciata nelle mani di pochi o scaricata su un mercato divinizzato. Il lavoro dà dignità – sottolinea il Pontefice – Causare una perdita di posti di lavoro significa causare un grave danno sociale”.