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Profilo dei giovani a rischio disoccupazione

Con il programma legato alla Garanzia giovani è stata adottata una metodologia rigorosa per la profilazione degli iscritti. È una novità importante, anche se lo strumento è ancora “grezzo”. Come arrivare a una piena integrazione delle diverse fonti di dati, per un utilizzo a fini previsionali.
LE TECNICHE DI PROFILAZIONE
Per la prima volta su scala nazionale, il Programma operativo nazionale ha adottato una metodologia rigorosa per la profilazione degli iscritti. Si tratta di un’importante novità, che va accolta senz’altro in modo favorevole.
L’idea di applicare sistemi statistici di profilazione nei servizi per l’impiego è stata introdotta negli anni Novanta in Australia e negli Stati Uniti. Lo strumento messo a punto da Isfol prevede per ciascun giovane “preso in carico” di calcolare la probabilità prevista di trovarsi nella condizione di Neet, ovvero not engaged in education, employment or training, sulla base delle caratteristiche individuali e di stimatori precedentemente calcolati usando i dati dell’indagine Istat sulle forze di lavoro. Il valore dell’indice determina l‘inclusione in una delle quattro fasce di intensità di aiuto.
Si assume che il rischio di essere nella condizione di Neet sia legato ad alcune caratteristiche dell’individuo (età, genere, titolo di studio, esperienza lavorativa, eccetera) e del territorio di residenza (profilo del sistema produttivo locale, tasso di disoccupazione).
La strumentazione econometrica utilizzata, quindi, permette di tenere conto non solo delle caratteristiche individuali, ma anche, ad esempio, del fatto che le chance occupazionali per un giovane in provincia di Napoli “potrebbero” non essere le stesse di un coetaneo di Bolzano.
ALCUNE OSSERVAZIONI SUL METODO
 Sotto molti punti di vista, la tecnica utilizzata è senz’altro migliore di quelle cui siamo stati abituati finora. Infatti, i modelli di profiling adottati fino a oggi erano affidati alla discrezionalità dell’operatore dei singoli centri per l’impiego che, nella fase di accoglienza e di definizione del Piano di azione individuale, progettava insieme all’utente, secondo criteri diversi da provincia a provincia, il percorso di attivazione in relazione alle caratteristiche rilevate nella Scheda anagrafica e professionale del lavoratore. Abbiamo ora uno strumento che consente una certa standardizzazione e uniformità a livello nazionale nella valutazione del profilo di rischio e di bisogno di ciascun utente.
Emergono, tuttavia, alcuni dubbi, che proponiamo in vista di possibili miglioramenti di uno strumento che consente già importanti passi avanti.

  • La prima domanda fondamentale è: “A cosa serve la profilazione”? Se lo strumento vuole essere utile per la profilazione da parte degli attori locali, allora sarebbe forse preferibile stimare il modello introducendo interazioni tra caratteristiche individuali e di contesto. Oppure stimare il modello separatamente su sottocampioni di dati a livello regionale – magari usando la provincia come secondo livello: solo così si eviterebbero le distorsioni derivanti dall’applicazione in contesti locali di coefficienti stimati a livello nazionale.
  • In modo simile, il rischio di povertà economica andrebbe forse calcolato sulla base di soglie a livello regionale e non nazionale, come attualmente previsto.
  • Per quanto riguarda il tasso di disoccupazione a livello provinciale, non è chiaro, a livello teorico, perché sarebbe la sua variazione (tra gli anni 2012 e 2013) e non il suo livello a incidere sul rischio di essere un Neet. Inoltre, dato l’uso del modello a fini predittivi, e non di identificazione di nessi causali, potrebbe essere più utile usare la quota di Neet a livello provinciale o regionale, invece che nazionale.
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Un problema più di sostanza è che il modello di profiling non prevede margini di discrezionalità in capo al “profilatore”. Diamo per scontato che questa mancanza sia dovuta alla volontà di realizzare uno strumento nei tempi brevi previsti dalla Garanzia giovani.
SUGGERIMENTI DI POLICY
Affiancare agli indicatori oggettivi anche “test-diagnostici” di carattere soggettivo, può generare proteste o ricorsi da parte degli utenti. Meglio sarebbe, allora, vincolare l’assegnazione del bugdet ai criteri oggettivi e la definizione del percorso a quelli soggettivi.
Sarebbe opportuno introdurre anche in Italia qualcosa di simile al bilancio delle competenze, ma, per farlo, occorre in primo luogo che i centri per l’impiego si dotino di personale con background di psicologia del lavoro, in grado di fare il bilancio in modo adeguato (cosa che in “teoria” si dovrebbe già realizzare).
Uno dei motivi per cui la stima dei parametri è fatta a livello nazionale è forse la scarsa affidabilità a livello regionale e provinciale dei dati campionari delle indagini delle forze di lavoro. A parziale compensazione di questa carenza, per le variabili disponibili, si potrebbero usare i dati delle comunicazioni obbligatorie, almeno nelle regioni dove sono già disponibili e affidabili – in primis Lombardia, Veneto, Emilia Romagna. Dal 2007, le comunicazioni obbligatorie sono fornite in via elettronica e potrebbero essere usate meglio dai Cpi. Presentano infatti un livello di dettaglio notevole, anche a livello comunale. Inoltre, nel caso dei diplomati e laureati, molte informazioni potrebbero essere ottenute anche da AlmaDiploma e AlmaLaurea.
Insomma, il profiling dei disoccupati dovrebbe essere il primo passo verso una piena integrazione e un utilizzo a fini previsionali delle diverse fonti di dati disponibili. In generale il giudizio sullo strumento è positivo perché va nella direzione giusta. Tuttavia appare al momento estremamente “grezzo” e troppo approssimativo nell’individuazione dei soggetti più svantaggiati.

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  1. amato

    Alcune considerazioni. Tralascio i dubbi sulle relazioni tra contesti nazionali e locali, tra tassi/variazioni di disoccupazione e livelli di rischio neet; anche se non li ritengo secondari scenderemmo troppo nel merito; comunque c’è da dire che è dalla 2° metà degli anni ’80 che si aspetta un elenco anagrafico nazionale (Progetto Teleporto). Considero la profilatura un ottimo sistema per evitare il rischio che al profilatore salti in mente di elaborare “test-diagnostici” o altre annotazioni a margine o in calce, semmai all’insaputa del profilato. Si è sempre detto che il bilancio delle competenze dovrebbe rientrare tra le attività dei CpI; giusto che gli operatori abbiano anche un retroterra di psicologia del lavoro ma affiancato da altro di tipo giuridico, in particolare amministrativo e del lavoro, proprio per evitare i “test-diagnostici”. Visto che l’ha già ipotizzato Romano Benini sul suo work magazine, non vorrei che l’idea sia quella di un ricambio di organici o, non potendolo realizzare causa le norme sul reclutamento dei pubblici, un’esternalizzazione ancora più spinta, con un’ulteriore precarizzazione. Il problema vero è un altro ed è sempre lo stesso: l’altro utente-cliente come viene approcciato? Esiste un profiling anche per le imprese? Il matching, l’incontro d/o come avviene? Bisogna continuare a far fare il giro delle sette parrocchie ai giovani come agli altri? Pur con la loro bella profilatura li si lascia al fai da te?

  2. Apprezzo molto l’articolo. È’ almeno dal 2001 che cerco di introdurre sistemi per il Bilancio delle competenze (forse c’è’ cattiva informazione su
    Tema test diagnostici: si pensi sempre che le competenze, almeno quelle decisive, le soft skills ricercate dalle aziende, dipendono dalla personalità del soggetto) che utilizziamo con successo nei processi di Selezione e Valutazione delle imprese, società di Selezione, Outplacement e Somministrazione. La mia domanda è sempre la stessa: perché il modello funziona bene per i privati e fa fatica nel pubblico ?
    A dire il vero presso AFOL sud Milano è’ oramai un triennio che utilizzano il modello Skill View, ma ci sono limiti, come evidenzia l’articolo, nella “cultura” di avvalersi di strumenti avanzati, ma anche nella natura stessa del lavoro che gli operatori svolgono. Mandati sul campo senza certezze che la loro compilazione della scheda anagrafica sia finalizzata ad un lavoro attuale e potenziale per il lavoratore induce gli operatori alla demotivazione.
    Quindi almeno l’introduzione di criteri oggettivi di valutazione, sistemi terzi, validati. non solo di tempo ecometrico o di mercato del lavoro, ma basati sul soggetto permetterebbero al lavoratore di comprendere almeno le sue potenzialità (dal lavoro più umile a quello più qualificato). Per informazione di chi legge nel sito http://www.skillview.info nella sezione Casi ci sono delle analisi psico metriche sui lavoratori che si rivolgono ai CPI.

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