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L’Italia centra l’obiettivo di Kyoto

L’allegato IV al Def 2015 rivela che il nostro paese ha quasi centrato l’obiettivo del Protocollo di Kyoto sulle emissioni di gas a effetto serra. E le proiezioni dicono che ancora meglio faremo con il target fissato dall’Unione Europea per il 2020. Purché però si adottino le misure necessarie.

L’allegato al Def e gli obiettivi di Kyoto
Il 10 aprile il Consiglio dei ministri ha approvato il Documento di economia e finanza per il 2015 (Def 2015) il cui obiettivo primario è quello di sostenere la ripresa economica evitando aumenti del prelievo fiscale e allo stesso tempo rilanciando gli investimenti.
Il documento comprende alcuni allegati, tra cui l’allegato IV dal titolo “Relazione del ministro dell’Ambiente e della tutela del territorio e del mare sullo stato di attuazione degli impegni per la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra”.
Il documento è predisposto tenendo conto nella prima parte degli orientamenti della Conferenza di Doha di dicembre 2012 e della normativa europea in tema di emissioni, con particolare riguardo alle direttive del 2009 che fanno parte del cosiddetto Pacchetto clima-energia.
La seconda parte dell’allegato è quella di maggiore interesse perché presenta la situazione definitiva delle emissioni nazionali rispetto agli obblighi stabiliti dal Protocollo di Kyoto nel lontano 1997.
In base all’accordo il nostro paese era tenuto a ridurre le proprie emissioni del 6,5 per cento rispetto ai livelli del 1990. Nella media del cosiddetto primo periodo di commitment del protocollo, il quinquennio 2008-2012, l’Italia ha emesso 503 MtCO2 all’anno, quando il limite di Kyoto era 483,3 MtCO2. La distanza è pari a una media di 19,7Mt, il 4 per cento delle emissioni prodotte. Se tuttavia si tiene conto degli assorbimenti forestali, la distanza scende a 4,7MtCO2/anno. Scopriamo così – da questo allegato – che il nostro paese non ha centrato il target di Kyoto.
Molti osservatori avevano previsto che saremmo rimasti al di sotto degli obiettivi fissati, mentre il rendiconto ora rivela che così non è stato, anche se va detto che in termini percentuali lo sforamento è minimo, pari all’1 per cento circa del totale. È anche interessante notare che le nostre emissioni si sono ridotte del 7 per cento tra il 2008 e il 2012.
Secondo stime della Fondazione per lo sviluppo sostenibile (“Dossier clima 2014”), nel 2013 le emissioni (stimate) sarebbero pari a 435MTCO2, il 10 per cento in meno del livello dell’anno precedente. Questo risultato è sicuramente anche figlio della crisi economica – la stessa Fondazione stima che il calo del Pil sia responsabile per circa un terzo del calo delle emissioni – ma anche delle politiche di sviluppo delle fonti rinnovabili e di incremento dell’efficienza energetica, secondo le linee dettate dall’Unione Europea.
In Europa uno sforzo condiviso
L’ultima parte del documento, la terza, si occupa invece degli obblighi stabiliti in sede europea dalla direttiva 2009 “Effort Sharing”. La direttiva fissa target nazionali per le emissioni dei settori non-Ets per il periodo 2013-2020, che coincide con il secondo periodo di commitment del Protocollo di Kyoto. Le emissioni dei settori Ets, secondo la direttiva del 2009 (che ha modificato ed esteso quella del 2003) vengono fissate a livello comunitario – e non più nazionale – e gestite direttamente da Bruxelles. Non rientrano dunque nell’ambito di competenza dell’allegato al Def 2015, in quanto il conseguimento del target viene valutato come UE27 nel suo complesso e formalmente non costituisce verifica per i singoli Stati membri.
La verifica del raggiungimento del target al 2020 si svolgerà dunque unicamente sulle emissioni dei settori non-Ets che per il nostro paese valgono oltre il 60 per cento del totale.
Il target al 2020 è stato fissato a 287,9MtCO2eq (CO2eq indica il reiferimeno non solo all’anidride carbonica, ma anche ad altri gas-serra, N2O e PFCs, espressi nelle stesse unità di misura), ma la normativa specifica anche target annuali intermedi, in particolare per il 2013 (300,5Mt) e per il 2015 (296,9Mt).
Naturalmente, le emissioni effettive per questi anni non si conoscono ancora, ma possono essere opportunamente stimate con l’aiuto di modelli climatici-economici. In base alle simulazioni, si evince dal documento che già nel 2013 le emissioni sarebbero al di sotto del target, e così per il 2015 e ancor più per il 2020. I valori forniti sarebbero di 285,1Mt, 279,5 e 267,5 per il 2013, 2015 e 2020 rispettivamente. Nell’anno finale il target sarebbe perciò superato del 7 per cento. È un dato estremamente positivo che indirettamente conferma anche l’efficacia delle misure sulle rinnovabili e sull’efficienza energetica. Su questi due fronti si nota peraltro come, rispetto ai target del pacchetto clima-energia. l’Italia sarebbe in linea con quello per le fonti rinnovabili, mentre i recenti progressi dovrebbero permetterci di raggiungere anche quello – non vincolante – sull’efficienza energetica.
Le misure da adottare
Queste evidenze non devono naturalmente indurre alcuno ad abbassare la guardia. Si tratta infatti di dati stimati su un orizzonte di sei-sette anni, durante i quali è auspicabile si verifichi una soddisfacente ripresa economica, e per i quali gli effetti delle misure adottate non si sono ancora dispiegati.
A tal proposito l’Allegato richiama alcune misure prioritarie – e di grande importanza – da adottare: 1) interventi di riqualificazione energetica degli edifici scolastici e universitari, 2) estensione del bonus fiscale al 65 per cento per gli interventi di riqualificazione dell’edilizia privata al 2015, anche se da più parti e da tempo si invoca la stabilizzazione della misura, 3) revisione del meccanismo dei certificati bianchi (strumenti per favorire l’efficienza energetica), 4) “rafforzamento del ruolo della fiscalità ambientale nel processo di revisione della fiscalità generale” – un intervento questo quanto mai necessario, di cui si parla da tempo, anche a livello comunitario, ma che ancora incontra forti inerzie e resistenze.
Cosa succederebbe se non rispettassimo gli impegni di riduzione delle emissioni al 2020? Forse a mo’ di richiamo, l’allegato al Def 2015 si chiude ricordandoci le sanzioni previste. Noi un po’ perchè si tratta di speculazioni relative al futuro, ancorché non lontano, un po’ per scaramanzia, preferiamo fermarci qui.

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Def 2015 – audizione Ufficio parlamentare di bilancio

  1. Bruno Jimenez

    Mi pare che l’articolo non vada troppo in profondita nell’analizzare gli elementi che hanno portato l’Italia a centrare gli obiettivi di Kioto “con successo”.
    In questi anni abbiamo avuto un crollo del PIL, ma sopratutto della produzione industriale e dei km percorsi dagli automezzi privati. A questo e’ dovuta, purtroppo, la maggior parte del calo delle emissioni.
    Altro elemento e’ stato l’aumento di produzione da energie rinnovabili, a scapito delle centrali termiche: tale aumento e’ stato pero ottenuto attraverso massicci (e per molti analisti, decisamente esagerati) sussidi al prezzo dell’elettricita “verde”, sussidi pagati dai privati. In un paese con gravissimi problemi di competitivta e consumi depressi, c’era proprio bisogno di aumentare ulteriormente il costo dell’elettricita con l’ennesima addizionale sulle bollette?
    Altri miglioramenti sono dovuti alla definitiva chiusura della maggior parte delle obsolete centrali a olio combustibile, sostituite da moderne centrali a ciclo combinato a metano: cambi praticamente obbligati, prima di tutto da motivi economici, tecnologici e strategici, prima che ecologici.
    Infine, grazie all’avanzamento tecnologico, ogni anno la quantita di Co2 emessa per unita di PIL tende a decrescere comunque, senza particolari politiche di stato (pensiamo alle lampadine LED, alle auto piu efficienti, ai tablet a basso consumo, ma anche ad un PIL sempre piu generato dai servizi e sempre meno dall’industria).
    Niente trionfalismi, insomma.

  2. Bruno Jimenez

    Fra l’altro, aggiungerei, l’Italia pre-Kioto era gia un paese molto virtuoso, se si guardano alle emissioni di Co2 per unita di PIL.
    Questo perche: (1) il paese aveva gia rinunciato, negli anni, a buona parte delle industrie piu energivore, (2) le nostre centrali erano fra le piu efficienti d’Europa, (3) modelli di consumo privato poco energivori, (4) quota relativamente altra di produzione idroelettrica e (5) il paese importava (e importa!) il 25% dell’elettricita consumata dall’estero.
    Con questo voglio dire che durante le negoziazioni sull’accordo di Kioto l’Italia avrebbe dovuto far valere meglio il suo stato di paese virtuoso: noi eravamo gia all’avanguardia dell’economia low carbon, e avremmo dovuto aprofittarne, all’epoca! Invece ci siamo presi impegni enormi che all’epoca avrebbero richiesto investimenti massicci e tecnologie futuristiche per essere rispettati.
    Per “fortuna” le cose sono andate diversamente.

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