I dati Istat per il primo trimestre 2015 dicono che l’occupazione in Italia è in lieve flessione. Eppure il governo ha messo in campo diversi strumenti per permettere alla imprese di aumentare il numero degli occupati, dalla decontribuzione al contratto a tutele crescenti. Coerenza da mantenere.
Dati impietosi
“Si può portare il cavallo alla fontana, ma non lo si può convincere a bere”, diceva spesso il saggio John M. Keynes citando un vecchio proverbio popolare inglese. I dati mensili sul mercato del lavoro pubblicati il 30 aprile dall’Istat suggeriscono che nel primo trimestre del 2015 l’occupazione italiana è in lieve flessione. Il governo nei mesi passati ha messo in campo diversi strumenti per permettere alla imprese di incrementare l’occupazione. Dalla decontribuzione al nuovo contratto a tutele crescenti. Ma il cavallo non ha bevuto.
I dati dell’Istat sono impietosi. A marzo 2015 si sono distrutti 59 mila posti di lavoro rispetto a febbraio 2015 e l’occupazione è tornata ai livelli del marzo 2014. Il tasso di disoccupazione a marzo 2015 è aumentato ed è tornato al 13 per cento, con circa 140 mila disoccupati in più rispetto a marzo 2014. Il tasso di disoccupazione giovanile è al 43,1 percento, in aumento rispetto a febbraio 2015, sebbene lievemente inferiore rispetto a marzo 2014.
Provvedimenti già in vigore e prossimi passi
Sia ben chiaro, l’inchiesta della forza lavoro dell’Istat è la miglior fonte statistica che abbiamo. Rappresenta la più completa, coerente e accurata stima delle dinamiche del mercato del lavoro. Se pensiamo agli sforzi che il governo ha fatto in termini di mercato del lavoro, questi primi dati sono davvero un’ecatombe.
Pensiamo alla decontribuzione. Dal primo gennaio 2015 ogni assunzione a tempo indeterminato riceve uno sgravio contributivo di tre anni che raggiunge gli 8 mila euro all’anno. Per un’impresa che stabilizza o assume un lavoratore a reddito medio basso significa non pagare contributi per tre anni. In queste condizioni, il vantaggio a stabilizzare un lavoratore precario è enorme. Difficile pensare che le imprese non ne stiano beneficiando, come peraltro evidenziato dal nuovo osservatorio sulla precarietà dell’Inps. Purtroppo i dati Istat relativi all’occupazione temporanea nei primi tre mesi saranno disponibili soltanto a inizio giugno. Ciò che possiamo certamente concludere è che questi sgravi fiscali non hanno contribuito a creare nuova occupazione nel primo trimestre. Come abbiamo già ricordato lo scorso mese, la stabilizzazione di un precario è irrilevante ai fini del computo degli occupati. Un occupato è un occupato, indipendentemente dal tipo di contratto o dal numero di ore lavorate. Tra un mese circa sapremo se i lavoratori temporanei e precari stanno diminuendo, come la logica economica dovrebbe suggerire.
Dal 7 marzo 2015 è poi legge dello stato il nuovo contratto a tutele crescenti. Ogni nuovo occupato a tempo indeterminato sarà ora licenziabile per motivi economici senza articolo 18 dello statuto dei lavoratori e riceverà un indennizzo proporzionale all’anzianità di servizio.
Su lavoce.info abbiamo sempre sostenuto con decisione questa forma di contratto. Dovrebbe essere uno strumento importante per ridurre il dualismo e la precarietà nel mercato del lavoro. Non necessariamente aiuterà a ridurre il tasso di disoccupazione. Per quello servono investimenti, crescita e fiducia nel futuro. Elementi che non sembrano ancora essere presenti nelle imprese italiane.
Il governo deve ora tenere la barra dritta. In Parlamento attende il decreto delegato che riordina le varie forme contrattuali, supererà l’odiato contratto a progetto e vieterà l’associazione in partecipazione. Manca solo il parere (non vincolante) delle commissioni parlamentari. Interrompere il percorso intrapreso sarebbe la cosa peggiore. Prima o poi il cavallo si deciderà a bere. Almeno speriamo.
Questo articolo è disponibile anche su www.tvsvizzera.it
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Paolo Palazzi
Nemmeno un piccolo dubbio che al cavallo con questa politica non verrà mai la sete? Che magari sia una politica sbagliata o quantomeno insufficiente?
Asterix
Non capisco perché si sorprende. La Riforma del lavoro (che è diversa da quella che prospettava Lei e Boeri e mi spiace che non lo ammetta) ha reso più conveniente il ricorso al lavoro a tempo indeterminato, rispetto al tempo determinato. Adesso se cerca on line posti per i quali si offrivano contratti a tempo determinato oggi si offre assunzione a tempo indeterminato, puntando a sfruttare i 3 anni di decontribuzione e poi riprendere il ricorso a forme precarie. La riduzione della disoccupazione nasce dalla crescita della domanda. Il pensiero unico pensa a ridurre i costi dell’offerta certo che la domanda si trova. L’effetto è avere depresso i redditi della classe media in tutta Europa, cioè di coloro che creano la domanda. Un imprenditore non crea un nuovo posto di lavoro se non ha una crescita del fatturato..
Raimondo Bosco
Se si considerano i dati grezzi qualche segnale positivo c’è. L’occupazione dovrebbe aumentare rispetto a T1 2014 di circa 100 mila unità +0,4%
Stefano
“Almeno speriamo”!?
Temo che stiamo in mano a degli apprendisti stregoni…
Non viene qualche dubbio che stiamo raccogliendo un grande e meticoloso lavoro di distruzione del tessuto industriale costruito con fatica dopo la guerra ?
Salvatore
Continuiamo a prenderci in giro?
Ma quando si faranno le VERE riforme CHE TUTTI GLI ITALIANI SI ASPETTANO?
Come stiamo a corruzione e criminalità organizzata? Come prima? Allora che andate cercando?
Massimo Matteoli
La cosa non fa affatto piacere, soprattutto se si aggiungono anche i dati sulla produzione industriale, che mostrano segni di ripresa assolutamente modesti nonostante l’aiuto del superdollaro.
In realtà la nostra economia vive ormai due mondi separati: chi lavora con l’estero sopravive e spesso anzi, prospera.
Chi ha come mercato di riferimento l’interno soffre le pene dell’inferno.
E’ il mercato interno, perciò, che deve essere la nostra priorità e per questo non servono i limiti ai diritti dei lavoratori, ma al contrario più stabilità e sicurezza, più soldi in tasca a chi ne ha pochi e più investimenti.
pierrot
Caro professore, le confesso che leggendo il suo articolo mi sono chiesto in quale mondo lei viva. Non certo in quello dei comuni mortali.
Nel mondo di coloro che, lontani da cattedre prestigiose, si arrangiano ogni santo giorno per guadagnarsi da campare.
Per quanto riguarda la lotta alla precarietà le rammento che il governo NON ha assolutamente eliminato i contratti cosiddetti precari, anzi, con il famigerato Decreto Poletti ha incentivato il lavoro precario e credere che il Jobs Act, con i suoi tre anni di decontribuzione, possa sconfiggerlo è pura illusione.
Le faccio un esempio.
Mio figlio, laureato, per disperazione ha accettato un contratto semestrale come apprendista nel settore del giardinaggio, che gli è poi stato rinnovato per altri sei mesi.
Oggi è scaduto anche il secondo contratto e da domani mio figlio inizierà un altro periodo di lavoro, per la stessa ditta, ma “affittato” da una cooperativa “segnalatagli” dal suo ex datore di lavoro.
Beninteso, lo stipendio calerà di 200/250 euro al mese per l’intermediazione della cooperativa.
Accettare o perdere la sola fonte di reddito.
Mi creda professore, di cosa stiamo parlando … Jobs Act, lotta al precariato ?
Ma di cosa state parlando ?
Amegighi
Non è questione di cattedre, caro Pierrot, ma di Economia reale.
Suo figlio laureato come tanti altri in Italia, non trova lavoro perchè semplicemente non trova le imprese in grado di assumerlo.
Se le imprese non sono in gradi di assumere laureati, il motivo sta nel loro livello. Appunto, piccole e medie imprese, che anzichè migliorarsi e trasformarsi in piccole e medie imprese altamente tecnologiche, hanno preferito vivacchiare con il rendimento delle svalutazioni (prima) e della riduzione del costo del lavoro (poi). Ma non hanno investito alcunchè in Ricerca e Sviluppo, rimanendo ancorate ad un tipo di produzione accessibile anche da imprese dei paesi in via di sviluppo (con costi nettamente inferiori).
Le grosse imprese sono praticamente finite (guardi com è finita la Chimica italiana del famoso Moplen, per non parlare della Farmaceutica), per cui, paradossalmente per alcuni con il prosciutto sugli occhi, oggi, le migliori occasioni di lavoro per i giovani laureati vengono dalla libera circolazione delle persone in Europa.
Asterix
Caro Amegighi ma è sicuro che è tutta colpa delle cattive PMI italiane? Perché “vivacchiare con il rendimento delle svalutazioni” è il progetto per far ripartire l’Europa svalutando l’euro rispetto al dollaro con il QE facendo ripartire le esportazioni delle (grandi) imprese europee (tedesche) ai danni degli americani. Quanto la riduzione del costo del lavoro ce lo chiede l’Europa ed la stessa strategia adottata dalla Germania dopo il 2000 per prendere quote di mercato ai danni di italiani e francesi. Quindi se queste cose sono buone oggi come fanno ad essere cattive prima quando lo facevamo con la Lira? Ma poi è sicuro che le PMI italiane non investivano già in Ricerca e Sviluppo? forse non tali spese non figuravano nell’attivo immobilizzato dei bilanci, ma come si spiega i prodotti di qualità italiane fatte dalle piccole (alimentari, moda, meccanica)? come è stato possibile raggiungere quei livelli senza fare ricerca? La crisi del lavoro ha altre spiegazioni.. la più semplice è il crollo della classe media in Europa e quindi della domanda non solo e la concentrazione della ricchezza.
bob
..condivido in pieno la Tua tesi ! Un Paese crea lavoro se ha progetti lungimiranti fatti da politici di spessore. Nel ’79 la WV era quasi fallita un signore cacciato via dall’ Italia ( Giugiaro) creò la Golf non aveva creato un auto ma un concetto nuovo di realizzare macchine che dopo 30 anni è ancora valido. Nello stesso anno noi producemmo l’ Arna non una macchina ma un modo per giustificare contributi ( inutili) a pioggia per fare satolli sindacati e Fiat . Il resto è sotto gli occhi di tutti, potrei fare mille esempi non ultimo quello del “varacchinaro” analfabeta di Teviso che doveva essere il salvatore della Chimica Italiana ( altro che Natta e Moplen). Fare occupazione con i decreti è classico di una classe politica inetta e ciarlatana …i risultati sono sotto gli occhi di tutti
Moreno
Posso avanzare un sospetto? Non è, a questo punto, che il declino stia imboccando la strada dell’irreversibilità?
Possiamo immaginarci tutte le legislazioni pro job possibili, anche quella del tipo: “fatene ciò che volete,
purchè li assumete!”, anche affiancandole a tutte le possibili decontribuzioni e defiscalizzazioni praticabili (diventeranno debiti da pagare in futuro). Ma se l’apparato produttivo è debole, fragile, insicuro e consapevole che il mercato interno è costituito da persone (lavoratori dipendenti/autonomi e pensionati) che hanno intuito un futuro di prospettive di reddito decrescenti e troppo incerte (si badi bene: “troppo”
incerte), non si capisce perchè uno dovrebbe essere fiducioso e impegnarsi in investimenti in questo mercato.
Il jobs act è stata una riforma dettata dal panico, dalla disperazione, poichè nella odierna globalizzazione, i processi di fuga del capitale e del lavoro (e ora, anche dei cittadini più formati!), sono molto più veloci rispetto al passato. Stiamo vivendo nell’ottavo anno dallo scoppio della crisi. Quanto dobbiamo aspettare ancora per capirlo? I giovani che se ne vanno, l’hanno già capito. Di vita ne hanno una sola!
Fabrizio
Leggendo la bio dell’autore si capisce bene perchè è a favore della legge che rende libero il licenziamento selvaggio. E’ un baronetto universitario che non ha mai lavoarato pagato e protetto indipendentemente da quello che fa, anzi è probabile intaschi soldi per questi pseudo articoli.
Roberto
Trovo sconcertante il fatto che l’istat diffonda dati negativi sul lavoro sia a livello di disoccupazione che occupazione mentre il governo una settimana fa ha presentato numeri completamente opposti citando un incremento di posti di lavoro di ben 92000 unità.
Inoltre guardando i dati del ministero c’è stato un netto miglioramento rispetto all’anno scorso mentre per i dati istat la situazione del lavoro è pressoché simile al 2014.
Le stesse differenze si sono riscontrate anche sui numeri relativi al mese di febbraio.
Per questo motivo, sarebbe importante effettuare un’analisi approfondita di queste discrepanze così da poter capire come realmente sta andando il mondo del lavoro in Italia.
Elio
Sconcertanti non sono idati in se ma come vengono presentati: il governo parla del numero complessivo dei nuovi contratti a tempo indeterminato, omettendo di specificare, come fa l’ISTAT, che la maggioranza di loro, se non tutti, sono semplici trasformazioni di contratti precari pre-esistenti. Per cui non si sono creati nuovi posti di lavoro, punto.
Michele
Che le politiche del governo renzi non abbiano effetto sulla disoccupazione, lo dice lo stesso governo: in 3 anni il DEF prevede una riduzione della disoccupazione di circa 1%, meno del 10% di riduzione, malgrado QE, petrolio a €50/60 e svalutazione dell’euro….
marcello
La citazione di Keynes rende opportuna anche un’altra abusata citazione. Diceva Keynes che quando gli investitori non vogliono o non se la sentono di investire perchè le loro aspettative sono negative, spetta allo Stato farlo e che le riforma vanno fatte nelle fasi espansive del ciclo.
E’ inutile continuare amodificare le condizioni dela domanda di lavoro, ormai l’Italia fa una riforma (inutile, quando non dannosa) l’anno se non si interviene sul lato dell’offerta del lavoro. I Nota mensile di aprile dell’Istat indica che le costruzioni continuano a segnare una contrazione e che il commercio con l’estero è stazionario. Il QE ha, come atteso, mandato in negativo i tassi sui titoli di stato (BTP IE) indicando che si accettano titoli al momento con rendimenti negativi (in Germania e Francia sono %molto elevate dello stock del debito), Le borse sono ai massimi,il P/E di S&P è di 3 punti sopra la media storica e non si vede perchè le aspettative debbano camvbiare. Forse, ma azzardo solo un forse, si ha bisogno di investimneti pubblici massicci per riavviare l’economia e quindi ridurre il tasso di disoccupazione? Si è o no in una conclamata condizone di trappola monetaria?
marcello
La citazione di Keynes rende opportuna anche un’altra abusata citazione. Diceva Keynes che quando gli investitori non vogliono o non se la sentono di investire perchè le loro aspettative sono negative, spetta allo Stato farlo e che le riforma vanno fatte nelle fasi espansive del ciclo. E’ inutile continuare amodificare le condizioni dell’ offerta di lavoro, ormai l’Italia fa una riforma (inutile, quando non dannosa) l’anno se non si interviene sul lato della domanda del lavoro. Nella Nota mensile di aprile l’Istat indica che le costruzioni continuano a segnare una contrazione e che il commercio con l’estero è stazionario. Il QE ha, come atteso, mandato in negativo i tassi sui titoli di stato (BTP IE) indicando che si accettano titoli al momento con rendimenti negativi (in Germania e Francia sono %molto elevate dello stock del debito), Le borse sono ai massimi,il P/E di S&P è di 3 punti sopra la media storica e non si vede perchè le aspettative debbano cambiare. Forse, ma azzardo solo un forse, si ha bisogno di investimneti pubblici massicci per riavviare l’economia e quindi ridurre il tasso di disoccupazione? Si è o no in una conclamata condizone di trappola monetaria?
Gianni
E’ anni che la smenano con la flessibilità del lavoro e non hanno ancora capito che non ha nulla a che fare con l’occupazione.