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La spesa pubblica? Ecco dove si è già tagliato

Non è vero che non si è fatto nulla sulla spesa pubblica. Pesanti sono stati gli interventi sugli investimenti, l’impiego pubblico e gli acquisti di beni e servizi. Ma la dinamica della spesa pensionistica continua a essere eccessiva. Anche prima della sentenza della Consulta.
I numeri della spesa pubblica
La recente sentenza della Corte costituzionale ha generato un ginepraio di commenti sulla sostenibilità delle finanze pubbliche e sul diritto o meno dei pensionati a vedersi riconosciute interamente le promesse fatte nel passato. È poi ripartita l’accusa ai governi di oggi e del passato di non aver fatto nulla per mettere a posto i conti, con i quotidiani che riportano con scadenza quasi giornaliera i dati sulla crescita incessante della spesa pubblica. Che certo, cresce sempre o quasi sempre. Ma in parte l’aumento dipende dall’evoluzione dei prezzi, e soprattutto ciò che conta davvero per la sostenibilità delle finanze è la crescita del Pil, perché questo rappresenta una misura di quanta spesa pubblica il paese può permettersi di finanziare tramite le imposte.
È allora utile dare un’occhiata ai numeri per fare chiarezza. Lo facciamo con due figure, riprese dal Rapporto sulla programmazione del bilancio dell’Ufficio parlamentare di bilancio, appena pubblicato, e rimandando alla lettura del Rapporto per maggiori dettagli.
La figura 1 presenta le voci principali dei conti delle amministrazioni pubbliche (cioè, la somma dei conti consolidati di amministrazioni centrali, amministrazioni locali e enti di previdenza) in rapporto al Pil, dal 2007 al 2014, ultimo anno disponibile. Si tratta in sostanza di tutta la spesa pubblica primaria, cioè al netto degli interessi sul debito.
Figura 1 – Principali voci del conto delle AP 2007-14 (in percentuale del Pil)
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Fonte: Rapporto sulla programmazione di bilancio 2015
La figura è abbastanza chiara. La pressione tributaria è cresciuta di un paio di punti (nel 2011), dal 28,5 al 30,5 per cento, e poi è rimasta inchiodata lì, mentre i contributi sociali si sono mantenuti più o meno costanti, al 13 per cento del Pil, per tutto il periodo. Dunque, la pressione fiscale (tributi più contributi) ha raggiunto il 43,5 per cento del Pil nel 2011, per mantenersi poi più o meno costante (con un caveat su cui torno sotto), segno che il riequilibrio della finanza pubblica è passato sicuramente anche attraverso un accresciuto peso del fisco.
Dove si è intervenuti
Ma che è successo alla spesa pubblica? Davvero non si è fatto nulla? La spesa in conto capitale si è praticamente dimezzata, passando da quasi il 5 per cento del Pil a circa il 3 per cento. Qui abbiamo dunque sicuramente tagliato, anche se non è ovvio che ce ne dobbiamo rallegrare, visto che, scandali e corruzione a parte, alla spesa in conto capitale è legato il mantenimento e l’ammodernamento delle infrastrutture, senza le quali si fa fatica a ritornare a crescere.
E la spesa corrente? Quella per i dipendenti pubblici e l’acquisto di beni e servizi, dopo una lieve crescita nel momento più duro della crisi nel 2009 (quanto il reddito reale si è ridotto di oltre 6 punti in un anno) ha ripreso un trend decrescente e nel 2014 è sul Pil di poco superiore a quanto fosse nel 2007, cioè attorno al 18 per cento.
Non malissimo, visto che il Pil reale nel frattempo si è ridotto di oltre il 9 per cento e l’inflazione è cresciuta più o meno nella stessa misura, cosicché il Pil nominale del 2014 non è molto diverso da quello del 2007. Segno che blocco degli stipendi e del turnover per l’impiego pubblico insieme alle varie misure di riduzione della spesa per gli acquisti qualche effetto l’hanno avuto, riducendo pesantemente questa componente della spesa in termini reali.
Al contrario, la spesa per le prestazioni sociali in denaro è cresciuta di circa 4 punti rispetto al Pil, passando da circa il 17 a circa il 21 per cento. Dentro questa voce ci sono le pensioni, che ne costituiscono oltre l’80 per cento, e vari interventi di protezione sociale, inclusi il pagamento del Tfr, la cassa integrazione, l’indennità per malattia e infortuni, gli assegni familiari e altro ancora. Qui dentro ci stanno anche gli 80 euro mensili del governo Renzi (ecco il caveat precedente): se volessimo interpretarli come riduzione di imposte (come insiste il governo) invece che come maggiore spesa, ridurrebbero la pressione fiscale nel 2014 di qualche decimo di punto.
Naturalmente, non è strano che la cassa integrazione sia notevolmente cresciuta durante la crisi (triplicando in termini nominali), visto che si tratta di una componente ovviamente legata al ciclo. Se e quando il paese uscirà dalla recessione, la cassa integrazione o qualunque cosa la sostituirà in futuro, si ridurrà automaticamente.
Quello che preoccupa invece è la spesa pensionistica che, nonostante la legge Fornero e i vari provvedimenti presi durante la crisi, compreso il blocco della rivalutazione recentemente bollato come anti-costituzionale dalla Consulta, ha continuato su un trend crescente anche durante la lunga recessione.
La ragione naturalmente è che questa spesa è legata, da un lato, all’invecchiamento della popolazione e, dall’altro, ai diritti definiti dalla legislazione, compreso l’adeguamento automatico all’inflazione, e se non si interviene su questi (piaccia o meno alla Consulta) non c’è nulla da fare, resta incomprimibile.
A riprova, si consideri la seguente figura, sempre ripresa dal Rapporto dell’Ufficio di bilancio.
Figura 2 – Tassi di crecita media annui delle principali voci di spesa pubblica
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Fonte: Rapporto sulla programmazione di bilancio 2015
La figura riporta la crescita nominale per vari periodi delle diverse componenti di spesa pubblica, anche con uno sguardo al futuro, fino al 2019. Se il tasso di crescita di redditi da lavoro e degli acquisti di beni e servizi si è praticamente azzerato nell’ultimo quinquennio, mentre era attorno al 5 per cento annuo nel periodo 2000-2009, quello della spesa per le prestazioni sociali in denaro, pur riducendosi, è rimasto attorno al 2 per cento l’anno. Il risultato di questi andamenti differenziati è che la crescita della spesa pubblica primaria è stata di poco superiore all’1 per cento l’anno nell’ultimo quinquennio, contro oltre il 4 per cento nel decennio precedente: sicuramente una bella decelerazione.
Il governo intende mantenere lo stesso profilo di crescita per la spesa primaria nei prossimi cinque anni. Ma il problema è che le stime disponibili, anche prima dell’intervento della Consulta, prevedevano una crescita della spesa pensionistica (oltre il 30 per cento della spesa pubblica corrente) attorno al 2,7 per cento all’anno per il prossimo quinquennio. Il che significa che le altre componenti di spesa, su cui si è già intervenuti pesantemente, dovrebbero aumentare meno o ridursi proporzionalmente per mantenere il tasso di crescita previsto. Come ci riusciremo, è un mistero.

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10 commenti

  1. Rainbow

    Quest’analisi dettagliata, dati alla mano,fa giustizia di tanti luoghi comuni che ci vengono continuamente propinati e spacciati per verità assoluta! La tanto criminalizzata spesa pubblica primaria, compresa quella per il pubblico impiego (contratti bloccati dal 2010, in odore di incostituzionalità,la Consulta si pronuncera’il 23 giugno) e’stata ridotta,non e’vero che non si e’fatto niente,ed e’prevista in calo nei prossimi anni! Il problema e’che tale risultato è stato ottenuto comprimendo sopratutto la spesa per investimenti, ed in parte,quella della pubblica amministrazione! L’unica voce che corre,nonostante la legge Fornero che ora si vorrebbe allentare,e’la spesa previdenziale. Ha ragione Tito Boeri che vorrebbe metterci mano per riequilibrare i tanti squilibri presenti nella stessa dopo ben 7 riforme! Segnalo a tal proposito,l’illuminante contributo in tema di Sergio Rizzo stamane sul Corriere.it con l’articolo dal titolo:” Il guazzabuglio delle Pensioni che blocca l’Italia”! Il sistema pensionistico italiano, dopo ben 7 riforme,e’un concentrato di privilegi e di ingiustizie altro che diritti acquisiti! Prendano nota i conservatori,i giudici della Corte che ignorano queste cose e l’art. 81 della Costituzione, i formalisti del diritto come Rodotà e i populisti d’Italia che strumentalizzano ogni cosa pur di attaccare il governo sostenendo che la scandalosa ed ottusa sentenza della Consulta andrebbe applicata alla lettera! Se applicassimo alla lettera quella sentenza dovremmo sfasciare il bilancio pubblico per dare 18 miliardi ai pensionati,molti dei quali baby o con pensioni pagate in parte con la fiscalità generale! Parafrasando Toto’: “ma fatemi il piacere”!

  2. Massimo Gandini

    Le pensioni e i diritti acquisiti (quelli che consentono attualmente a 230mila italiani di percepire lapensione da prima del 1980…incommentabile) sono le zavorre che trascinano a fondo questo paese. Prima ci si mette mano (ignorando il reparto geriatrico chiamato corte costituzionale che vive in una realtà sfasata da quella reale) ,meglio è

  3. Henri Schmit

    1. Bisogna rispettare il diritto = la consulta. 2. Inaccettabile voler ribaltare la decisione con la nomina parlamentare dei nuovi giudici; se è vero (e lo è!), significa che qualcosa non va con la consulta, che non è indipendente. 3. Un certo tipo di pensiero pseudo-liberale da qualche lustro pretende convincerci che lo Stato deve essere equiparato a un privato; allora la consulta avrebbe ragione, pacta sunt servanda. Ma non è così! 4. Lo Stato non è un’impresa privata; almeno all’interno dell’ordinamento nazionale non fallisce, e non può licenziare i suoi dipendenti, che fra tante altre garanzie godono di una garanzia A VITA per il loro lavoro. Questa asimmetria dovrebbe comportare un diritto “del principe” di modificare le regole dell’ingaggio unilateralmente, per ragioni gravose (=necessità) e in termini GENERALI (=equità) . In altri paesi con meno problemi di finanza pubblica si fa così, si ritoccano i diritti presunti “acquisiti” di intere categorie di dipendenti pubblici. Perché non limitare da domani di un colpo la remunerazione totale (non solo lo stipendio) dei funzionari secondo nuovi parametri obiettivi. 5. Se non si osa fare questo, come si può pretendere di ridurre unilateralmente le pensioni (medie-piccole, senza nemmeno eliminare gli abusi più gravi). 6. Come farlo? Impossibile con l’attuale potere della consulta; e peggio se si risolve con nomine “vincolate”. Unica strada = nuovo strumento: iniziativa popolare di legge costituzionale e referendum vincolante.

  4. paolo

    Più ci penso e più mi convinco che possiamo salvarci solo se tagliamo drasticamente la spesa per pensioni senza ridurle di un centesimo.
    E no, non intendo proporre esecuzioni di massa, ma un meccanismo per cui una % crescente della pensione (es. 0% fino a 2000 €, poi a crescere fino al 50% a 5000 €) non viene più erogata in denaro, ma in azioni delle società veicolo che realizzano le infrastrutture (e perché no, anche la riqualificazione del patrimonio immobiliare pubblico): Basterebbe “trasformare” una quota molto ridotta (circa 15% del monte pensioni) per ottenere un raddoppio secco della spesa per investimenti senza ledere i diritti di alcuno e ottenendo anche un forte aumento della sorveglianza civile sul modo in cui i soldi vengono spesi (non sarebbero più solo soldi soltanto pubblici, ma anche propri…)

  5. Savino

    Qui mi pare che ce n’è solo per chi già si è fatto una posizione da un pezzo, per i pensionati di alto livello che continuano a lavorare o ad avere privilegi.

  6. Maurizio

    Se ho ben capito non si è tagliato dove si doveva tagliare e non è stata colta l’opportunità della sentenza della Corte per rivedere “equamente” l’intero sistema. Congratulazioni!

  7. Ludovico

    E’ un errore che si ripete affrontare il problema della spesa pensionistica come fosse tutta spesa pubblica. Fino a che persisterà questo approccio non emergeranno soluzioni ragionevoli e quindi accettabili. La spesa c.d pensionistica è in parte spesa pubblica in quanto corrispondente alla spesa sociale, di tipo extracontrattuale, tipica di uno Stato, che ha in Costituzione il welfare, e in parte è “spesa privata”, in quanto derivante da contratti di lavoro, di diritto privato, che lo Stato ha stipulato con i dipendenti della PA. Quest’ultima deve essere scorporata nelle riflessioni sulla spesa pubblica. E’ come se, mutatis mutandis, un’azienda privata volesse portare via il TFR maturato dei dipendenti per aggiustare i propri conti.

    • Attenzione a non cadere nell’inganno teso dal governo della guerra tra poveri ( baby pensioni prepensionamenti ecc.) . Bisogna essere uniti e rispondere che se il governo decidesse di trasformare le pensioni in essere in pensioni calcolate col contributivo : i pensionati uniti deciderebbero di spendere molto meno danneggiando i consumi interni e,di conseguenza, la ripresa.

  8. Michele

    1) Il grafico 1 con la enorme scala delle ascisse rispetto alle ordinate è fatto per far sembrare tutto costante o quasi 2) mischiare i dati di pensioni e cassa integrazione rende i dati non leggibili 3) la spesa corrente che si mantiene costante sul GDP non è un bel risultato 4) il crollo degli investimenti pubblici ha un effetto negativo sul ciclo; si doveva fare il contrario 5) annunciare che i lavoratori di oggi avranno pensioni peggiori delle attuali (serve una ottava riforma…) non aiuterà certamente la ripresa dei consumi interni.

  9. Caro prof. Bordigon non concordo con il contenuto del suo articolo in quanto l’approccio alla riduzione della spesa pubblica è simile a quello di Cottarelli e quindi si taglia e basta ma non si colpisce in via definitiva l’origine del debito. Pur riconoscendo i meriti della Commissione Cottorelli, sarebbe meglio seguire un’altra strada a mio parere più sicura e proficua di effetti e risultati strutturali.

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