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L’Europa che verrà

Perché la Ue abbia una chance, evitando le diverse possibili “exit”, serve un cambiamento radicale nelle istituzioni e nelle politiche. Di questo dovrebbe occuparsi il documento dei “quattro presidenti”. Ma il rischio è che i governi nazionali preferiscano non fare nulla sperando che basti la Bce.

Scenario desolante
Vien da pensare che se non avessero deciso di nascondersi la verità a tutti i costi, ai governanti europei dovrebbe cominciare a mancare il sonno. La tragedia greca è diventata una noiosa partita a poker, con tanto di aperture al buio, bluff e contro-bluff; ammesso che si riesca anche stavolta a evitare la Grexit, si tratterà solo dell’ennesima soluzione di basso profilo, per ritrovarsi nella stessa situazione nel giro di qualche mese.
Il Regno Unito è ben incamminato sulla strada della Brexit, e vista l’ideologia del nuovo premier polacco, una Polexit è pure diventata possibile. Peccato che la Polonia doveva essere il prossimo candidato per l’annessione alla moneta unica e la principale testimonial dei successi europei. Come la Spagna di Mariano Rajoy, dove l’affermazione di Podemos la dice lunga sulla popolarità delle politiche economiche imposte dalla Germania all’Europa, indipendentemente anche dai relativi successi economici.
Nel frattempo, l’Europa nel suo complesso è ancora immersa nei postumi di una crisi finanziaria, di origine americana, ma che gli Stati Uniti sembrano ormai essersi lasciati alla spalle da un bel pezzo. E non parliamo, per carità di continente, dell’incapacità di formulare una strategia comune in termini di politica estera o di energia, che pure dovrebbero rappresentare interessi europei comuni.
Eppure, le ragioni a favore dell’Unione Europea sembrano essere oggi più forti di ieri; con il ribaltamento delle fonti di crescita mondiale e il successo di grandi nazioni, come la Cina, l’India o gli Usa, un’Europa frantumata in tanti piccoli paesi sembra davvero avere poche chance future.
Le riforme possibili
Rispetto a questo scenario desolante, ci si aspetterebbe un dibattito politico europeo all’altezza delle sfide. Invece, tutto tace. A giugno, i “quattro” presidenti (della Banca centrale europea e delle principali istituzioni europee), ora diventati cinque per l’aggiunta di quello del Parlamento europeo, presenteranno la nuova versione del documento approvato tre anni fa per il rafforzamento dell’unione politica e economica dell’area euro. Ma di ciò che era previsto nel documento del 2012, eccetto – e solo in parte – l’unione bancaria, non si è fatto in realtà nulla. Non è chiaro perché la nuova versione dovrebbe avere maggior fortuna.
Il governo italiano ha ora presentato una sua nota di supporto al lavoro dei quattro presidenti, ma un vero dibattito è ancora assente.
Eppure, le cose che si dovrebbero fare appaiono piuttosto evidenti. Per l’Unione Europea, approfittando anche del referendum britannico, va trovata una nuova forma di convivenza tra i paesi che sono solo interessati a un’area di libero scambio e chi vuole invece forme di maggiore integrazione, tanto da condividere la moneta.
L’attuale modello istituzionale, con tutti i parlamentari europei che votano su politiche che interessano solo una parte e cioè i paesi dell’euro, non ha senso. Così come non lo ha l’oscuro sistema di finanziamento del bilancio europeo, che serve solo a giustificare le politiche del “giusto ritorno” e a impedire interventi che davvero potrebbero servire interessi europei comuni.
Né funziona l’Unione monetaria, basata su complicatissime regole che nessuno capisce, affidate per la gestione a un organismo presumibilmente tecnico come la Commissione, ma che in realtà decide in modo discrezionale. E con una politica fiscale dell’area fissata da un consesso dei paesi – il Consiglio europeo – dove poi di fatto decide solo la Germania sulla base dei propri interessi nazionali.
Per tenere assieme un’area monetaria, ci vuole senz’altro maggior convergenza e dunque maggior cessione di sovranità. Ma questa deve essere accompagnata da un rafforzamento della legittimità democratica dei centri decisionali europei e da meccanismi solidaristici e di distribuzione del rischio tra i paesi membri. Ciò significa rafforzare il Parlamento europeo rispetto al Consiglio e alla Commissione sulla gestione del bilancio e sulla politica economica europea, dando a questo effettivi poteri e risorse. Significa anche prevedere che le figure apicali della governance europea, tipo il presidente dell’Unione, siano elette direttamente da tutti i cittadini europei.
Il documento italiano
Il documento del governo italiano qualcosa in questa direzione lo dice. Tralascia forse eccessivamente le questioni di architettura istituzionale (salvo ribadire che bisognerà occuparsene), ma insiste sulla necessità di maggior coordinamento economico tra i paesi dell’euro, di un risk pooling delle risorse, compresa la messa in comune di risorse nazionali per il finanziamento di un nucleo di sussidi di disoccupazione europei, prefigura un euro-budget, e appoggia l’uso dell’Esm come “fiscal backstop” dell’unione bancaria, sottraendolo ai veti dei singoli paesi.
Forse era meglio un documento più dettagliato su pochi punti, piuttosto che uno generico su molti, ma può darsi che il format scelto rappresenti il tipo di apertura diplomatica necessario per iniziare una contrattazione a livello europeo.
Sempreché la contrattazione avvenga davvero. L’impressione invece è che piuttosto che affrontare un difficile dibattito tra se stessi e con le proprie opinioni pubbliche, i governi europei preferiscano non far nulla e cullarsi nell’illusione che la nuova politica monetaria della Bce li tenga fuori dai guai, nonostante le varie exit annunciate.
Peccato che lo stesso Mario Draghi non perda occasione per dire che la politica monetaria è di per sé insufficiente. Speriamo di non dover aspettare la prossima crisi per assistere a qualche progresso.

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Sulla disuguaglianza c’è ancora tanto da scoprire

  1. Emanuele

    Chiedere ai politici nazionali di rinunciare volontariamente al potere in modo da rafforzare le Istituzioni EU (che agirebbero sempre piu’ nel ruolo di arbitro, che per definizione deve per forza scontentare sempre qualcuno ma che alla lunga crea degli equilibri migliori) è come chiedere al famoso tacchino di autoinvitarsi al pranzo di Natale.
    Le spinte in tale senso potrebbero venire solo dai cittadini, che evidentemente preferiscono pero’ credere alle mezze verità raccontate dai personaggi menzionati, e pesantemente influenzate da una stampa -diciamo- approssimativa (festeggero’ il giorno che vedro’ un giornale nazionale spiegare per bene la differenza tra Commissione e Consiglio).
    Senza contare che non occorre essere “complottisti” per realizzare che l’indebolimento della UE (e il progressivo ritorno agli stati nazionali) sarebbe la manna dal cielo per la Russia e per le grandi aziende americane e cinesi, che aggirerebbero agevolmente qualsiasi legislazione nazionale ma che al momento ancora incontrano qualche “fastidio” nella regolamentazione comunitaria.

    • bob

      ..sono d’accordo! Ma almeno in Italia il problema è culturale e le ultime elezioni lo hanno ampiamente dimostrato “Franza o Spagna purchè se magna” ce lo dimentichiamo? Le elezioni regionali hanno ampliamente dimostrato che ha fronte di qualche accenno di programma si è ampiamente preferito ” lu compareddu”, aum aum, amici degli amici quindi il problema non è la classe politica è il sub-strato culturale. Ci vuole l’antropologia per spiegarlo

  2. marco

    Basterebbe solo guardare cosa accade nel mondo, per realizzare che da soli siamo drammaticamente inefficaci e irrilevanti.

  3. Marcello Romagnoli

    Non riesco ad immaginarmi come cambiare l’europa (con la e minuscola non a caso) per renderla più solida. E’ evidente che l’adozione dell’euro ha avvantaggiato alcuni paesi a discapito di altri. E’ anche evidente che questi non vogliono pagare un pò il conto dei loro vantaggi e non comprendono che andando avanti così il giochino gli scoppierà in mano. L’euro poteva essere l’azione conclusiva di un lungo cammino di convergenza economica e sociale invece si è voluto mettere il carro davanti ai buoi e alla prima curva il carro con i buoi è andato fuori strada. Ora i buoi dicono che è stato il carro e viceversa, ma nessuno vuole darsi da fare (vedasi Germania e Grecia). In questi giorni stiamo assistendo alla ennesima sceneggiata patetica e preoccupante della Germania che prende contatti con la Grecia e decide lei per tutti. A seguito la scodinzolante Francia. Bell’esempio di unità. Certo i buoni propositi si possono formulare, ma se queste sono le condizioni, i buoni propositi diventano chimere. Prima ce ne convinciamo e prendiamo delle contromisure e meglio è.
    PS. Bisogna essere grandi? Ha ragione l’articolista. Svizzera, Danimarca, Sud Corea sono tutti stati molto grandi ed è per questo che godono di condizioni economiche molto buone.

  4. Henri Schmit

    Penso che il modello per il futuro prossimo rimanga quello prevalentemente intergovernativo, non per colpa della Germania, ma per colpa di chi non ha saputo rispettare i patti iniziali. Deciderà il tandem carolingio, negozieranno con Cameron che è l’unico che abbia la capacità e adesso la forza per imporre cambiamenti, per lottare contro i vari “deficit”, fiscali e democratici”. Il modello non sarà quello della fuga in avanti promosso dagli inadempienti (“federalismo”). Non ci sarà Brexit, mentre Grexit e Polexit farebbero forse più bene che male, sarebbe una lezione per tutti, deboli e forti, un richiamo alla realtà. Non bisogna essere grandi, uno dei più piccoli stati dell’UE ha i migliori parametri perché ha capito 40 anni fa che l’UE (allora CEE) sarebbe stata competizione in tutto, anche fiscale, i cantoni svizzeri insegnano!

  5. Pif

    L’europa che verrà? direi piuttosto che non andrà da nessuna parte! ha ragione credo che si trastulleranno visto la boccata di ossigeno, transitoria, del QE di Draghi, c’è una mancanza di leadership spaventosa( possiamo farci guidiare da Junkers?) e Renzi mi pare conti quanto il due di picche , e Hollande è stato veramente una delusione. Con questa situazione è chiaro che Salvini sembri a casa nostra un gigante (sic). Possiamo comunque permetterci di trastullarci mentre le imprese non si riprendono e la disoccupazione se cresce, cresce poco? purtroppo ho perso le speranze, da noi il dibattito sui media è solo provinciale e sul teatrino della politica

  6. I paesi europei devono scegliere che Europa vogliono, o un’Europa integrata fiscalmente o un’Europa che dovrà tornare indietro di 15 anni; Draghi ha fatto con ritardo la cosa giusta ma, giustamente, sta urlando che i paesi devono mettere in campo le riforme, devono procedere ad una integrazione ulteriore, altrimenti le politiche monetarie espansive non servono a niente.

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