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Quella bad bank che serve ma non piace

Da tempo il governo italiano studia la possibilità di istituire una bad bank in cui far confluire i crediti tossici delle banche e dare nuova linfa all’economia reale. Ma l’idea di includere lo Stato tra i garanti dell’operazione si scontra con i vincoli sugli aiuti di Stato. Il ruolo dei privati.
Banche e aiuti di Stato
 L’opportunità di costituire una “bad bank” per ripulire i bilanci delle banche italiane – gravati da crediti deteriorati per circa 350 miliardi di euro – risulta uno dei temi più caldi nell’agenda di politica economica del governo.
L’esecutivo studia infatti la costituzione di un unico veicolo, in cui far confluire asset tossici delle banche italiane, garantito – secondo uno schema ancora da perfezionare – dallo stesso Stato italiano. L’impostazione trova tuttavia due forti limiti, rappresentati dalla Commissione UE e dall’opinione pubblica.
La Commissione europea pone il veto sull’operazione poiché risulta in contrasto con la normativa europea sugli aiuti di stato. Più preoccupante, tuttavia, si configura il rapporto con l’opinione pubblica. Il principio secondo cui lo Stato italiano dovrebbe farsi carico della mala gestio dei nostri banchieri risulta arduo da far passare, anche alla luce della polemica già sperimentata con i “Monti bond” sottoscritti dal Monte dei Paschi di Siena. Le critiche si basano sull’assunto secondo cui le banche privatizzano gli utili e socializzano le perdite, dando luogo a fenomeni di azzardo morale.
Due riflessioni sono doverose. In primo luogo è opportuno evidenziare come i principali paesi europei abbiano fatto ampio uso di bad bank pubbliche nel corso degli ultimi anni (tabella 1).
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Fonte: Consob (2013), Rapporto 2012 sulla corporate governance delle società quotate italiane, disponibile su www.consob.it.

L’Italia è il fanalino di coda nel processo e oggi rischia di pagarne le conseguenze. Risulta difficile comprendere perché lo Stato italiano non abbia seguito l’esempio degli altri paesi europei nel sistemare definitivamente i conti delle banche e da lì avviare una nuova stagione improntata al sostegno dell’economia reale. È così che Regno Unito, Germania, Francia e Spagna hanno potuto ricapitalizzare le proprie banche alla luce delle prescrizioni dell’Eba.
Ma se appare arduo comprendere perché l’Italia sia rimasta ai margini del processo di pulizia, altrettanto lo è capire perché solo ora vengono alla luce i vincoli sugli aiuti di Stato, considerando anche che, a partire dal 2016, entreranno in vigore le norme del bail in sui salvataggi bancari.
Un modello plausibile di bad bank
In secondo luogo, è utile ragionare sulla struttura operativa che la bad bank dovrebbe assumere, anche al fine di superare i rilievi di Bruxelles.
Sarebbe perciò opportuno che il modello fosse rappresentato dal coinvolgimento esclusivo di soggetti privati e – in subordine –del Meccanismo europeo di stabilità, secondo lo schema riportato in tabella 2. D’altro canto, considerata la partecipazione dell’Italia al finanziamento del fondo Mes, potrebbe apparire equo richiedere un sostegno finanziario a questa istituzione, tanto più che risultano stanziati 60 miliardi di euro di liquidità destinati ai salvataggi bancari per tutta l’Eurozona.
In merito ai soggetti privati da coinvolgere sarebbe interessante rivolgere l’attenzione agli hedge fund (fondi speculativi), soggetti che dispongono di enorme liquidità e sono costantemente a caccia di opportunità di profitto. L’idea può sembrare bizzarra, considerando che i fondi hedge internazionali sono stati ampiamente criticati per aver acuito la crisi finanziaria. In realtà, una soluzione simile era già stata proposta da Barack Obama: in piena crisi finanziaria, aveva invitato gli hedge fund a sottoscrivere le quote di un fondo americano di tipo pubblico-privato al fine di ripulire le scorie della crisi in atto, quella crisi che – secondo l’opinione pubblica – i fondi speculativi avevano contribuito ad alimentare.
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Sulla base di questa ipotesi, perché allora non esercitare una forte moral suasion in ambito internazionale sui fondi hedge allo scopo di ottenere un loro intervento risolutore su quel mondo bancario che è il loro principale fornitore di liquidità e che rappresenta uno dei settori maggiormente percorso dalle loro speculazioni? L’esito potrà forse essere negativo, ma il tentativo dovrebbe comunque essere fatto.
Del resto, i fondi speculativi appaiono più che mai interessati al settore dei non performing loans (Npl): nel 2005 il fondo Fortress acquisiva da Intesa Gestione Crediti un pacchetto di sofferenze di nominali 9 miliardi di euro al prezzo di 2 miliardi; nel 2013 il fondo Cerberus rilevava un pacchetto di crediti deteriorati da Lloyds Bank, pagando 325 milioni di sterline contro un valore lordo dei crediti pari a 527 milioni; nel 2015 il fondo Fortress ha acquisito Unicredit Credit Management Bank (con un portafoglio di oltre 40 miliardi di euro), incluso un ulteriore portafoglio di sofferenze di 2,4 miliardi di euro. Va inoltre considerato che i principali fondi internazionali hanno recentemente lanciato dei veicoli dedicati proprio al comparto dei Npl.
Tale soluzione “di mercato” solleverebbe dunque il governo italiano dalle problematiche in atto e darebbe immediata celerità al progetto e nuova linfa alla ripresa dell’economia reale.
 

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12 commenti

  1. Antonio Rossi

    Perché, se i fondi speculativi sono così interessati ai nostri NPL, non se li comprano direttamente dalle banche, senza coinvolgere altri veicoli (e costi)? Se la bad bank dovesse acquistare al loro vero prezzo i crediti deteriorati, i bilanci delle banche ne sarebbero intaccati così come se iscrivessero già oggi detti crediti al loro valore di presumibile realizzo. Chi ci assicura che l’alleggerimento degli stati patrimoniali delle banche determinerebbe sic et simpliciter una virtuosa riapertura del credito bancario verso il sistema imprenditoriale (superfluo evocare recenti esempi di iniezioni di liquidità dirottate dal sistena bancario verso utilizzi diversi dagli affidamenti: d’altronde, se l’impresa non merita credito, non è la bad bank che risolve il problema).

  2. Roberto

    Il fondo Esm può partecipare ad una ristrutturazione del sistema bancario solamente se l’Italia firma un memorandum of understading, come fatto dalla Spagna.
    I politici italiani, compreso Monti ai tempi, non vogliono sottostare a politiche di austerità imposte da altri ed il conseguente danno reputazionale da commissariamento.
    Per questo motivo l’Italia non ha mai chiesto aiuto all’Europa pur finanziando i vari fondi di salvataggio e subendo lo stesso una serie di politiche di austerità per rispettare i parametri del fiscal compact.
    Per quanto riguarda i fondi hedge, qui entra in gioco la valutazione dei crediti non performing.
    Le banche hanno a bilancio questi crediti ancora a valori molto elevati rispetto a quanto i fondi sono disposti a spendere per acquistarli.
    Se nessuno copre questa differenza con delle garanzie, e l’unico che può farlo è lo Stato (sperando che l’Ue non lo consideri aiuto di Stato), la situazione non potrà sbloccarsi.

  3. Fabio Piluso

    Ringrazio per il commento che però sembra inficiato di populismo e retorica anti-banche. Le spiego il mio punto di vista. Come detto, i fondi speculativi stanno già comprando i npl dalle singole banche. Creare una bad bank di sistema significherebbe abbattere i costi (economie di scala), velocizzare le operazioni (evitare lunghe contrattazioni bilaterali) e, soprattutto, libererebbe lo Stato italiano dal dovere intervenire, configurando l’operazione in una logica squisitamente di mercato. Inoltre, dire che la bad bank non serve a migliorare l’allocazione dei prestiti non è condivisibile. Le banche, zavorrate da 350 miliardi di crediti malsani, pagano enormi costi di assorbimento patrimoniale e di gestione degli stessi che, cumulati con i vincoli regolamentari abnormi (Basilea 3, etc etc) garantiscono loro un alibi nel perpetuare politiche di credit crunch. Come è noto, il nostro sistema economico è di tipo banco-centrico e allora dobbiamo renderlo più efficiente a prescindere dalla nostra simpatia verso le banche. Occorrerebbe piuttosto agire su chi ha gestito molte banche italiane in modo scellerato. Infine, sospettare che le banche non contabilizzano adeguatamente il valore di realizzo dei loro crediti significa, da un lato, accusare indistintamente tutti gli amministratori e, dall’altro, dichiarare implicitamente che la Banca d’Italia non fa bene il suo mestiere di vigilanza. In mancanza di fatti e circostanze certe e dimostrabili, si cade ancora una volta nel populismo.

  4. Salvatore

    Credo che bisogna fare attenzione ai vari concetti spiegati nell’articolo. Intervento pubblico è differente da bad bank pubblica (Tabella 1), dunque il testo dovrebbe fare riferimento al virtuosismo italiano, non il contrario. Secondo, offerta e domanda di credito sono due aspetti differenti, questo va assolutamente chiarito. Terzo, l’Italia non aveva semplicemente il “margine” fiscale per intervenire come nei Paesi citati nell’articolo. Quarto, la ricapitalizzazione delle banche è avvenuta privatamente, non ad opera degli Stati. Il salvataggio delle banche italiane, a meno del Montepaschi, non è stato necessario, altra nota positive per il mercato bancario italiano. Dopo tre anni di profonda crisi economica, dovremmo riconoscere che il sistema bancario si è dimostrato robusto e resiliente. Per i crediti deteriorati, il tema è creare un mercato e questo può essere fatto seguendo l’esempio svedese degli anni 90.

    • Fabio Piluso

      Che l’Italia abbia mostrato un sistema bancario più virtuoso rispetto ad altri Paesi è lapalissiano. Ma non è questo il tema su cui dibattere. Bisogna trovare una soluzione al problema dei crediti deteriorati che comunque esistono e in modo pesante.
      Parlando di interventi pubblici sulle banche volevo solo ricordare alcuni esempi:nel 2013 la Prudential Regulation Authority della Bank of England ha previsto per le banche inglesi (ulteriori) infusioni di capitale per 13,4 miliardi di sterline (portando a un valore complessivo di 27,1 miliardi di sterline il fabbisogno complessivo);in Germania il fondo salva-banche Soffin, nel corso del 2008, effettuava un’infusione di liquidità nel capitale delle banche tedesche per 480 miliardi di euro e nel dicembre del 2011 lo stesso fondo Soffin permetteva alle banche tedesche di ricapitalizzarsi per un controvalore di euro 13,1 miliardi, in ossequio alle previsioni dell’Eba; in Francia, solo per citare i casi intercorsi tra il 2012 e il 2013, pensiamo al caso Credit Immobilier de France (di 18 miliardi di euro di garanzie pubbliche), al caso Banque PSA (7 miliardi di euro di garanzie pubbliche) e, soprattutto, al caso Dexia (85 miliardi complessivi di garanzie pubbliche). La stessa Spagna, nel dicembre 2012, su richiesta di BCE e della Commissione Europea, ha costituito la Sociedad de Gestion de activos procedentes de la restructuracion bancaria per assorbire nell’arco di 15 anni fino a 90 miliardi di asset deteriorati.

  5. Michele

    Se riesce a dimostrare ciò sarebbe sicuramente più convincente..Le critiche si basano sull’assunto secondo cui le banche privatizzano gli utili e socializzano le perdite, dando luogo a fenomeni di azzardo morale.
    La demagogia e il populismo io li riscontro più nell’operato di quasi tutti i politici nei confronti delle banche (MPS in primis, ma la storia ci insegna anche altri casi).
    Gli altri paesi hanno aiutato maggiormente le banche? Non è detto che tutto ciò che fanno gli altri paesi sia per forza onesto e/o intelligente. Non si può vedere un singolo provvedimento e decontestualizzarlo da tutto il resto.

  6. Antonella

    Mah, preso atto che il credito deteriorato delle banche italiane è 350 mld su un totale di credito outstanding di 1.800 mld. tenderei ad usare più cautela riguardo la virtuosità delle banche nazionali rispetto a quelle degli altri paesi UE. La Bad Bank serve e occorre se necessario farla anche a dispetto a possibili forzature “politiche” e/o a regole comunitarie esattamente come hanno già fatto gli altri paesi.
    L’intervento privato in assenza di una garanzia pubblica fa si che lo strumento della Bad Bank risulti paradossalmente dannoso per il sistema bancario nazionale. Se non si mette bene a fuoco tale aspetto si fa fatica a ragionare sul tema.

  7. A me pare che il problema principale rimanga il “pricing gap”. L’ESM, secondo gli attuali accordi, può intervenire soltanto dopo il bail in (con tutto ciò che ne precede). Del resto si tratta di un meccanismo di stabilità e non di altro. Decisamente più utile (e fattibile) la riforma (“zero cost”) delle procedure concorsuali per migliorare i tempi e l’efficacia nel recupero dei crediti.

  8. A me pare che il problema principale rimanga il “pricing gap” dei crediti problematici. L’ESM, secondo gli attuali accordi, può intervenire soltanto dopo il bail in (con tutto ciò che ne precede e consegue). Del resto si tratta di un meccanismo di stabilità, non di altro (e gli elicotteri sono già in volo). Decisamente più utile (e fattibile) la riforma (a costo zero) delle procedure concorsuali per migliorare i tempi e l’efficacia nel recupero dei crediti.

  9. Un po’ di chiarezza.
    Le banche italiane non vogliono essere ricapitalizzate dal governo, perderebbero la governance, la questione è semplice; le banche estere non hanno di questi problemi, la politica è più forte della lobby bancaria. I crediti incagliati pari a 350 miliardi se vengono venduti a fondi privati valgono forse il 10/30%, se vengono venduti a istituzioni pubbliche forse valgono il 50/70%, questo è il vero problema, chi si addossa la perdita sul credito? Le banche devono essere aiutate, va bene, lo stato entra nel capitale e comanda, ciò in Italia non è possibile; aiutiamo le banche con una cartolarizzazione pubblica tramite una bar bank, va bene se il prezzo del credito e quello di realizzo.
    Altre soluzioni non sono percorribili, sono considerate aiuti di stato, sono immorali perché al contribuente vanno le perdite ai soci delle banche gli utili.
    si porta l’esempio della Spagna, su 39 miliardi solo 2,5 sono stati utilizzati per la bar bank, tutti gli altri sono stati utilizzati per ricapitalizzare le banche.

  10. Oltre alle considerazioni prima esposte, in Italia abbiamo un debito/Pil che non permette di addossarsi l’ulteriore debito delle banche.
    Lo stato se deve intervenire con delle garanzie lo dovrà fare sui nuovi crediti che devono essere fatti alle imprese, ossia si dovrà utilizzare in modo massiccio lo strumento della 662 per superare il credit crunch, solo in questo ambito può avere senso l’intervento statale, ma mai per socializzare la politica creditizia passata svolta dalle banche.

  11. Quando i governi sono entrati nel capitale delle banche per aiutarle, alla fine hanno avuto un risultato positivo, se al contrario in Italia la bad bank statale acquista i crediti deteriorati, avrà solo delle minusvalenze da addossare alla collettività.
    Ben vengono gli aiuti alle banche se fatti in modo utile.
    Oggi sul giornale Il Sole, sul punto vi è un’articolo interessante di Moyra Longo.

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