Sul tema dello zero rating si combatte in Europa un’aspra battaglia che rischia di far arenare anche la proposta di legge europea sulla neutralità della rete. Eppure, a prima vista sembrerebbe un falso problema, visto che a trarne vantaggio è il consumatore. Perché è meglio decidere caso per caso.

Cos’è lo zero rating
Uno spettro si aggira per l’Europa, il suo nome è zero rating. I regolatori dei 28 stati membri dell’UE sono divisi se consentire o meno l’accesso illimitato da parte degli utenti di telefonia mobile ad alcune applicazioni e siti web come parte del loro abbonamento, sottraendoli al cap, cioè al limite di traffico (1, 2, 4 giga) compreso nel pacchetto mensile sottoscritto con gli operatori.
Il problema sorge con l’esplosione del traffico mobile e in particolare di servizi a crescente voracità di banda, quali le offerte musicali (Spotify), i social media (Facebook, twitter) e i video (SkyGo). Per consentire ai propri clienti di accedere a questi servizi – che altrimenti consumerebbero in breve tempo il traffico previsto nel pacchetto dati sottoscritto – operatori mobili e fornitori si accordano per evitare che gli stessi vengano conteggiati nel limite e quindi possano essere sempre accessibili “a costo zero”.
In conflitto con la net neutrality?
A prima vista, quello dello zero rating sembrerebbe un falso problema, visto che a trarne vantaggio è il consumatore, che può accedere a servizi attraenti senza modificare le proprie tariffe. Ma di fatto sul tema si sta combattendo un’aspra battaglia che coinvolge gli stati membri e su questo scoglio si sta addirittura arenando la proposta di legge europea sulla neutralità della rete. Tanto per rendersi conto della confusione che regna, Olanda e Slovenia, che hanno una normativa nazionale sulla net neutrality, hanno proibito questa pratica, che invece è utilizzata in altri paesi dell’Unione, come Germania e Italia. Chi si oppone fa riferimento “allo spirito della net neutrality”, che impedisce qualsiasi forma di discriminazione nell’accesso alla rete, al fine di mantenere internet aperto e democratico così come l’abbiamo conosciuto finora.
D’altro canto, però, anche da parte degli stessi paladini della net neutrality, c’è chi fa notare come sia contestabile applicare allo zero rating gli stessi principi. Gli Stati Uniti, che a febbraio hanno approvato l’Open Internet Order, che consente al regolatore Fcc (Federal Communications Commission) di intervenire e far rispettare la neutralità della rete, hanno adottato sullo zero rating un approccio più pragmatico. La Fcc infatti, in applicazione del principio di neutralità della rete, vieta espressamente il blocco, il degrado e la “prioritizzazione” a pagamento nella gestione del traffico. Nel caso dello zero rating, invece, la valutazione viene fatta caso per caso per verificare se nella pratica è ravvisabile un comportamento anti-competitivo, tale da penalizzare concorrenti o favorire servizi propri a scapito di altri.
Discriminazione positiva o negativa?
Inoltre, se si esce da considerazioni “filosofiche” (lo spirito della net neutrality), la prima obiezione è che dal punto di vista tecnico lo zero rating non è una discriminazione del traffico, proibita dalla net neutrality, poiché i pacchetti continuano a essere gestiti allo stesso modo, ma una discriminazione di prezzo, tra i diversi contenuti (dentro e fuori il pacchetto sottoscritto dal cliente). E in tal senso è essenziale capire se ciò restringe (discriminazione negativa) o accresce (discriminazione positiva) il benessere sociale.
Sotto il primo aspetto, si sostiene che favorire alcuni contenuti significa svantaggiarne altri. In altre parole, i concorrenti di Facebook o WhatsApp verrebbero penalizzati dal fatto che i consumatori avendo gratuitamente i primi sarebbero meno incentivati a utilizzare gli altri. Inoltre il loro uso massivo scoraggerebbe nel tempo l’ingresso di nuovi entranti.
A queste considerazioni critiche si contrappongono i benefici sociali legati alla discriminazione di prezzo, che consente una maggiore diffusione della tecnologia e una differenziazione delle offerte. In questo senso, anche offerte a prezzi marginali o a prezzo zero, in un’industria caratterizzata da alti costi non recuperabili, aiuta a raggiungere la massa critica, essenziale per realizzare gli effetti di rete. Questi ultimi, nei mercati a più versanti, determinano esternalità positive in presenza di differenziazione delle offerte e aumento del numero dei clienti. Ciò migliora il servizio, intensifica la competizione tra operatori, accresce l’attrattività delle piattaforme e il livello di partecipazione e coinvolgimento degli utenti. Questo spiega anche perché social media come Facebook sono tra i maggiori sostenitori della pratica della zero rating, consentendo tra l’altro in paesi meno sviluppati e dove internet prima non c’era, di farlo diffondere, a costo zero.
D’altro canto, però, non si può escludere un utilizzo dello zero rating in chiave anti-competitiva, favorendo servizi propri dell’operatore mobile o esclusive con il content provider tali da impedire ad altri soggetti di offrire i propri servizi alle stesse condizioni.
Per questo motivo, una valutazione sui comportamenti, ex post, caso per caso, come nel modello Usa, appare più coerente e razionale di una normativa o regolazione ex ante, che impedirebbe a priori questa pratica commerciale. Anche in questo caso una visione troppo dogmatica rischia di risultare dannosa, restringendo e limitando le opportunità offerte dal mercato, in grado di favorire la diffusione di servizi, come lo zero rating, che possono produrre positivi effetti in termini di efficienza economica e benessere sociale.

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