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Quando il pullman conviene di più

Liberalizzato nel 2012, il trasporto su gomma conosce un grande successo in tutta Europa. E sembra ripetersi quanto già accaduto con l’ingresso sul mercato delle compagnie aeree low cost: prezzi più bassi e una straordinaria espansione del servizio. Sussidi e tutela dei consumatori a basso reddito. 
Un muro abbattuto in Europa
Il muro eretto e difeso con successo per svariati decenni dalle imprese ferroviarie statali in Europa per sottrarsi alla competizione del trasporto collettivo su gomma sulle medio-lunghe distanze (autobus autostradali) è crollato fragorosamente con i provvedimenti europei del 2012. Nel 2014, a due anni dalla liberalizzazione del mercato, in Germania il numero di viaggi in pullman si attestava a poco meno di 20 milioni, più che raddoppiati rispetto a quelli registrati nel 2013. “Uno sviluppo incredibile che non immaginavamo possibile” secondo un dirigente di Deutsche Bahn, l’impresa ferroviaria che a causa della competizione della gomma ha subito una riduzione dei profitti di circa 120 milioni di euro. Ora la società prevede di quadruplicare entro il 2016 la propria offerta di servizi su gomma (con una operazione di “integrazione verticale di impresa dominante” che dovrebbe attirare l’attenzione dei regolatori nazionali ed europei). Un quadro analogo si prospetta in Francia a seguito della recente approvazione della normativa che apre il mercato del trasporto su gomma, limitatamente alla lunga distanza: rimane infatti affidata all’autorità regolatrice del settore ferroviario (che estenderà le sue competenze a quello stradale), su richiesta dell’Autorità organizzatrice locale che finanzia i servizi su ferro, la possibilità di vietare o limitare i servizi su gomma su distanze inferiori ai 100 chilometri, laddove questo comporti una “atteinte substantielle” all’equilibrio economico del gestore ferroviario (e ciò mette in luce l’urgenza di cambiare anche in Italia tutele anticoncorrenziali ormai datate, quali contratti di servizio ventennali per i trasporti su ferro regionali, che non prevedono alternative su autobus neppure dove ciò potrebbe essere del tutto sensato dal punto di vista economico e funzionale).
E in Italia?
In Italia, il segmento della lunga percorrenza dei servizi da autobus è stato liberalizzato nel 2007, con un periodo transitorio che si è concluso nel dicembre 2013. L’offerta, molto ricca soprattutto al Centro-Sud, sembra destinata a crescere ulteriormente con l’arrivo di nuovi soggetti e la proposta di nuovi collegamenti da parte degli operatori già attivi. Tale evoluzione suscita alcune riflessioni sul passato e pone interrogativi per il futuro della regolazione del comparto. Poiché non sembra che, rispetto a qualche decennio fa, siano mutate le condizioni che determinano la possibilità di produrre servizi su gomma non sussidiati sulle medio-lunghe percorrenze, appare evidente come l’introduzione dei vincoli sia stata determinata dalla volontà di tutelare l’offerta e non da quella di rispondere alle esigenze di spostamento delle persone a più basso reddito, che sono di gran lunga gli utenti maggiori di questi servizi, data la loro bassa velocità. A meno di non voler considerare un diritto il poter disporre di servizi di livello qualitativo superiore, ma allora, per coerenza, questo dovrebbe valere anche per i servizi aerei e così via. Quanto sta accadendo “sulla terra” sembra ripercorrere molto da vicino quanto accaduto con la liberalizzazione dei cieli e l’ingresso sul mercato delle compagnie low cost, che non solo hanno abbattuto i prezzi su direttrici già servite dai vettori tradizionali, ma hanno anche reso possibile una straordinaria espansione del servizio. Per quanto concerne le motivazioni ambientali ai sussidi al modo ferroviario, queste sembrano essersi indebolite data la progressiva riduzione dell’impatto del trasporto su gomma (un veicolo Euro 6 inquina un decimo di un veicolo Euro 1) e il crescente prelievo fiscale sul carburante che internalizza gran parte delle esternalità residue. Rimane apparentemente valida, invece, la motivazione dell’incentivazione della mobilità su ferro come soluzione di second best al problema della congestione stradale. Non è però affatto certo che questa sia la scelta ottimale. Da un lato, si può osservare che la parte largamente prevalente degli spostamenti di media-lunga percorrenza (quelli di cui qui si tratta) viene effettuata in condizioni di deflusso scarsamente congestionato, se non nelle ore di punta e in prossimità dei maggiori centri urbani. E, dall’altro, dove i fenomeni di congestione siano rilevanti, si potrebbe ipotizzare di introdurre pedaggi, oltre che istituire corsie riservate (o, meglio ancora, per evitare il sottoutilizzo della capacità delle strade, di corsie a pedaggio) e – quando i pedaggi siano già presenti – a differenziarli in funzione della domanda sulla rete autostradale. In questo scenario, dovrebbe essere riconsiderata l’assunzione della virtuosità sempre e ovunque dei sussidi al mondo ferroviario: si potrebbe scoprire che, per alcuni importanti servizi per le categorie a più basso reddito, socialità, tutela ambientale ed efficienza non sono necessariamente sinonimo di spesa pubblica.
 

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  1. Fabio

    Mi permetto di sottolineare che in realtà, in Italia, il trasporto di viaggiatori su gomma è tutt’altro che maturo.
    La principale colpa di ciò è la normativa esistente che si ostina a considerare un settore a prevalente carattere nazionale/internazionale come prerogativa legislativa della Regioni.
    Ciò causa una incredibile disparità di regole all’interno del territorio nazionale con un preoccupante fenomeno di migrazione delle imprese verso le Regioni ove si ritiene ci siano norme più favorevoli.
    Inoltre, se si considera che il Ministero dei trasporti gestisce già da anni il registro elettronico nazionale (così come previsto dalle normative europee), che di per sé sarebbe sufficiente alla gestione del settore, si può comprendere quali ampi margini di sburocratizzazione e sviluppo del settore sia ancora possibile.
    Fabio

  2. stefano delbene

    Sarebbe certamente auspicabile un incremento del trasporto pubblico (intendendo con questo termine non la proprietà ma l’uso del mezzo) su gomma, anche per le peculiarità della dstribuzione e quindi della mobilità della popolazione italiana, che spesso non trova nel trasporto su ferro una risposta adeguata. Mi chiedo però se il boom verificatosi negli altri paesi non sia dovuto, più che alla liberalizzazione, al contemporaneo forte aumento del numero di persone a basso o bassissimo reddito (leggi immigrati). Negli USA il mitico sistema dei Greyhound (ed anche in UK, per quel che è la mi esperienza di studente, la National Express) ha rappresentato, più della ferrovia, la risposta al bisogno di mobilità dei ceti a basso reddito.

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