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Chi brinda col vino

Negli ultimi decenni il mercato del vino è significativamente cambiato. L’ingresso di nuovi protagonisti nella produzione e nel consumo ne ha modificato la geografia, aprendo inediti scenari caratterizzati da minacce ma anche opportunità di espansione. Almeno per le aziende che sanno coglierle.
Come è cambiata la geografia alcolica
Fino alla metà del Novecento il vino era prodotto quasi totalmente nel Mediterraneo occidentale e la quota degli altri paesi era trascurabile. Nella seconda metà del ventesimo secolo, però, la geografia del vino ha vissuto mutamenti senza precedenti. Si è assistito all’aggressiva entrata nel mercato di produttori del Nuovo Mondo (in primis Argentina, Australia, Cile, Nuova Zelanda, Stati Uniti e Sud Africa) e, con l’innalzamento delle barriere doganali e la fine del colonialismo francese, al drastico ridimensionamento di altri ormai affermati del Nord Africa, come l’Algeria e la Tunisia. Fino alla metà degli anni Ottanta, l’Europa ha prodotto stabilmente l’80 per cento del vino mondiale, nel 2011 la quota era scesa al 65 per cento. Dal lato della domanda, invece, si è verificato un processo di convergenza dei consumi che ha coinvolto sia i litri di alcol puro assunti – quindi i consumi totali indipendentemente dal prodotto – sia le preferenze verso le diverse bevande alcoliche disponibili sul mercato (figura 1). Nei paesi del Nord Europa aumenta la quota di alcol imputabile al vino, mentre per quelli dell’Europa mediterranea succede il contrario, cosicché oggi la quota di vino converge verso il 40-45 per cento sia a Nord sia a Sud. Nei prossimi decenni sarà interessante osservare se le parti si invertiranno, con paesi tradizionalmente bevitori di vino che finiscono per privilegiare birra e viceversa. I gusti e le abitudini dei consumatori non sono infatti immutabili nel tempo. Lo stesso fenomeno si osserva nei paesi del Nuovo Mondo. La costante crescita della domanda interna di vino in paesi come gli Stati Uniti, l’Australia e il Sud Africa ha svolto un fondamentale ruolo di traino dell’offerta nel Nuovo Mondo. Le neonate imprese vitivinicole di questi paesi hanno potuto beneficiare di una serie di vantaggi competitivi, tra i quali spiccano l’ampia disponibilità di terra, il basso costo della manodopera, il minore carico fiscale e la mancanza dei vincoli stringenti di natura sia geografica che tecnica imposti dalle denominazioni di origine nei paesi europei. I paesi del Nuovo Mondo, dunque, hanno maggiori economie di scala e libertà di sperimentare nuove tecniche agronomiche ed enologiche (tabella 1). Il risultato dell’introduzione di queste innovazioni è stato duplice. Il primo è il deciso abbattimento dei costi medi di produzione. Il secondo è l’incremento della qualità, al di là delle critiche circa la minore varietà ampelografica rispetto ai produttori storici europei e l’uso spesso eccessivo del legno (o dei suoi sottoderivati come i trucioli).
Consumatori più raffinati
Mentre i paesi del Nuovo Mondo vivevano una fase di espansione quantitativa e crescita qualitativa, nell’ultimo quarto del ventesimo secolo nell’Europa mediterranea si è assistito a un crollo dei consumi: secondo la Fao, dal 1970 al 2009 quelli pro capite sono diminuiti del 66 per cento in Francia, del 56 per cento in Italia, del 49 per cento in Portogallo e del 35 per cento in Spagna. Le determinanti principali del tracollo sono lo spostamento delle preferenze delle nuove generazioni verso altre bevande alcoliche (soprattutto birra, ma anche superalcolici), una maggiore consapevolezza degli effetti dannosi dell’alcol sulla salute e l’irrigidimento dei controlli e delle sanzioni per contrastare la guida in stato di ebbrezza. Per lungo tempo l’incremento dei consumi registrato nel resto del mondo non è stato sufficiente a compensare le perdite dei paesi mediterranei. Dalla fine degli anni Settanta alla metà degli anni Novanta il consumo mondiale è diminuito costantemente, mentre lo squilibrio tra domanda e offerta ha raggiunto il picco di quasi 65 milioni di ettolitri – pari a oltre il 20 per cento della produzione – nel quinquennio 1986-1990 (tabella 2). Il trend negativo si è finalmente invertito alla fine degli anni Novanta e si è così ridotto l’eccesso di produzione. A contrastare il declino del vino ha contribuito anche l’evoluzione dei gusti dei consumatori. In Europa il vino da tavola, di bassa qualità, per l’uso quotidiano ha perso importanza, mentre è cresciuta la domanda di bottiglie appartenenti alla fascia premium o super premium da parte di consumatori più esigenti e informati. In molti paesi del Nuovo Mondo, inoltre, il vino è considerato sinonimo di eleganza e consente di distinguersi dalla “massa” dei consumatori meno evoluti. L’incremento della qualità richiesta è andato di pari passo con l’aumento del prezzo medio corrisposto aprendo, per i produttori, nuove opportunità ma anche nuove minacce: i consumatori sono sempre più sofisticati, quindi chi non è in grado di offrire un buon prodotto a prezzi competitivi è destinato a scomparire. Al contrario della produzione, il volume delle esportazioni mondiali di vino è cresciuto costantemente: espresse in volume sono, infatti, quasi quintuplicate passando da poco più di due milioni di tonnellate nel 1961 a dieci nel 2011 con forte incremento sul totale prodotto (dal 10 al 35 per cento). Il settore dell’export, dunque, è sempre più fondamentale per le cantine di tutto il mondo. I motivi della repentina crescita delle esportazioni di vino sono essenzialmente tre. Il primo è da ricondurre alla riduzione dei consumi nei principali paesi produttori (mediterranei) che ha spinto le aziende autoctone a cercare all’estero un mercato di sbocco per le proprie eccedenze. Il secondo è legato all’incremento della domanda di vino da parte di paesi che tradizionalmente privilegiavano la birra o altre bevande alcoliche (Nord Europa e parte del Nuovo Mondo), secondo un processo di globalizzazione dei consumi che non riguarda solo il settore agro-alimentare. Il terzo è imputabile alla riduzione o eliminazione di dazi e barriere doganali a seguito di accordi internazionali e alla diminuzione dei costi di trasporto. Nel complesso, dunque, l’ingresso nel mercato di nuovi protagonisti sia della produzione che del consumo ha stravolto la geografia del vino aprendo nuovi scenari caratterizzati da minacce ma – per le aziende che sanno coglierle – anche opportunità di espansione.
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Quando il pullman conviene di più

  1. Bell’articolo. Tema importante. Interessante i dati sul consumo totale di alcol per paese. F, I e LX perfettamente allineati, D con tradizionalmente meno vino e più birra comunque ora convergente. Da figlio di produttore seguo (superficialmente) i dati macro del vino su tutto il lungo periodo preso in considerazione. Mi sembra evidente che (da noi, Italia e paesi produttori/consumatori tradizionali) la diminuzione del consumo pro capite di vino vada di pari passo con la produzione e il consumo di vino di qualità. In altre parole mentre (con dati un po’ vecchi) il consumo è calato da 100 a 50 L p.a. il fatturato del settore è sensibilmente aumentato. Il successo dipende quindi dalla tutela pubblica (legge), consorziale e privata (brand) della qualità e la repressione delle frodi (contenuti, processi, origini). Per una volta tutti ci guadagnano: i produttori che aumentano profitti e soddisfazioni, i consumatori che bevono meglio, ma meno spendendo solo un po’ di più (a meno di consumare la stessa quantità di alcol con il ‘sostituto’ birra …), e l’interesse pubblico (salute pubblica, sicurezza stradale, bilancia commerciale).

  2. Piero Fornoni

    Oggi vivo in Canada e dalla mia esperienza di moderato consumatore di vino quando non sono in Italia trovo buona qualita’ per un prezzo moderato in vini argentini, cileni, australiani, portoghesi, ex Europa comunista, americani e neozelandesi etc..Quando sono in Canada gli unici vini italiani che preferisco dal punto di vista prezzo/qualita’ sono gli spumanti italiani .
    Trovo molto conveniente come consumatore il vino in cartoni (con interno di plastica morbida) e spina “antiossidante” che non permette all’aria di entrare nel contenitore quando si versa il vino , mantenendone la freschezza e qualita’ per almeno 3 settimane.

    • bob

      ..un pò di tempo fà la trasmissione Report fece un servizo proprio sul Canada in cui negozi forniti di bustine+ acqua comune ti facevano qualsiasi tipo di vino italiano richiedevi : bustina+acqua agitati all’interno di contenitore …mi pare di cartone

      • andrea

        No, queste sono adulterazioni, quello a cui allude Fornoni è il Bag-in-Box (busta dentro una scatola di cartone), generalmente da 5 o 10 litri. Chi l’ha inventato meriterebbe il Nobel. Per un single, per un bevitore occasionale, per cucinare e per i vini di pronta beva sono una manna dal cielo! Sulla convenienza dei vini italiani, con un fisco ed una burocrazia allucinanti è difficile essere competitivi, ecco perché puntare sui vini di qualità è un atto dovuto. Però sull’alta gamma l’Italia ha prodotti straordinari e vitigni che nessun altro ha. Poi riuscire ad imporli sui mercati è un’altra storia. In Italia i consumi collassano, all’estero siamo troppo piccoli per farci conoscere…

  3. giancarlo

    Articolo bello e interessante. Preoccupa l’andamento descritto per chi come me, opera in Albania. Se diminuiscono i consumi mediterranei, cresceranno quelli balcanici ?

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