Non vi è alcun dubbio che si debba parlare di politiche economiche ed industriali anche a livello europeo, ovvero su come rilanciare la crescita in Europa ed in particolare in aree particolarmente depresse quali la Grecia. Ricordo di aver già scritto su questo sito riguardo al problema degli investimenti in Italia, quindi su temi economici legati alla non-crescita del nostro paese a prescindere dallo stato del sistema bancario locale.
Tuttavia, non si può prescindere dal fatto che non c’è sviluppo economico senza un sistema finanziario che funzioni bene.

Il completamento dell’unione monetaria, con una reale unione bancaria che abbia un fondo di risoluzione e di garanzia dei depositi comune, è una condizione essenziale proprio per evitare che il sistema bancario nei paesi con più alta capacità fiscale (quali la Germania) fagociti il resto dell’Eurozona. Non è un caso che ad opporsi a questi sviluppi sia stata la stessa Germania. Senza ‘fiscal backstop’ il sistema finanziario va alla deriva verso i paesi che possono sostenere lo sforzo fiscale di salvare le proprie banche. Ad esempio, l’Italia sarebbe difficilmente tra i paesi che potrebbero sostenere quello sforzo fiscale. Basta vedere il gap nel costo di finanziamento nel mercato interbancario di banche della periferia (incluse quelle italiane più solide) rispetto ad alcune banche del nord Europa che hanno simile rischio di credito. In un’unione monetaria questo non è accettabile. In effetti, la mancanza di questi strumenti ha anche messo la Bce in un angolo e limitato la sua funzione di “prestatore d’ultima istanza”. Il fallimento di uno stato membro non può trascinarsi dietro la moneta unica e la Bce dovrebbe essere lì per quello. Tuttavia, senza un supporto fiscale comune, la Bce non è autorizzata a finanziare anche indirettamente uno stato membro (tramite il supporto incondizionato alle ‘sue’ banche) e può solo restare a guardare e sperare che si trovi un accordo su come prolungare l’agonia della Grecia e del suo debito (e così il supporto fiscale alle banche locali). Senza unione bancaria, pertanto, sarà difficile anche parlare di cancellazione del debito greco. Purtroppo, se non si risolvono questi problemi che impongono un’attenzione con scadenze mensili, si ritornerà con difficoltà a discutere di politiche economiche e industriali regionali ed europee in una dimensione di lungo termine.
Per quanto riguarda il grafico sulla fuga dei capitali. Come sottolineo nel testo, la fuga è iniziata già a fine 2014, ma si trattava comunque di una fuga in linea con quello che era già avvenuto in alcuni mesi del 2010 e 2011. La liquidità di emergenza della Bce era riuscita a tamponare bene la crisi fino ai colloqui di giugno. La decisione di rompere il negoziato e lanciare il referendum ha scatenato una vera e propria corsa dalle dimensioni molto più grandi di quella che abbiamo visto fino al maggio scorso, causando così l’introduzione di restrizioni al movimento dei capitali. Non volevo esprimere nessun giudizio se il referendum sia stata una scelta giusta o sbagliata.

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