Nel Cinquecento, le determinanti più importanti del prezzo di un quadro erano la dimensione e il numero dei soggetti rappresentati. Reputazione e compensi aumentavano con l’età. Michelangelo, Raffaello e Tiziano ai vertici della classifica del valore di mercato degli artisti all’epoca.
Più grande il quadro, più alto il prezzo
Già in passato ci eravamo occupati di come si determina il prezzo di un’opera d’arte, concentrandoci sulla valutazione odierna di capolavori del passato. Qui cerchiamo di capire, invece, quali erano le determinanti del prezzo al tempo in cui i grandi dipinti del Rinascimento venivano realizzati. Esisteva un vero e proprio mercato dell’arte ai tempi di Michelangelo? Oppure il talento trovava una sua valorizzazione intrinseca? Del tema si occupa Federico Etro, dell’Università Ca’Foscari che, con un lavoro certosino, ha costruito un dataset di più di trecento osservazioni (per il momento) che raccoglie informazioni su prezzo effettivo pagato dal committente a un pittore per un’opera d’arte; dimensione del quadro; numero delle figure rappresentate nell’opera; regione del committente e del destinatario; anno di realizzazione. Attraverso un modello statistico, l’obiettivo è trovare le determinanti del prezzo di un’opera d’arte dei secoli passati. Il dataset comprende opere che vanno dal 1250, con una Madonna di Duccio da Buoninsegna, fino al 1550, con un’Assunzione di Lorenzo Lotto. Il prezzo è espresso in fiorini d’oro, la moneta corrente per il pagamento di un quadro all’epoca. Potrà apparire poco romantico, ma la realtà dei numeri mostra l’esistenza di vere e proprie forze di mercato e di un impatto non banale giocato da variabili decisamente prosaiche. La tabella 1 riporta in sintesi le principali variabili studiate, con i loro coefficienti.
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Le determinanti più importanti del prezzo di un quadro, nel Cinquecento, risultano essere la dimensione e il numero di soggetti rappresentati, probabilmente indicativi dello sforzo del pittore e dell’incentivo a realizzare l’opera sostenendo anche costi maggiori. Considerando il ciclo di vita di un artista, l’effetto della sua età sembra avere un andamento quadratico: al crescere dell’esperienza, un quadro viene valutato di più, ma, oltre la soglia dei 48 anni, l’impatto sembra annullarsi. Ci sono due fattori da tenere qui in considerazione: la reputazione che cresce nel tempo e un semplice “imparare facendo”. L’effetto finale è una specie di mix tra i picchi di creatività giovanile di un Raffaello o un Masaccio e quelli più vicini al tramonto di artisti come Michelangelo o Tiziano. Un risultato interessante è che non sembrano esserci effetti legati alla qualità del quadro tra regioni di destinazione dell’opera, come tra centri artistici minori o maggiori. Quello che pare emergere è, invece, un vero e proprio mercato regolato da forze autonome, la cui profittabilità cresce nel Cinquecento rispetto al secolo precedente, insieme tra l’altro alle grandi innovazioni apportate in pittura (dall’introduzione della prospettiva alle tecniche di Leonardo). Sarebbe interessante verificare qui la direzione di causalità.
La classifica dei più pagati
Etro studia anche la profittabilità della professione di artista, controllando per il costo della vita dell’epoca (approssimato dal prezzo delle derrate agricole e del grano, che costituiva un alimento base). Ne risulta una distribuzione degli indici di prezzo che non è troppo sbilanciata a favore dei “grandi”. Essere Michelangelo, insomma, non dava tutto questo vantaggio rispetto a un anonimo Neri di Bicci. L’analisi contiene anche, come controllo, le speciali valutazioni fatte da Giorgio Vasari (primo storico dell’arte vissuto nel Cinquecento) sui pittori della sua epoca, descritti nel suo celebre Vite de’ più eccellenti pittori. L’evidenza empirica mostra un’interessante e comprensibile distorsione dei giudizi a favore dei pittori fiorentini. In una versione più completa del modello, dove si prendono in considerazione anche le caratteristiche individuali dei vari pittori, si arriva a costruire una speciale classifica del valore di mercato degli artisti che, nella “top tre”, vede Michelangelo, Raffaello e Tiziano. La supremazia del pittore urbinate trova conferma attraverso una mappatura della rete sociale dei pittori del Cinquecento, che ho personalmente costruito con il supporto dello storico dell’arte Massimo Romeri, calcolando un indicatore chiave per l’analisi delle reti sociali – la betweenness centrality (la centralità di un nodo in una rete). E la figura 1 rappresenta la centralità proprio di Raffaello nel network dei pittori rinascimentali.
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L’analisi empirica di dati così interessanti è solo agli inizi, ma è interessante andare a studiare il contesto di un mercato fervido, quale quello dei pittori rinascimentali.
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Se uno confronta una crocifissione giovanile di Raffaello (figura 2) con l’ultima opera a lui attribuibile (figura 3), al di là dell’evoluzione effettiva del talento del grande pittore, può acquistare un senso tutto nuovo il ruolo esercitato dal numero di figure rappresentate. Lasciando da parte le esigenze sceniche e di rappresentazione, c’era una bottega intera da mandare avanti che necessitava di sempre più fiorini. E personalmente ho sempre trovato quella Trasfigurazione un po’ affollata…

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