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Il Papa, il popolo e le banche

Nell’ultima enciclica di Papa Francesco sono contenute importanti riflessioni sul ruolo delle banche. Bisogna però considerarle nel contesto delle regole che governano il sistema bancario e la soluzione delle crisi legate ai salvataggi (e ai soldi) pubblici. Giusta dose di finanza per la crescita.

Le parole del Papa
L’enciclica di papa Francesco contiene alcune importanti considerazioni sul ruolo della finanza. Quella che ha avuto maggiore risvolto mediatico è che non si possono salvare le banche facendo pagare il prezzo alla popolazione.
In realtà, il racconto dell’enciclica è decisamente più articolato e motivato: il pericolo è che il salvataggio a ogni costo delle banche, “senza la ferma decisione di rivedere e riformare l’intero sistema, riaffermi un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi dopo una lunga, costosa e apparente cura” (p. 144).
In sostanza, non si è imparata la lezione della crisi e ci ritroviamo “una finanza che soffoca l’economia reale” (p. 85). Sono passaggi significativi nell’impianto complessivo dell’enciclica, difficile da riassumere, ma comunque tutto teso a valorizzare un diverso modello di sviluppo, basato su un approccio integrale, ecologico e responsabile molto attento alle tematiche della povertà e dell’inclusione sociale, dove, sono sempre le parole del Papa, “in ogni discussione riguardante un’iniziativa imprenditoriale si dovrebbe porre una serie di domande per poter discernere se porterà ad un vero sviluppo integrale: per quale scopo? Per quale motivo? Dove? Quando? In che modo? A chi è diretto? Quali sono i rischi”? (p. 124).
Il popolo e i salvataggi bancari
Per declinare il ruolo della finanza in funzione di questi obiettivi è, però, necessario adottare una narrazione, sicuramente più cruda e immediata di quella papale, ma forse più efficace. Innanzitutto, e per quanto possa apparire sgradevole sentirselo dire, le banche bisogna salvarle proprio con i soldi della popolazione.
La lunga storia delle crisi insegna, come diceva Paul Krugman, che gli stati moderni non possono permettersi che vedove e orfani perdano i risparmi solo perché li hanno messi nella banca sbagliata, e la collettività, cioè tutti noi, se ne deve far carico. Naturalmente, nell’evoluzione della regolamentazione il principio ha subito e subisce molti adattamenti. Ad esempio, cercando di salvaguardare solo vedove e orfani e non chi ha molti più soldi, o trovando soluzioni di mutualità interne al sistema bancario, oppure ancora facendo pagare le crisi non solo agli azionisti, ma anche ai creditori forti (proprio in questi giorni il parlamento ha recepito le norme comunitarie che si muovono in questa prospettiva) e naturalmente separando con chiarezza il destino dei banchieri che combinano guai dalle banche che vanno risanate. Ma alla fine se tutto ciò non basta – e, viste le caratteristiche e dimensioni degli intermediari e le fragilità dei mercati, non sono affatto ipotesi lontane – in ultima istanza toccherà sempre ai contribuenti, cioè a noi, tirare fuori i soldi, perché per il particolare rapporto di fiducia che la lega ai risparmiatori, per l’essere il perno essenziale dei sistemi di pagamento e soprattutto per i grandi rischi di contagio del virus anche verso chi sta bene, una banca non può fallire. La storia, quella antica, recente e anche recentissima (quanto può durare un paese con le banche chiuse e con la pancia piena di titoli di stato che non valgono più niente?) ci insegna che dobbiamo abbandonare ogni facile populismo e rassegnarci al fatto che, alla fine, il popolo le banche le deve salvare.
L’interesse dei cittadini
Proprio per questa ragione, però, il primo interesse del popolo è quello di avere un efficace e completo sistema di regole che garantisca la stabilità delle banche e prevenga nella misura più ampia possibile i pericoli di insolvenza. E qui entrano in gioco le altre considerazioni di papa Francesco, importanti, ma forse un po’ troppo drastiche.
Non è proprio vero che non si è imparata la lezione della crisi, anzi nella storia le crisi, con la scia di sofferenze che si portano dietro, hanno avuto sempre la funzione di sveglia per legislatori sonnolenti e anche questa volta non si può certo dire che si sia rimasti con le mani in mano.
Pur con tutte le difficoltà, le contraddizioni, i compromessi e le resistenze lobbistiche, non si possono disconoscere alcuni effettivi progressi: ci sarebbe stato qualcuno pronto a scommettere cinque anni fa sulla nascita di un apparato di vigilanza europeo, che oltretutto funziona anche abbastanza bene? Certo, bisogna fare ancora molto, ad esempio sul terreno delle attività speculative, o delle misure per disciplinare l’oscuro territorio delle “banche ombra”, ma soprattutto, qui il Papa ha perfettamente ragione, bisogna fare molto per ricondurre la finanza al suo ruolo principale, quello non di soffocare, ma di dare aria ed energia all’economia reale.
E qui un piccolo consiglio di un’utile lettura integrativa dell’enciclica. È da poco uscito un policy paper dell’Oecd, Finance and inclusive Growth che dimostra l’importanza del settore finanziario come potente ingrediente per lo sviluppo economico e l’inclusione sociale. Ma, dati alla mano, dice anche che ci vuole la giusta dose: se la finanza cresce troppo ha infatti effetti negativi sia sulla crescita che sulla redistribuzione del reddito. In sostanza, come le vitamine: sono necessarie, ma troppe fanno male.

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12 commenti

  1. Savino

    Ricordiamo, in maniera elementare, che le banche senza il popolo non esisterebbero. Quindi, per piacere, le banche svolgano la loro funzione storica di credito ad imprenditori e famiglie (a partire dai mutui casa).
    Da codice civile, è chi ha capitale che deve rischiare (imprenditori e imprenditori del credito in particolare).
    Il rischio è con il capitale proprio e non con il capitale di tutti.
    La crisi nasce perchè si è fatto, invece, rischiare tutto a chi non aveva nulla.

  2. Antonio

    Purtroppo non è facile accettare il fatto che il risparmio che si ottiene non salvando una banca è di gran lunga inferiore al prezzo da pagare (in termini non solo monetari) per un suo fallimento.

  3. Umbe

    Bravo.
    Molto chiaro e corretto.
    Con la consapevolezza che il suo impianto regge solo considerando tutte le singole parole e frasi…senza riassunto alcuno!

  4. Rainbow

    Qualcosa è stato fatto ( naturalmente meno di quello che ci si attendeva, ma è pur sempre qualcosa) anche negli U.S.A, il Frank-Dodd act varato da Obama nel 2010 ha regolamentato e limitato l’attività speculativa delle grandi banche d’affari americane e dei derivati “over the counter”.

  5. Michele Giardino

    Tutto profondamente razionale e giusto. Il problema è farlo capire ad elettorati privi delle più elementari nozioni di finanza ed economia monetaria.
    Nel vuoto ben noto e ormai angosciante di leaders, ne gode il populismo ignorante e urlato di newcomers della politica che vendono bene la propria immagine reiterando con parole sempre più violente il peggio delle paure e delle idiosincrasie correnti, con i media che da tempo hanno perso il senso della propria esistenza ed essenza.ad amplificare .vergognosamente il vuoto di idee e il pieno di stupidaggini che avrebbero l’obbligo di riportare alla realtà. .
    Auspica la rovina delle banche chi ignora cos’è una banca, perché esiste e di che cosa vive: per convincerlo servirebbero personalità, che non abbiamo più da tanto tempo, in grado di ottenere consenso su ciò che è di interesse generale con il prestigio e l’autorevolezza che spiazza i tanti che lo dipingono come il suo contrario.
    E’ un aspetto, certo importante, ma solo un aspetto, di una crisi di sistema che ci affligge da più di 40 anni e non allenta la presa..

  6. Marco

    Interessanti le considerazioni economiche.
    Non capisco perché bisogna partire dal papa, che non ha alcun titolo in materia. Tutte le critiche alla politica economica attuale vertono sul salvataggio delle banche con soldi pubblici, senza bisogno di citare il papa.

    • bob

      …perchè è una questione morale! Quale titolo dovrebbe avere il papa? Leggendo lei direi che oltre che una questione morale è anche una questione di spicciola cultura….!

  7. Leprenellaluna

    Non credo sia necessario possedere titoli in materia per invitare e ricondurre a riflessioni profonde e a quel provvidenziale buon senso che potrebbero indicare soluzioni concrete. Certo, tutto ciò stride con il politicamente corretto “qualificato” di Governi e addetti ai lavori che, intenti ad analizzare il mondo dall’alto alla ricerca di rimedi rispettosi dei poteri forti, perdono di vista (distrattamente?) l’economia reale e gli affanni di chi sopravvive a stento. Non so se Savino ha titoli in materia, ma la sua disarmante semplicità sembra cogliere nel segno. Papa Francesco non sembra voler pontificare ma riflette accoratamente sulle gravi ferite inferte all’Umanità e all’Ambiente da un imperversante e imperante egoismo di corte vedute, capace di esprimere solo superficialità e insensibilità.

  8. Marco Bat

    Non condivido la tesi dell’autore che le banche devono essere salvate dal popolo solo per il fatto che il popolo è anche un correntista. Il punto non è salvare le banche ma non permettere alle banche di effettuare operazioni rischiose tra cui sottoscrivere per conto proprio titoli spazzatura (eventualmente da piazzare alla clientela ignara) o entrare in posizioni speculative sui derivati per coprire errori di gestione o peggio tenersi in pancia le partecipazioni.

  9. Alfredo Pisano

    Non concordo affatto col fatalismo dell’autore. Le banche come tutte le imprese private svolgono attività di rischio e se va male non si può pretendere che la collettività si addossi le scelte sbagliate (spesso spericolate) di certi istituti di credito. Il mercato non dovrebbe essere una selezione naturale? Bene allora si lasci che siano le aziende migliori a sopravvivere e se soldi pubblici devono essere sacrificati, beh che vengano elargiti ai risparmiatori che ci hanno rimesso del loro (una sorta di cassa integrazione bancaria), anzichè ricapitalizzare gli istituti di credito.

  10. Mario Bovina

    Quindi funzionerebbe così, se ho ben capito:
    quando le banche fanno utili (non importa, ovviamente, se applicando ai correntisti interessi anatocistici – finchè hanno potuto – commissioni di massimo scoperto – finchè hanno potuto – o piazzando loro titoli spazzatura, o “imponendo” swap rovinosi spacciati per assicurazioni sui tassi , o rifilando derivati catastrofici alle pubbliche amministrazioni) ecco, allora è giusto che di quegli utili stessi godano azionisti e manager pagati con emolumenti immorali. Se però le banche perdono, le perdite sono invece ineludibilmente a carico della collettività. Ciò peraltro in un contesto che vede un profluvio di norme di favore per il sistema bancario emanate a ciclo continuo da una politica di fatto asservita.
    In effetti credo proprio sia vero, funziona così. Ma questo non è un sistema che si deve o si può fatalisticamente accettare; no, davvero non lo è; è invece un sistema malato che ha sovente dato luogo a catastrofi sociali e pratiche criminali (nonostante le leggi di favore) e che deve pertanto essere combattuto e imbrigliato con ogni strumento a disposizione. E si potrebbe cominciare col principio che se una banca di fatto fallita la salvano i cittadini, dopo è di proprietà dei cittadini.

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