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Prodotti finanziari: semplificare aiuta, ma non basta

Se l’informazione su un prodotto finanziario è complessa, aumenta la percezione del rischio nell’investitore. Tuttavia, limitarsi a semplificare i prospetti informativi non è sufficiente. Il ruolo importante di educazione finanziaria mirata e consulenti per aumentare trasparenza e consapevolezza.

Il comportamento degli investitori
Gli studi di finanza comportamentale mostrano che le scelte di investimento degli individui sono influenzate dal rischio percepito. Che, a sua volta, è condizionato da caratteristiche socio-demografiche, livello di educazione finanziaria, distorsioni comportamentali e, non ultimo, dalla rappresentazione dell’informazione finanziaria. Le modalità di presentazione dell’informazione finanziaria sono considerate ormai così importanti che la Commissione europea si è avvalsa delle evidenze di un test sui consumatori per definire i documenti informativi sintetici di Ucits (Undertakings for the collective investment in transferable securities) e Priips (Packaged retail and insurance-based investment products http://ec.europa.eu/finance/finservices-retail/investment_products/index_en.htm). Alcune autorità nazionali (ad esempio, la britannica Fca-Financial Conduct Authority e l’olandese Afm-Autoriteit Financiële Markten) si sono spinte oltre, applicando le indicazioni delle scienze cognitive.
Anche in Italia, il consumer testing condotto da Consob e Università Politecnica delle Marche fornisce indicazioni interessanti sulla relazione tra rappresentazione dell’informazione, rischio percepito e scelte d’investimento. Il test ha coinvolto un campione rappresentativo di 254 investitori retail italiani. Ai partecipanti sono state sottoposte schede prodotto relative a quattro tipologie di strumenti finanziari reali: un’obbligazione strutturata in circolazione, un’obbligazione strutturata di nuova emissione e due azioni. Il livello di rischio dei prodotti è stato rappresentato secondo quattro modalità alternative: una formulazione sintetica, basata su un indicatore aggregato dei rischi di mercato, liquidità e credito; una formulazione dettagliata, basata sull’esposizione di più indicatori qualitativi e quantitativi di rischio (volatilità storica e Var per il rischio di mercato; turn-over ratio per il rischio di liquidità; il rating Moody’s e la probabilità di fallimento dell’emittente o Edf per il rischio di credito); una formulazione basata su scenari di risultato (rispettivamente what-if e modellistica dei rendimenti attesi). I prodotti, la relativa tipologia e l’associazione di ciascuno a modalità di rappresentazione alternative sono stati mantenuti celati per buon parte dell’esperimento, per non creare pregiudizi di classificazione mentale. Per ciascuna rappresentazione gli investitori hanno espresso un giudizio su: i) complessità, utilità e contenuto informativo delle schede; ii) rischio percepito; iii) disponibilità a investire.
I risultati del test italiano
Benché ci siano differenze di giudizio guidate da caratteristiche socio-demografiche e tratti culturali, la scheda ritenuta mediamente meno complessa e più utile alle scelte di investimento è quella sintetica, seguita dal format dettagliato e da quelli basati sugli scenari di risultato.
Sul rischio percepito, la maggior parte dei soggetti, non è stata in grado di individuare correttamente il prodotto più rischioso sulla base delle schede visionate. Ad esempio, per rappresentazioni diverse dello stesso strumento finanziario gli investitori non hanno compreso (salvo poche eccezioni) che le schede si riferivano allo stesso livello di rischio. Inoltre, mentre la scheda dettagliata ha registrato la maggiore percentuale di risposte corrette nell’inquadramento del rischio sotteso al prodotto (tra il 30 e il 40 per cento circa), lo stesso rischio tende a essere più di frequente sovra-stimato con la scheda what-if (72 per cento) e più spesso sotto-stimato con la modellistica sui rendimenti attesi (49 per cento). In generale, al crescere della complessità percepita di una determinata rappresentazione finanziaria, si rileva un aumento del rischio percepito associato al prodotto (pur trattandosi sempre dello stesso prodotto).
La complessità percepita influenza anche la disponibilità a investire nel prodotto (date circostanze predefinite in termini di risorse, orizzonte temporale e obiettivo di investimento), secondo una relazione inversa. A parità di condizioni, tuttavia, la disponibilità a investire sembra aumentare per i soggetti che dichiarano di essere stati colpiti da uno o più elementi della scheda (sia informativi sia di lay-out), a testimonianza del ruolo che l’informazione può avere se viene ritenuta saliente.
La complessità percepita, dunque, è il principale fattore che influenza i comportamenti individuali. Tuttavia, la percezione non è guidata solo dalla rappresentazione dell’informazione, ma anche dalle caratteristiche degli investitori. Ad esempio, maggiori conoscenze finanziarie sembrano associarsi in media a una minore complessità percepita e a una minore indecisione degli intervistati chiamati a esprimere un giudizio sul rischio del prodotto: i più decisi, però, spesso identificano erroneamente il rischio, probabilmente a causa di un atteggiamento di “eccesso di fiducia”. Così come decisioni di investimento e contatti con l’intermediario più frequenti si associano alla percezione di una maggiore semplicità delle schede e a una più elevata disponibilità all’investimento.
L’evidenza suggerisce, dunque, che la semplificazione dell’informativa sui prodotti finanziari non necessariamente implica una migliore percezione del rischio. La scheda-prodotto ideale non esiste e l’approccio di un unico strumento valido per tutti può non assicurare adeguate tutele all’investitore retail. Quanto alle indispensabili iniziative di educazione finanziaria, devono essere modulate in modo adeguato, per non dare spazio a eventuali pregiudizi comportamentali che un più elevato livello di conoscenza finanziaria può contribuire ad acuire (come ad esempio l’eccesso di fiducia). E non può mai essere trascurata la centralità della relazione intermediario-cliente nell’educare e orientare correttamente l’investitore alla comprensione dell’informazione finanziaria.
 

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  1. Ottimo articolo. Dovreste anche informare i vostri lettori che tipicamente il grafico di payoff di un prodotto strutturato e’ – intenzionalmente o no – errato: si compara l’andamento dell’indice (senza i dividendi) con quello del prodotto (che include i dividendi) a scadenza. Fatemi sapere se volete altri chiarimenti.

  2. Leo

    Semplificare i prospetti informativi non aiuta ma standardizzarli sicuramente sì.
    Vorreste un medico che di volta in volta cambia la narrazione dei vostri malanni al solo scopo di vendere bene e a caro prezzo i propri servizi professionali? Senza informarvi seriamente e adeguatamente sul vostro stato di salute?
    Chiedere altresì che ogni paziente diventi un medico per poter capire quello che il professionista gli propina è un modo truffaldino per lasciare le cose invariate.
    Il risparmiatore tipo non ha nè tempo, nè voglia, nè possibilità di diventare un mago della finanza!

  3. Andy McTREDO

    Per quanto possa essere interessante la semplificazione/standardizzazione dei prospetti informativi il problema è artificiale: non servono a niente, se non a cercare di evitare contestazioni in sede processuale. Basterebbe stabilire per legge che qualunque contratto bancario-finanziari “atipico” è sempre ad esclusivo rischio del sottoscrittore/risparmiatore, mentre al contrario i contratti “tipici” sono disciplinati dalla legge e quindi conosciuti da tutti per definizione. Infatti, e parlo per esperienza personale, il risparmiatore quando investe o colloca i propri soldi “si fida”, non cerca quasi mai di comprendere quello che sta facendo, e questo per svariati motivi (incapacità, svogliatezza, pigrizia fisica e mentale) e si affida ad indicatori empirici di “rischiosità” (qualora ne abbia sentore) come ad esempio : il numero di firme da fare nel contratto , il numero delle pagine del contratto, quanto in piccolo è scritto il contratto, ecc.ecc. E non sempre è “razionale” infatti vorrebbe bassi tassi di interesse sul muto casa e alti tassi di rendimento sui BTP (che spesso chiama BOT), spesso giudica più sicure banche e/o assicurazioni dello Stato, fino a ritenere più sicuri i sui euro nel materasso piuttosto che in un deposito bancario…. (e se però in quest’ultimo caso avesse ragione?).

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