La legge di Stabilità per il prossimo anno contiene tagli alle tasse che non sono compensati da riduzioni di spesa. Il nostro paese dovrebbe invece approfittare del quantitative easing per far calare il debito in modo significativo. L’illusione dello scampato pericolo e l’esempio del Canada.
Tagli alle tasse e riduzioni di spesa
La legge di Stabilità 2016 appena presentata dal governo costituisce l’ennesimo rinvio al domani delle correzioni alla spesa pubblica che si sarebbero dovute fare ieri. Il governo promette tagli alle tasse senza che a questi corrispondano sufficienti riduzioni di spesa. Ancora una volta le conclusioni di una spending review vengono in gran parte accantonate. Il ministro dell’Economia italiano si trova a “negoziare” con Bruxelles una minor riduzione del deficit, ormai una consuetudine, che peraltro crea il rischio di un trattamento iniquo dei paesi con minor peso politico nell’Unione. Meglio sarebbe semplicemente rispettare pienamente le regole europee sottoscritte anche dall’Italia.
È forse troppo tardi per convincere Matteo Renzi a modificare la composizione dei tagli alle tasse e probabilmente pure a ridurne l’entità. La stragrande maggioranza degli economisti sostengono che l’ordine di priorità sia, in questi casi, il seguente: prima lavoro, poi consumo, ultima la proprietà. Per creare occupazione e crescita, uno sgravio del costo del lavoro è la strada più diretta e sicura. La strategia di Renzi è chiara: tagliare le tasse sulla casa subito gli permette di conquistare definitivamente i voti che nel passato erano confluiti su Silvio Berlusconi. Assicuratasi la stabilità politica, il presidente del Consiglio potrà abbassare altre tasse negli anni successivi. Tuttavia, affinché la strategia possa funzionare, la spesa e il debito pubblico devono essere ridotti in relazione al prodotto interno lordo. Inoltre, i tagli non possono essere lineari, ma devono concentrarsi sulle spese meno necessarie a sostenere la crescita economica. L’Italia rimane infatti sorvegliato speciale dei mercati finanziari, proprio per l’alto debito e la crescita tra le più basse al mondo negli ultimi vent’anni.
L’illusione che il pericolo sia passato
La spirale “alti tassi d’interesse-debito pubblico” che nel 2011-12 rischiava di portare l’Italia al default è stata interrotta dal “whatever it takes” di Mario Draghi e successivamente dal quantitative easing della Banca centrale europea. È importante non dimenticare la lezione di quel passato alquanto prossimo: basta poco a riportare rapidamente l’inviso spread a livelli pericolosi. La politica monetaria europea non resterà espansiva per sempre e in ogni caso sarebbe insufficiente a garantire un basso costo di finanziamento del debito qualora imprevisti politici o economici tornassero ad aumentare l’incertezza degli investori italiani e stranieri. Lo dimostra, se ce ne fosse ancora necessità, il cospicuo aumento dello spread spagnolo in corrispondenza delle elezioni in Catalogna.
Analizzando i dati delle cinquanta maggiori economie durante i due secoli passati si dimostra che le crisi di debito sono più frequenti quando la crescita economica di lungo periodo (quella che gli economisti chiamano potenziale, per distinguerla dal ciclo economico di espansioni e recessioni) cala senza che gli uomini politici se ne rendano conto o ne accettino le conseguenze. La reazione più comune è quella di tentare un ulteriore stimolo fiscale sperando che il ciclo economico migliori, quando in realtà un calo nella crescita economica di lungo periodo ci rende tutti meno ricchi di quanto pensassimo, riducendo di conseguenza le spese su beni e servizi pubblici che lo stato si può permettere. lnoltre, l’analisi statistica dimostra che la discesa dei tassi d’interesse causa un rilassamento dell’aggiustamento fiscale (un taglio minore del deficit primario, cioè del deficit al netto degli interessi).
È probabile che l’Italia oggi si trovi in questa situazione: bassi tassi d’interesse che danno l’impressione di un’emergenza ormai scampata, ed eccessivo ottimismo riguardo al tasso di crescita nel prossimo decennio. Il gufismo è controproducente, ma non bisogna neanche ignorare la storia economica o sperare in un rilancio di crescita al di là di quanto sia realistico. Se l’Italia non coglie l’occasione offerta dal quantitative easing per iniziare a ridurre il debito, continueremo a correre rischi.
A chi fosse scettico sulla possibilità di limitare la spesa pubblica in modo sensato è utile ricordare il caso del Canada che ridusse il rapporto tra il debito pubblico netto e il Pil dal 70 per cento di inizio anni Novanta (all’epoca, il secondo più alto fra le grandi economie industrializzate, dopo l’Italia) al 35 per cento nel 2007-8, grazie a una spending review ben motivata e messa in pratica. Il Canada non è Marte, anzi: ha una situazione politica complessa con il movimento separatista del francofono Quebec. Nonostante le difficoltà, il governo di Jean Chretien e Paul Martin si opero’ a spiegare ascoltare dibattere, coinvolgendo cittadini, parti sociali, e rappresentanti di vari interessi economici e politici, e fu in grado di ottenere consenso e convincere l’elettorato riguardo alle modalità del piano di riduzione della spesa. In Italia le spending review sono state molteplici e hanno generato proposte valide. È il momento opportuno per metterle in pratica.
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Piero Fornoni
L’Italia in questo momento sta crescendo meno del 1% annuale pur avendo il vento in poppa dovuto principalmente agli interessi ai minimi storici ed al calo delle materie prime ed ad un principio di riforme strutturali.
Anche se questa fortunata (per l’Italia ) combinazione dovesse continuare , l’ Italia se non vuole che il suo debito continui ad aumentare deve tagliare le spese e non puo’ sprecare neanche un centesimo perche’ il suo total dependency ratio e’ passato dal 53% del 2011 al 56.5% di oggi e continuera’ a crescere nei prossimi anni . Per fare dei confronti il Canada ha un total dependency ratio del 47.3% ,la Spagna del 50.8%.
Invece di litigare con la commissione europea il governo ed il parlamento dovrebbero attuare le proposte illustrate dalle varie spending reviews e mai attuate.
Lorenzo
“… il governo di Jean Chretien e Paul Martin si opero’ a spiegare ascoltare dibattere, coinvolgendo cittadini, parti sociali, e rappresentanti di vari interessi economici e politici …”
Gli italiani seguirono Berlusconi.
Enrico Motta
Questa Legge di stabilità avrà tanti difetti e errori, ma un pregio ce l’ha: dopo anni in cui giornalisti, politici ed economisti si sono lamentati di politiche poco espansive o che “strozzavano” l’Economia, è bastata questa proposta di legge espansiva in deficit, perché molti tornassero a preoccuparsi dei conti pubblici disastrati. Era ora! In questo senso siamo davvero di fronte a una svolta
Michele
Una legge di Stabilità che sacrifica le prospettive future sull’altare del facile consenso politico a breve. Un’altra occasione persa.
AM
Condivido pienamente il punto di vista dell’autore
Alessandro
Piena condivisione con la valutazioni dell’autore. Non e’ certo con 13 miliardi di deficit che l’economia italiana puo’davvero ripartire. Che l’austerita’ fine a se’stessa vada superata e’ indubbio; ma in questa legge di stabilita’sono sbagliati sia gli obiettivi sia i mezzi. Gli obiettivi, perche’la riduzione del carico fiscale e’piu’efficace (ed equa) se attuata sul lavoro e non sugli immobili (per rilanciare il mercato immobiliare occorre piuttosto una forte riduzione delle imposte sulle compravendite); i mezzi, perche’ tale riduzione non viene finanziata con la famosa spending review per la quale il buon Cottarelli e’stato ingaggiato, salvo poi ignorare in toto il suo lavoro e le sue conclusioni. Spiace che un economista serio come Padoan si sia rimangiato certi principi, dimenticandosi dell’equivalenza ricardiana (ogni riduzione fiscale in deficit nel breve periodo si traduce in maggiori tasse future). Cordiali Saluti