Le amministrazioni pubbliche possono attribuire incarichi a tempo determinato a esterni di comprovata esperienza. Non di rado però li affidano a loro stessi funzionari, senza concorso o verifica delle competenze. Nasce così il caso dei dirigenti delle agenzie fiscali. Pessime prassi e norme ad hoc.
I paradossi figli di un’aberrazione giuridica
Il caso dei dirigenti delle agenzie fiscali è l’emblema delle conseguenze che derivano da modi non lineari di intendere e applicare le regole.
Alla base della questione c’è un’aberrazione giuridica, che deriva da una prassi e da una legge sotto molti aspetti poco giustificabili e che ha portato alla sentenza della Corte costituzionale. La Consulta ha infatti sancito l’illegittimità della norma posta a reiterare ad libitum il conferimento di incarichi dirigenziali senza concorso a funzionari delle agenzie.
La prassi è quella di attribuire incarichi dirigenziali a funzionari del medesimo ente che li conferisce, senza sottoporli a concorsi selettivi e ponendoli in aspettativa. La norma, intervenuta successivamente all’instaurazione della prassi allo scopo di “sanarla” e anzi svilupparla, è l’articolo 19, comma 6, del decreto legislativo 165/2001 – il testo unico di disciplina del rapporto di lavoro alle dipendenze della pubblica amministrazione.
Le aberrazioni sono almeno due. La prima: la norma consente alle amministrazioni pubbliche di affidare incarichi dirigenziali a soggetti esterni alla propria dotazione, previa verifica dell’assenza delle professionalità al proprio interno e a condizione che gli incaricati dispongano di comprovata e qualificatissima esperienza: infatti, destinatari degli incarichi “esterni” dovrebbero essere professori o ricercatori universitari, dirigenti di altre amministrazioni, magistrati, avvocati dello Stato, persone provenienti da esperienze dirigenziali del privato e comunque soggetti dotati di una speciale qualificazione, attestata anche da pubblicazioni scientifiche e titoli postuniversitari. Tuttavia, la medesima norma consente contestualmente di incaricare come “esterni” funzionari “interni”, spesso selezionati prescindendo del tutto dal possesso di quei titoli o di quello status che dovrebbero giustificare l’incarico. È evidente la contraddizione nel considerare “esterno” chi fa già parte dell’organico.
La seconda incongruenza è conseguenza della prima. Si ammette, infatti, che un medesimo dipendente conduca contemporaneamente due rapporti di lavoro con lo stesso datore: quello di funzionario, quiescente per effetto dell’aspettativa, e quello dirigenziale a tempo determinato. Si tratta di una situazione lavorativa paradossale, impensabile in qualsiasi organizzazione privata.
Il tutto produce un ulteriore paradosso: i circa quattrocento funzionari ai quali è stato revocato l’incarico dirigenziale che promuovono ricorsi davanti al giudice del lavoro, chiedendo il riconoscimento della conversione dei loro incarichi a tempo determinato in assunzione a tempo indeterminato con la qualifica dirigenziale, lamentando la precarizzazione derivante dall’inanellamento durato anni e anni (la prassi si prolunga dal 2001) degli incarichi a contratto ricevuti.
È comprensibile il tentativo di tutela giudiziale degli interessati, ma è forse il risvolto più incongruo dell’intera vicenda. Sui media molte volte si qualificano gli interessati come “dirigenti degradati a funzionari”. Le cose non stanno affatto così. La normativa dimostra il contrario: si tratta di funzionari illegittimamente (secondo Tar Lazio, Consiglio di Stato e Corte costituzionale) “promossi” a dirigenti, richiamati a svolgere le loro mansioni da funzionari, che è la loro qualifica di appartenenza.
Sui ricorsi deciderà ovviamente il giudice. C’è, tuttavia, da rilevare che proprio il sistema normativo descritto prima impedisce di per sé la conversione dei contratti a termine in tempo indeterminato. Da un lato, perché si tratta di contratti in totale deroga alla disciplina privatistica del tempo determinato, anche come durata, che può arrivare fino ai cinque anni. Dall’altro lato, perché nella pubblica amministrazione la conversione dei contratti a termine è esplicitamente vietata proprio dal Dlgs 165/2001. E anche se fosse applicabile integralmente (cosa che non è) la disciplina privatistica del tempo determinato (oggi attestata nel decreto legislativo 81/2015), ai dirigenti non si estende la tutela “reale” della conversione dei contratti a termine inanellati.
L’insostenibile soluzione ad hoc
I ricorsi presentati (o paventati) hanno l’evidente scopo di mettere sotto pressione il governo e i vertici delle agenzie, per una soluzione ad hoc, che in un modo o nell’altro, se adottata, non potrà che essere una sanatoria.
A tutti è chiaro, però, la difficoltà di percorrere questa strada, una volta che la Consulta si sia pronunciata. Quel che a questo punto è ingiustificabile è che presso ministeri, regioni ed enti locali vi siano migliaia e migliaia di funzionari incaricati come dirigenti esattamente nello stesso modo con cui sono stati cooptati i funzionari delle agenzie, senza che nessuno abbia nulla da eccepire. Il che non aiuta a fornire una base giuridica alle pretese dei funzionari delle agenzie, ma certamente contribuisce a esasperarne la posizione. E l’aberrazione giuridica si moltiplica ed espande.
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Ivan Beltramba
Quanto espresso da Luigi Olivieri è sostanzialmente condivisibile. alcuni particolari però stonano. infatti si dà per scontato che i funzionari (io non ho nemmeno la Posizione Organizzativa) siano degli emeriti deficenti e non in grado di gestire un Servizio. Mentre al contrario tutti i dirigenti del Settore Privato o i Prof. universitari sono geni della gestione della cosa pubblica. Concordo invece che sia ora di finirla col malcostume di nominare dirigenti o Direttori Generali degli yes-man dei politici (è evidente che a questo servono le “percentuali” delle leggi di “riforma”, riordino, riorganizzazione etc riservate ad assunzioni dall’esterno, visto che non sono obbligatorie procedure ad evidenza pubblica). Oppure si ricorre alle aziende partecipate dove si assume senza concorso e poi si manda in comando un dirigente alla Amministrazione proprietaria. e guarda caso lo stipendio del comandato è sempre (a volte di molto) superiore dei colleghi di ruolo. chissà perché nelle istituzioni della UE il dirigente è quasi sempre un funzionario con adeguata anzianità che supera piccolo esame di idoneità e solo in mancanza di idonei interni si ricorre agli esterni, dopo avere espletato una procedura si selezione. però la cosa più umiliante è che in alcune P.A. i funzionari incaricati da dirigente che non hanno poi superato il concorso (alla prova preselettiva!) fatto per stabilizzarli sono rimasti al loro posto, quando non addirittura promossi Direttori.
Sic transit gloria mundi
Carmelo Marazia
In un organizzazione che funziona vi sarebbe la possibilità di reclutare i dirigenti anche attraverso un sistema di progressione interna. La progressione interna fornisce il vantaggio di permettere la selezione attraverso la valutazione della prestazione effettuata nel tempo, purchè non si faccia l’errore confondere le competenze della posizione del dirigente da occupare con quelle relative alla posizione di funzionario precedentemente occupata. Il presupposto sarebbe quindi l’esistenza di un sistema di classificazione e valutazione delle competenze e del potenziale costantemente adoperato, e un sistema serio di selezione interna. Dopo fosse accertata la macanza di competenze adatte interne si ricorrerebbe al reclutamento esterno. In questo modo si garantirebbe non solo un sistema non solo legittimo, ma anche più efficace. Va da se che la prospettiva della progressione di carriera è un potente incentivo per la performance. E non credo che sarebbe violato l’art. 97 della Costituzione. Forse così eviteremmo guazzabugli simili a quello dell’Agenzia delle entrate. Se partiamo dal presupposto che le pubbliche amministrazioni non saranno mai in grado di gestire sistemi di questo genere e ci accontentiamo solo del garantismo giuridico, è meglio che ci scordiamo del sogno di un’amministrazione che funzioni.
Faber
Le considerazioni del dott. Oliveri finalmente fanno chiarezza su come stanno effettivamente le cose in merito alla vicenda dell’Agenzia delle entrate, al contrario di altri articoli che ho letto in questi giorni su parecchi quotidiani, nei quali si coglie il tentativo di alterare palesemente la realtà dei fatti. L’attribuzione degli incarichi a partire dal 2001 doveva essere solo temporanea, ma si è trascinata per più di dieci anni fino all’approvazione della sanatoria del 2012, che ha tentato (anche sotto questo profilo a mio parere incostituzionale) di sottrarre al giudice amministrativo una fattispecie sub judice. Si tratta, effettivamente, non di dirigenti retrocessi, ma di funzionari che hanno svolto per troppo tempo mansioni che non gli spettavano. Concordo pienamente sul fatto che in tutte le amministrazioni pubbliche si faccia un uso alquanto disinvolto dell’art. 19, comma 6, del d.lgs. 165/2001 e che, purtroppo, qualunque soluzione si troverà a breve per l’Agenzia entrate sarà ovviamente una sanatoria.
Giulia
Sarebbe opportuno evidenziare anche che se un fenomeno del genere (i termini di portata e di effetti) emerge solo ora deriva anche da uno scarso o quantomeno poco proficuo controllo degli organi preposti. La corte dei conti, che effettua il controllo sugli incarichi anche di posizione dirigenziale non avrebbe dovuto evidenziare fin da subito questa anomalia?
Dario QUINTAVALLE
Dice Luca Odevaine: “Alemanno mi presentò Riccardo Mancini e l’onorevole Vincenzo Piso, indicandomeli come interlocutori per suo conto per tutte le questioni di mio interesse. Nella gestione del Comune – ha proseguito Odevaine – Mancini e Piso mi dissero di voler inserire nei ruoli apicali e dirigenziali persone che, a prescindere dalla loro competenza e dalla competenza di chi in precedenza rivestiva quei ruoli, fossero di loro fiducia».
Qualcuno non ha ancora capito cosa c’è dietro a questa irresistibile voglia di creare i dirigenti dal nulla, come un tempo si creavano i cavalieri, anzichè selezionarli con un concorso?
Malaffare, solo malaffare!
bob
…come il maresciallo che fa carriera per anzianità! Un Paese malato profondamente alle radici. Interi nuclei familiari e quindi generazioni cresciute come i “funzionari” delle entrate. Una percentuale di parassiti che va oltre il 70% della società civile che non conosce merito che non ha mai scritto un CV
Quinto B.
E’ vero che un eventuale soluzione ad hoc è insostenibile: si osserva, però, che nella PA funzionari apicali “direttori”, di provata professionalità, hanno diretto (art. 20 DPR 266/1987) molti uffici di livello dirigenziale privo di titolare (mai nominati) senza alcuna remunerazione. Successivamente i “direttori” con funzioni direttive dei propri uffici si sono trovati, loro malgrado, a dirigere lo stesso ufficio, elevato a livello dirigenziale per molti anni, PA assente, con spiccata competenza e professionalità, conseguendo eccellenti risultati ma con danni morali ed economici per se stessi. La PA con la sua inerzia non ha mai provveduto alla copertura della vacanza, posto che con il funzionario apicale, di sicura professionalità, si è garantita la sua copertura con un notevole abbattimento di costi. Anche i funzionari apicali (ex Ministero dell’Economia e delle Finanze) delle Agenzie delle entrate (enti pubblici autonomi) operative dal 2001, nominati dirigenti per svolgere le funzioni con competenza e professionalità’ al pari del colleghi della PA. Sarebbe auspicabile il riconoscimento giuridico per quei funzionari apicali “direttori” con requisiti di base, presentati all’ingresso in carriera, che prevedeva la qualifica apicale, aspettativa vanificata dalla creazione della carriera dirigenziale, paletto inutile, che hanno svolto funzioni dirigenziali “piene” (anche riconosciute) con competenza, passione e professionalità per un tempo congruo continuo o discontinuo.