Il trattato di libero scambio tra UE e Stati Uniti incontra una radicata opposizione, fondata su timori di standard igienico-sanitari meno stringenti, riduzione delle tutele per i lavoratori e indebolimento del processi democratici. L’unica soluzione è un dibattito più approfondito e trasparente.
Il trattato di libero scambio Usa-UE
Lo scorso 23 ottobre si è concluso a Miami l’undicesimo round di negoziazioni tra Stati Uniti e Unione Europea sul Transatlantic Trade and Investment Partnership (Ttip). L’obbiettivo del trattato di libero scambio non è solo quello di abbattere le barriere tariffarie presenti tra i due mercati, quanto quello di uniformare gran parte della normativa e degli standard che caratterizzano il funzionamento delle due economie, in modo da abbassare le barriere non tariffarie che costituiscono il maggiore ostacolo al commercio Usa-UE. Si tratta di un obbiettivo ambizioso che per sua natura ha già sollevato diverse controversie. Sin dall’apertura delle trattative, nel 2013, ha destato sospetto e insofferenza la segretezza dei contenuti della negoziazione, tant’è vero che dall’ottobre 2014, per iniziativa del governo italiano, le trattative sono state rese parzialmente pubbliche. E tuttavia ancora oggi tuttavia il Ttip è avversato da una vasta platea che comprende vari economisti, tra cui anche il premio Nobel Paul Krugman, fino a una rete di organizzazioni non governative radunate in “Stop Ttip”.
Il punto focale dell’opposizione al trattato è sostanzialmente il timore che l’abbattimento di quelle che vengono generalmente definite barriere non tariffarie si traduca in un irrimediabile abbassamento degli standard qualitativi e sanitari dei prodotti sul mercato europeo, che sono generalmente più stringenti di quelli del mercato americano. Allo stesso modo, si temono misure che portino a una minore protezione del lavoro e dell’ambiente e, più in generale, un indebolimento dello stesso processo decisionale democratico.
Le questioni ancora aperte
Sebbene il trattato non sia privo di opportunità, come ad esempio l’apertura del mercato degli appalti pubblici americani per ora generalmente chiusi agli stranieri e fermi al “buy-american”, rimangono dunque aperte numerose questioni. In primis, le cosiddette questioni sanitarie e fitosanitarie, in particolare rispetto al comparto farmaceutico e alimentare. Ad esempio, se in Europa prevale il principio di precauzione, che vieta la commercializzazione di un prodotto se vi è danno potenziale per la salute umana, negli Usa i controlli avvengono eventualmente dopo il lancio sul mercato del prodotto, che può quindi essere ritirato solo se se ne prova scientificamente il danno. Anche le norme europee per l’etichettatura delle carni avicole, ovine e suine sono più stringenti di quelle americane nell’indicare la provenienza della carne, il che offre maggiori garanzie per il consumatore. Un discorso simile vale per i prodotti Dop e Igp, che a noi italiani stanno particolarmente a cuore perché tutelano il mercato UE dal falso made in Italy, che riscuote invece più successo negli Usa.
Per quanto riguarda le tutele del lavoratore, l’Unione Europea ha adottato tutte le otto norme fondamentali dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo), mentre gli Usa ne hanno ratificate solo due.
Sulle potenziali minacce al processo legislativo democratico e alla sovranità giudiziaria nazionale, le criticità sorgono dall’assai discusso istituto degli Investor-to-State Dispute Settlement (Isds) proposto da parte americana e dall’Annually Regulatory Cooperation Program. Riguardo agli Isds pesa in particolare l’opinione contraria della Germania e la negoziazione su questo tema ha incontrato difficoltà anche nell’ultimo round di negoziazioni.
L’assenza di informazioni da parte della Commissione, la discordanza degli studi che tentano di misurare gli effetti dell’introduzione del Ttip e la mancanza di un serio dibattito sul tema (anche nel Parlamento Europeo) non fanno che aumentare il sospetto circa la bontà del trattato. Nel frattempo, i negoziati rallentano: dopo questo round le parti si sono riproposte di concludere le trattative entro il 2017, mentre fino al mese scorso si riteneva di dover chiudere per la fine del 2015.
La Commissione si è poi formalmente impegnata a non abbassare gli standard di protezione per i consumatori già in vigore in ambito europeo né ad arrecare danno alcuno al “processo regolatore democratico europeo”. Appare chiaro però che si tratta di prese di posizione piuttosto superficiali, che non vanno oltre il carattere dell’annuncio. Occorre dunque che il dibattito sul “più ampio trattato commerciale della storia” venga approfondito a tutti i livelli. In primis, nel Parlamento Europeo, dove la discussione è stata compromessa dallo stesso presidente Martin Schultz, che lo scorso giugno ha rimandato il dibattito a data da definirsi, per non rischiare scomode bocciature ad aspetti chiave del Ttip. Media nazionali e accademici dovrebbero informare meglio i cittadini, non solo sui rischi, ma anche sulle opportunità che un buon accordo commerciale con gli Usa potrebbe comportare. Anche la Commissione dovrebbe fare la sua parte e rafforzare l’iniziativa di trasparenza, rendendo pubblici sempre più documenti ufficiali relativi a proposte e risultati del negoziato e nello stesso tempo facendo sì che per i cittadini sia più facile suggerire pareri in merito al trattato.
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Lucia Tajoli
Sono un po’ sorpresa di vedere sulla Voce un articolo poco informato e con commenti molto generici su un tema così importante. Su una serie di questioni, a cominciare dal discusso ISDS c’è già stato un grosso cambio di rotta e la proposta sul tavolo attualmente è ben diversa (cfr. sito DG Trade). Il Parlamento Europeo ha dibattuto e definito il mandato ufficiale della Commissione sul negoziato, come si può vedere sul sito del Parlamento UE lo scorso 8 luglio.
E a proposito di trasparenza, non ci sono notizie sull’autore di questo articolo.
Lucia Tajoli
Bonaventura Pacileo
Concordo in pieno
Alessandro
Gentile lettrice, grazie per il commento. Devo innanzitutto dire che per difficoltà tecniche l’articolo è stato pubblicato quasi tre settimane dopo la sua stesura effettiva e quindi su alcuni punti (ad es. ISDS) risulta poco aggiornato, soprattutto a seguito del fatto che dopo l’ultimo round di negoziati c’è stato effettivamente un punto di svolta per quanto riguarda le tematiche più controverse e la trasparenza. Il prossimo appuntamento tra le parti negoziali (a febbraio) sarà quindi di particolare rilevanza per l’evoluzione del trattato. Tuttavia a proposito della posizione del Parlamento, mi sento di sottolineare che anche nelle raccomandazioni per la Commissione dell’8 luglio che lei cita è richiesta maggiore trasparenza e viene espressa preoccupazione per molti dei temi che anche l’articolo ricorda. La critica mossa nel testo dell’articolo tra le altre cose si riferisce al fatto che si è dovuto aspettare il X round perché esso reagisse alle controversie riguardanti l’accordo.
Per quanto riguarda l’autore, penso si provvederà a breve ad aggiornare la scheda, tuttavia molto in generale si tratta di uno studente al primo anno della laurea magistrale in Discipline Economiche e Sociali in Bocconi.
GiovanniAle
E’ vero che l’accordo non è trasparente, ma solo perché non c’è ancora un testo condiviso su cui discutere.
Nonostante tutto credo che il TTIP sia un buon accordo perché permetterebbe alle nostre imprese di costruzioni di accedere ai ghiotti appalti USA. Basta leggere questo articolo su New York per capire di cosa stiamo parlando
http://www.webuildvalue.com/it/infrastrutture/new-york-5-miliardi-per-i-ponti.html
Alessandro
Gentile lettore, grazie del commento. È vero ancora non c’è un testo definitivo, ma sarebbe comunque un bene che ci fosse trasparenza anche sulle proposte negoziali della Commissione, anche su quelle ricevute dalla controparte. C’è da dire che in termini di trasparenza dall’inizio dei negoziati abbiamo fatto passi da gigante, quindi c’è da augurarsi che si continui così. Per quanto riguarda gli appalti americani è vero, sarebbero un’ottima opportunità, il dialogo su questo punto andrebbe rilanciato al prossimo round di negoziazioni. Come dicevo nell’articolo il Ttip non è privo di buone potenzialità, ma occorre che i suoi effetti non pregiudichino le caratteristiche positive dell’economia europea.