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La Cassa depositi e prestiti entra nel piano Juncker

La Cdp acquisisce la qualifica di istituto nazionale di promozione, gli organismi che hanno l’obiettivo di rafforzare il piano Juncker a livello nazionale. Per ottenere rapidi risultati sarebbe utile concentrare le risorse sui progetti bloccati per mancanza di finanziamenti pubblici e privati.
Finanziamenti da Inp
Con l’approvazione dell’articolo 41 della legge di stabilità per il 2016, la Cassa depositi e prestiti (Cdp) acquisirà la qualifica di istituto nazionale di promozione (Inp). Il regolamento UE n. 2015/1017, che disciplina il Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis), attribuisce questa qualifica agli organismi che ricevono da uno stato membro dell’Unione un mandato per svolgere attività di sviluppo o di promozione.
L’entrata in scena degli Inp ha l’obiettivo di rafforzare il piano Juncker, di cui il Feis è il principale strumento.
Se partecipare – e con quanto danaro – è una decisione lasciata, ovviamente, alla discrezionalità di ogni stato membro. Il 22 luglio 2015 la Commissione ha comunicato al parlamento e al consiglio europeo che, dei 34 miliardi di euro con cui otto stati (tra cui Francia, Germania e Spagna) sono disponibili ad affiancare il Feis, 8 miliardi li mette a disposizione l’Italia attraverso la Cdp.
I finanziamenti messi a disposizione dagli stati membri tramite i loro istituti nazionali di promozione possono essere impiegati per due distinte finalità: accrescere le risorse del Feis oppure finanziare i progetti del piano Juncker.
La partecipazione diretta al Feis porterebbe la sua dotazione da 21 a 55 miliardi di euro. Il Feis è stato pensato sostanzialmente come un fondo di garanzia che opera con un moltiplicatore 15. Con l’apporto degli Inp la sua potenza di fuoco aumenterebbe di molto: il volume degli investimenti che potrebbero essere promossi passerebbe da 315 a 825 miliardi di euro. Una cifra che potrebbe aumentare se anche altri stati membri decidessero di ricorrere a un Ipn per accrescere le risorse messe a disposizione dal bilancio dell’Unione (16 miliardi di euro) e dalla Banca europea degli investimenti (5 miliardi). Nonostante l’ammontare del capitale apportato dai singoli istituti nazionali di promozione sia superiore rispetto a quello messo a disposizione dagli organismi dell’Unione, il regolamento del Feis li esclude dal suo comitato direttivo e quindi dalla sua gestione.
Forse anche per questa limitazione gli istituti nazionali potrebbero optare per il secondo possibile impiego dei fondi: partecipare al finanziamento di piattaforme di investimento e di singoli progetti, operazioni che a loro volta possono essere coperte dalla garanzia del Feis (articolo 10 del regolamento). Nei casi in cui la garanzia viene concessa, le somme garantite concorrono all’investimento complessivo dei 315 miliardi di euro previsto dal piano Juncker.
Che fare degli 8 miliardi
La partecipazione degli Inp può comunque rivelarsi importante per diverse ragioni. Innanzitutto, per superare le eventuali difficoltà incontrate nell’ottenere il finanziamento dei progetti del piano Juncker da parte degli istituti di credito, nonostante la grande liquidità fornita dalla Banca centrale europea al sistema bancario. Ancora più rilevante potrebbe rivelarsi la maggiore flessibilità con la quale individuare i progetti da finanziare. Il regolamento del Feis prevede che siano selezionati da un unico elenco definito dal comitato del fondo, senza preventive ripartizioni settoriali o geografiche. La regola non può, evidentemente, valere per i fondi messi a disposizione dai singoli paesi, altrimenti potrebbe succedere che, ad esempio, la nostra Cdp finanzi progetti in Inghilterra.
Per restare ai nostri 8 miliardi, pare fin troppo ragionevole non solo che siano spesi in Italia, ma anche che la scelta degli interventi da finanziare sia fatta qui, per dare un sostegno alla domanda da investimenti. Per ottenere risultati il più tempestivamente possibile, potrebbe essere utile concentrare le risorse su quei progetti di investimenti la cui realizzazione è bloccata per la mancanza di finanziamenti pubblici e privati. Per il ministero delle Infrastrutture non dovrebbe essere difficile individuarne un certo numero.
Si potrebbe partire, per esempio, dal Piano nazionale per le città, promosso tra anni fa con il decreto legge 83/2012. A gennaio 2015, dei 320 milioni di euro di contributi statali assegnati ai 28 progetti finanziati ne sono stati erogati solo 7,5: è segno che i lavori vanno a rilento o non sono addirittura iniziati. La ragione principale va ricercata probabilmente nel fatto che la loro realizzazione comporta 4 miliardi di euro di investimenti che i privati e gli altri enti pubblici coinvolti nei progetti non riescono a farsi finanziare. Se l’intervento della Cdp ne consentisse il completamento sarebbero sicuramente investimenti “addizionali”, come richiede il regolamento del Feis, visto che altrimenti resterebbero in gran parte sulla carta.
 

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  1. Ho alcuni dubbi riguardo alla prospettiva adottata dagli autori sul Piano Junker, iniziativa volta a migliorare la crescita e lo sviluppo Europei. Per fare ciò gli investimenti da sostenere devono essere valutati su base del loro potenziale di crescita e sviluppo Europei, e non della bandierina nazionale che affiggono. Da decenni gli organismi di sviluppo multilaterali si sono gradualmente svincolati dalla condizionalità (earmarking) dei loro fondi alle priorità nazionali, che generavano inefficienze nell’allocazione degli aiuti allo sviluppo secondo priorità politiche discutibili.
    Ci rallegriamo che, anche se con qualche anno di ritardo rispetto ad altri organismi di finanziamento bilaterali, CDP abbia ottenuto la qualifica di ‘istituto nazionale di promozione’ a livello Europeo. Se di livello Europeo e di crescita dell’Europa si tratta, allora gli autori dovrebbero indignarsi a che i finanziamenti CDP vadano a progetti italiani, quelli AFD a quelli francesi e quelli KfW a quelli tedeschi. A che servirebbe infatti qualificarsi a partecipare ad iniziative di prospettiva europea, se ogni istituto nazionale si finanzia i propri progetti? Tanto varrebbe allora finanziarli direttamente, senza bisogno della piattaforma Europea offerta dalla BEI+FEI che ambisce a identificare, valorizzare e finanziare i progetti che hanno migliore probabilità di innovazione, crescita e sviluppo Europei. Pensare ai ‘nostri’ in questo contesto è grave revisionismo politico.

  2. Esistono garanzie, per il cittadino, riguardo al fatto che i finanziamenti verranno accordati ai progetti piu’ utili, all’esito di una competizione trasparente? O, invece, e’ stata gia’ individuata una “short list” di progetti, sulla base delle pressioni dei soli soggetti direttamente interessati a realizzarli (es.: industrie), senza alcun riferimento all’utilita’ di quei progetti? In questa seconda ipotesi, in che modo questo canale di finanziamento differirebbe da una dissennata spesa pubblica?

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