Le nuove misure annunciate dalla Bce saranno efficaci? No perché non affrontano il vero problema, la stagnazione dell’Eurozona. E insistere sul raggiungimento dell’obiettivo di inflazione appare oramai come un limite troppo stringente dell’architettura della politica monetaria della Banca centrale.
Tre nuove misure della Bce
Una frase detta da Mario Draghi nella conferenza stampa con cui annuncia nuove misure di espansione monetaria colpisce in modo particolare: “Stiamo facendo di più proprio perché ciò che abbiamo fatto in passato sembra funzionare”. Ma se qualcosa funziona, perché fare di più? Forse invece è vero il contrario: la Banca centrale europea ritiene di dover fare di più proprio perché le cose in realtà non stanno funzionando?
Sono tre i nuovi interventi della Bce. Misure timide, probabilmente insufficienti a invertire la rotta dell’economia dell’Eurozona. Possiamo paragonarle a un incremento della dose di anti-infiammatori a un paziente affetto da polmonite.
La prima misura è una estensione temporale del programma di Quantitative easing fino a marzo 2017: avrà effetti praticamente nulli. Settembre 2016 (la precedente data di scadenza) e marzo 2017 sono, nelle aspettative degli operatori, date praticamente equivalenti: entrambe già sufficientemente in là nel tempo.
Il problema fondamentale è che il Qe è efficace solo in una direzione: ridurre i tassi di interesse a lungo termine. E quello europeo è iniziato quando i tassi a lungo termine erano già abbondantemente scesi, soprattutto nel Nord Europa (a che serve, ad esempio, continuare a includere Bund tedeschi negli acquisti?). In secondo luogo, un’economia in persistente stagnazione è tipicamente molto poco sensibile ai tassi di interesse. Questo perché molti agenti devono affrontare vincoli di accesso al credito (che differenza fa se i tassi sono al 2 o 3 per cento, quando il credito non mi viene concesso?); e sono oberati dal debito (quindi indifferenti a una riduzione ulteriore del costo di accesso a nuovo debito). In generale, i tassi di interesse reali sono bassi nel mondo, inclusa la zona euro, perché le prospettiva di crescita sono opache. Insistere con dosi ulteriori di Qe vuol dire affrontare il sintomo, non la causa del problema.
La seconda misura è un impegno a reinvestire i rendimenti ottenuti sugli asset acquistati nel programma, invece di restituire gli interessi a ciascuna banca centrale nazionale, ed è equivalente a un moderato aumento della quantità di bond acquistati per ciascun mese, quindi a sua volta di efficacia limitata.
La terza misura è un incremento della tassa che le banche pagano per detenere riserve presso la Bce stessa (si tratta a tutti gli effetti di una tassa perché le banche già prima ricevevano una remunerazione negativa sulle riserve e ora la remunerazione sarà ancora più negativa). Ciò rende più costoso per le banche tenere risorse parcheggiate sotto il “materasso della Bce” e dovrebbe spingerle a impiegare le risorse in prestiti alle imprese. Continue variazioni al ribasso del tasso sulle riserve bancarie produrranno in realtà un effetto neutrale fino a quando non si sarà raggiunto il livello critico di indifferenza tra due opzioni: tenere denaro parcheggiato presso la Bce oppure metterlo in sicurezza. Il costo di conservare denaro in sicurezza consiste, per le banche, in quello di stipulare polizze private di assicurazione contro il rischio di furto. Ma una volta raggiunto il punto di indifferenza, ulteriori ribassi dei tassi sulle riserve renderanno conveniente per le banche semplicemente utilizzare altri strumenti di parcheggio della liquidità. Il margine rilevante, per le banche, è in realtà quello tra costo di parcheggio della liquidità (in qualunque forma, presso la Bce o altro) e remunerazione (rischiosa) di impiego delle risorse in prestiti. Fino a quando l’economia continuerà a languire in questo modo, e fino a quando gli attivi di bilancio delle banche nella zona euro saranno appesantiti dai prestiti non esigibili, le risorse rimarranno largamente inutilizzate.
Il macigno della stagnazione
La realtà è che la zona euro rimane in una fase di persistente (e preoccupante) stagnazione. Perché? Immaginate di salire lungo una scala mobile. La velocità di ascesa della scala mobile è il “trend” di crescita dell’economia. Sulla scala che sale in automatico, potete decidere di muovere passi in avanti (un boom ciclico), all’indietro (recessione) o di stare fermi (stagnazione). Dopo il 2008 è come se, sulla scala mobile su cui si trovava, l’economia della zona euro avesse cominciato a muovere così tanti passi all’indietro che è stata costretta a “cambiare scala mobile”, cioè a saltare su una più lenta. Un’economia è soggetta a stagnazione persistente quando una recessione ciclica, di solito temporanea, si rivela invece così profonda (i passi all’indietro) da produrre anche effetti sul trend potenziale di crescita (il cambio di scala mobile).
Questo è il problema che sta di fronte alla Bce come un macigno. La conseguenza è un tasso di disoccupazione persistente, in termini sia di media che di dispersione tra paesi. Insistere sul raggiungimento dell’obiettivo di inflazione ignorando questo gigantesco problema appare oramai come un limite troppo stringente della architettura di politica monetaria della Bce.
Una versione di questo articolo è disponibile anche su www.tvsvizzera.it
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lallo
bce non può far nulla. così come japanbank non può far nulla ( e le ha tentate tutte). o si capisce che globalizzazione liberista sta distruggendo le economie più democratiche (e anche più compatibili a tenuta ambientale) e quindi si capisce che serve ritorno a modello di competizione tra mercati compatibili (vedi mercato comune europeo) confrontati con mercati esterni tramite dazi (pesanti dazi) oppure si travaseranno povertà, oligopoli, sfruttamento del lavoro, devastazione ambientale, dai paesi ‘più competitivi’ (quelli senza regole) agli altri. Buona fortuna occidente….
Michele
Sono d’accordo. Aggiungerei solo che gli effetti non sono uguali per tutti. C’è chi (germania ad esempio) dalla situazione ne trae vantaggio: paga poco i prodotti semplici ed esporta comunque meglio prodotti ad alto valore aggiunto anche nei paesi senza regole. E c’è chi invece ne deriva maggiori danni: chi – ad esempio l’italia – è più esposto alla concorrenza basata sul prezzo in produzioni a più limitato valore aggiunto.
Michele
L’impotenza della politica monetaria in condizioni di trappola della liquidità la si studiava a Economia Politica I. Se mancano le politiche fiscali nulla può fare la BCE.
Enrico Motta
Articolo molto interessante. Aggiungerei: 1) Il QE ha molto aiutato lo Stato Italiano, ultraindebitato, ad abbassare gli interessi sul debito pubblico. 2) Perché l’Italia è stagnazione? Perché i consumi principali (auto, elettrodomestici, etc) sono ai massimi possibili, c’è solo il rinnovo quando si rompono. Chi l’ha detto che la crescita debba continuare all’infinito? La crescita infinita è un concetto scientificamente corretto? 3)La lotta all’inflazione mi sembra ridicola; se il petrolio costa meno, la concorrenza migliora, che male c’è ad avere i prezzi stabili per chi ha un reddito fisso? Si, capisco anche i motivi contro la deflazione, ma mi sembrano soprattutto argomenti “di scuola”.
Angelone
La lotta all’inflazione assume un significato se un’inflazione moderata e maggiore di zero è associata ad uno stato di salute dell’economia, con una domanda di beni vigorosa e pronta ad adeguarsi a innovazioni sul supply side