Sulla soluzione adottata per salvare le ormai famose quattro banche italiane pesa un dubbio. L’onere del salvataggio è stato equamente ripartito tra detentori di obbligazioni subordinate, investitori al dettaglio e banche che hanno finanziato il fondo di risoluzione? Le domande senza risposta.
Perché non è un bail-in
Con la “Comunicazione sul settore bancario” dell’agosto 2013 l’Unione Europea chiude la stagione di interventi dello Stato a supporto delle banche: 250 miliardi di euro in Germania, 60 in Spagna, 50 in Irlanda e nei Paesi Bassi, 40 in Grecia, 20 in Belgio, Austria e Portogallo. Da quel momento, l’intervento dello Stato nel salvataggio di una banca è ammissibile solo dopo che patrimonio netto e passività subordinate sono stati azzerati. In continuità con la posizione espressa nel 2013, nel gennaio 2016 entra in vigore il bail-in e il principio per il quale la copertura delle perdite risale dal patrimonio netto sino ai depositi.
A fine novembre Cassa di risparmio di Ferrara, Cassa di Risparmio di Chieti, Banca Popolare dell’Etruria e Banca Marche vengono escluse nella sostanza dal bail-in di prossima adozione con l’intervento immediato del “fondo di risoluzione” secondo i seguenti passaggi principali:
- Costituzione di quattro Nuove Banche corrispondenti alle quattro preesistenti
- I crediti dubbi per circa 8,5 miliardi di euro sono ceduti ad una Bad Bank neocostituita al valore di 1,5 miliardi (i.e. 17 su 100 di nominale) stimato provvisoriamente da Banca d’Italia.
- Le quattro Nuove Banche iscrivono crediti verso la Bad Bank per 1,5 miliardi.
- Le quattro banche preesistenti cedono la raccolta (i.e. depositi e obbligazioni senior) nonché prestiti in bonis e altre attività alle quattro Nuove Banche.
- Il Fondo di Risoluzione assorbe la perdita di 1,7 miliardi derivante dalla svalutazione dei crediti dubbi e fornisce 1,8 miliardi di euro per il capitale che costituisce le quattro nuove banche e 140 milioni per il capitale della Bad Bank.
- Il Fondo di Risoluzione viene finanziato per 3,6 miliardi di euro da Intesa, Unicredit e UBI di cui 400 milioni assistiti da una garanzia della Cassa Depositi e Prestiti.
La ricostruzione contabile dettagliata si può leggere qui.
Le principali conseguenze di questo schema sono:
- le quattro banche compensano la svalutazione dei loro crediti dubbi a 17 centesimi, contabilizzando perdite su crediti per circa 1,7 miliardi e azzerando patrimonio netto e passività subordinate;
- la cassa delle quattro banche, divenuta di circa 1,8 miliardi, viene conferita nelle costituende nuove banche;
- la cassa complessiva delle quattro nuove banche diviene quindi pari al valore dei prestiti conferiti dai tre istituti bancari intervenuti nel salvataggio (Intesa, Unicredit e UBI), cioè 3,6 miliardi di euro;
- la componente a rischio dell’impegno finanziario delle tre banche che hanno erogano il prestito è costituita dagli 1,7 miliardi di euro con cui si assorbono le perdite delle quattro banche in ristrutturazione. Non vi sono rischi per la restante parte del prestito (1,9 miliardi di euro) in quanto coperti interamente dal corrispettivo della vendita sul mercato delle quattro nuove banche.
A ben vedere, però, anche la componente a rischio è comunque coperta: dalla garanzia di 400 milioni di euro di Cassa depositi e prestiti; da un possibile recupero dei crediti ceduti alla bad bank a un valore superiore a 17 centesimi; dal valore di dismissione delle quattro nuove banche laddove lo stesso dovesse risultare superiore a 1,9 miliardi di euro.
Le domande per ora senza risposta
Pur riconoscendo che la disciplina comunitaria non consente alternative, sulla soluzione adottata pesa un dubbio sostanziale, che sta inquinando anche il confronto politico: la scelta effettuata ha consentito di ripartire equamente l’onere del salvataggio tra i detentori di obbligazioni subordinate, gli investitori al dettaglio e le banche intervenute a finanziare il fondo di risoluzione? Ciò a prescindere da qualsiasi preventiva criticità sulle modalità di collocamento e sul prezzo di vendita delle obbligazioni subordinate.
Per superare un simile dubbio è fondamentale comprendere se il prezzo complessivo dell’operazione sia stato equo in termini di binomio rischio-rendimento, nelle sue varie componenti e per i vari soggetti economici che hanno condiviso i danni.
Per farlo, si dovrebbe colmare il divario informativo sui seguenti aspetti:
- chi ha identificato i crediti dubbi che le quattro banche hanno ceduto alla bad bank? Sono state escluse dal processo di selezione le tre banche finanziatrici, che sarebbero state in palese conflitto di interesse? Una parere di congruità indipendente pare indispensabile.
- Qual è il tasso di interesse del prestito delle tre banche finanziatrici al fondo di risoluzione? Considerato che i rischi sono alquanto limitati e tenuto conto della circostanza che sul mercato i tassi correnti sono pressoché nulli o negativi per prestiti privi di rischio, un tasso fuori mercato qualificherebbe un improprio trasferimento di ricchezza a danno dei titolari delle passività subordinate.
- Secondo quale principio Cassa depositi e prestiti (e quindi de facto lo Stato italiano) è chiamata a prestare una garanzia per 400 milioni di euro per un impegno finanziario di tre banche private che ricevono una remunerazione per i rischi sostenuti? Quale prezzo è stato pagato a Cdp a fronte della garanzia? Laddove non sia stato pagato alcun prezzo per “l’opzione put” venduta da Cdp, tale prezzo è stato scontato in un minor tasso d’interesse sul finanziamento concesso dalle tre banche rispetto a quello di mercato?
- Qualora la stima definitiva della svalutazione dei crediti dubbi fosse più elevata di 17 centesimi perché è previsto che il profitto vada direttamente al fondo di risoluzione? Perché invece non si è ipotizzata una procedura per ripristinare una corretta redistribuzione dei rischi tra i vari soggetti economici, ivi inclusi i titolari di prestiti subordinati?
Sulla verifica di questi aspetti – che qualificano l’equità dell’operazione rispetto agli interessi in gioco – si dovrebbero concentrare i prossimi approfondimenti tecnici e politici, che potrebbero stabilire definitivamente la qualità dell’intervento.
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Rino Impronta
Quanto affermato nell’intervista rilasciata dal Dr. Salvatore Rossi (Direttore Generale della Banca d’Italia) al Corsera di oggi mi spinge ad una riflessione. E’ ovvio che è impossibile avere un Ispettore in ogni Filiale delle Banche vigilate. Sarebbe, invece, stato sufficiente obbligare le Aziende di credito alla segnalazione di qualsiasi transazione riguardante la vendita o la richiesta di obbligazioni subordinate, da parte di soggetti privati (persone fisiche o società), creando anche un archivio informatico condiviso tra le varie Autorità competenti in materia ( alla luce anche dell’esperienza Parmalat). A questo punto, su ogni segnalazione, la CONSOB ( Società preposta al controllo), avrebbe potuto esercitare un controllo preventivo e consuntivo, per poter esprimere, eventualmente, un giudizio di merito sulla bontà dell’operazione. Quindi i comportamenti fraudolenti si possono colpire sul nascere e non aspettare catastrofi finanziarie o danni irreparabili per i risparmiatori, per poi intervenire quando i buoi sono scappati dalla stalla.
Carmelo Catalano
Anche a mio modo di vedere la ricostruzione contabile delle fasi dell’intervento è sbagliata, oltre che poco leggibile. Solo qualche esempio dato che le imprecisioni sono tante. La perdita per sofferenza iscritta nell’attivo del Fondo di Risoluzione, in realtà è un Credito verso le banche preesistenti. Nella fase 2 le voci cassa per perdite per sofferenze e perdite per sofferenze iscritte rispettivamente nell’attivo e nel passivo delle banche preesistenti, sono semplicemente un non sense. Ma se ha scritto che le perdite per sofferenze vanno iscritte nell’attivo, come mai nelle banche preesistenti la voce risulta nel passivo? Insomma io correggerei tutti i prospetti.
Il principio guida è che il Fondo di Risoluzione ha finanziato le banche preesistenti per 1,7 miliardi allo scopo di coprire il divario tra attivo (26,1 miliardi) trasferito e il passivo accollato (27,8 miliardi) alle nuove banche. Contestualmente ha dotato le nuove banche del capitale, pari a 1,8 miliardi.
Infine gli 8,5 miliardi di crediti dubbi iscritti nell’attivo delle banche preesistenti sono errati. Infatti quello era il Valore Nominale dei crediti e non il valore contabile con il quale risultavano iscritti nei bilanci della banche preesistenti.
Roberto Tasca
Gentile Catalano, lo schema vuole rappresentare il legame dinamico tra i soggetti coinvolti, non le scritture contabili. Che sia chiaro o meno è un suo libero giudizio, ma non vi sono errori. Ad esempio, l’iscrizione dei crediti al valore nominale ha lo scopo di evidenziare come, prima di ogni intervento, gli stessi erano già stati svalutati per oltre il 50%. Infatti, la perdita riportata, è pari ad euro 1,7 mld e il credito derivante dalla cessione ad 1,5. Risulta pertanto conseguente come il valore rettificato degli stessi, iscritto in bilancio, dovesse essere nell’ordine dei 3,2 mld. Anche l’iscrizione delle perdite all’attivo del FdR deve essere letta in tal senso. Le perdite sui crediti restano certamente domiciliate presso le 4 banche originarie e su questo non vi sono dubbi in punta di diritto. La loro iscrizione all’attivo serve a collegare la ricapitalizzazione effettuata, rispetto alla situazione patrimoniale iniziale. Quanto da lei richiamato è già chiaramente indicato nel comunicato stampa della Banca d’Italia, del giorno dell’intervento. Quindi, la sua mera riproposizione non avrebbe concorso a chiarire il nostro obiettivo: l’intervento effettuato è indubbiamente di buona fattura tecnica. Per un offrire definitivo supporto alla chiarezza dovrebbero essere documentati anche la valutazione del portafoglio ceduto, la garanzia di CDP e il pricing dei finanziamenti concessi al FdR. Questi sono a nostro parere i cardini per esprimere il giudizio definitivo.
Piero
Il bail in di fatto è stato anticipato.
La valutazione provvisoria fatta per gli 8,5 miliardi di crediti è notevolmente inferiore al loro reale valore di mercato, gli azionisti non hanno ancora perso ogni diritto; fino a che non sia stata effettuata la valutazione definitiva gli azionisti hanno un diritto affievolito che permette loro di azionare un provvedimento cautelare di sequestro di tali crediti al fine di evitare che vengano ceduti al vile prezzo stimato.
Carmelo Catalano
Il mio intervento aveva un spirito costruttivo, vale a dire evidenziare vari errori nella costruzione delle situazioni patrimoniali con le quali si intendeva illustrare il percorso seguito nell’operazione salva banche. Ciò premesso non convince il chiarimento fornito. Mi riferisco in particolare, ma non solo, all’affermazione che gli schemi volevano rappresentare il legame dinamico e non le scritture contabili. Pare evidente a tutti che l’affermazione di non voler seguire le scritture contabili cozza con l’utilizzo di schemi di derivazione contabilecper illustrare i vari passaggi. E mi spiego con un esempio. Inserire nella situazione patrimoniale i crediti in sofferenza al valore nominale (8,5 miliardi) determina un’innaturale rigonfiamento anche del passivo, e precisamente delle voci capitale e riserve, che vengono appostate per valori non corrispondenti alla realtà dei fatti economici e contabili delle 4 banche. E se la partenza è falsa, sono errati tutti i successivi passaggi.
Marco Perini
Perdonatemi, posso chiedere dove avete reperito queste informazioni, nel senso di dove avete trovato i numeri e la spiegazione precisa dei passaggi? Perché in numerosi interventi televisivi il presidente Abete ha sempre detto che le banche (id est: il Fondo di Risoluzione) ci hanno messo fino ad ora 2 miliardi con possibilità di dovercene mettere un altro 1,5. Il che corrisponderebbe ai complessivi 3,6 miliardi di impegno del Fondo di risoluzione. Ma i due miliardi di cui parla il Presidente Abete corrisponderebbero grosso modo alla somma del capitale sociale delle quattro nuove banche escluso il surplus di liquidità (cassa quasi doppia a capitale per tutte le nuove banche) che risulta da tutti i prospetti e sarebbe invece integrato ove il Fondo di risoluzione avesse messo tutti i 3,6 mld promessi. Può essere che il Presidente Abete non abbia capito bene come voi l’accaduto (ma sarebbe grave che il Presidente della Febaf non l’avesse capito) o può essere che il surplus di liquidità sia solo virtuale, in quanto garantito dal Fondo di risoluzione in caso di bisogno (i famosi 8,5 mld oggi contabilizzati 1,5).
E poi, la bad bank è una o sono le quattro vecchie? Se è una, dov’è il provvedimento con cui è stata creata? E se non è stata creata sono le 4 vecchie banche titolari pro quota degli 8,5 mld di crediti deteriorati svalutati o questi crediti vagano nell’iperuranio delle idee in attesa della creazione della bad bank unica?
Marco Perini
E ancora: perché azionisti e obbligazionisti subordinati non sarebbero potuti rimanere nella loro medesima condizione azionisti e obbligazionisti subordinati della bad bank (o di ciascuna delle 4 bad bank) deputata alla sola liquidazione degli 8,5 mld per dividersi quanto di sopravveniente rispetto agli 1,5 mld derivasse dalla cessione o realizzazione degli 8,5 mld di crediti deteriorati? A cosa servono gli organi della risoluzione per i 4 vecchi istituti? Se c’è una bad bank unica le vecchie 4 banche dovrebbero essere cessate essendo 0 le voci di attivo e passivo dei loro bilanci. Ma forse esistono ancora le vecchie 4 banche.
Perché non tutte le obbligazioni subordinate sono state oggetto di azzeramento del valore nominale posto che negli atti di cessione (ad es. di Banca Etruria) di attività e passività alla nuova banca risulta che alcuni titoli non vengono ceduti alla nuova banca (titoli con isin diverso da quelli contemplati nel provvedimento di svalutazione di azioni e obbligazioni subordinate) ma lasciando intendere che continueranno a esistere? Può essere che Banca d’Italia (che è al 53% di Unicredit e Intesa che sono 2 dei 3 partecipanti del Fondo di risoluzione) abbia spinto per la risoluzione perché era la via maggiormente lucrativa per il mondo bancario? Come si potrà mai accertare, ai sensi dell’articolo 89 del dlgs 180/2015 che azionisti e creditori non abbiano subito perdite maggiori che se gli istituti fossero stati posti in liquidazione coatta amministrativa?
IC
Lo Stato ha incassato imposte sulle ricche cedole distribuite dalle 4 banche ai risparmiatori che avevano acquistato le obbligazioni subordinate. Oggi si è scoperto che in realtà queste cedole non erano redditi ma anticipi parziali del rimborso di questi debiti delle banche. La restituzione di un debito non è un reddito e non deve essere tassata. Ne segue che lo Stato dovrebbe rimborsare le somme indebitamente incassate a titolo di imposta
Michele
Perché si è voluto in tutta fretta evitare che alle 4 banche si applicassero le nuove regole europee, approvate anche dai parlamentari italiani? Chi viene favorito dal provvedimento del governo e che invece sarebbe stato penalizzato dal bail-in europeo? Quale contropartita viene fornita alle banche che hanno finanziato il bail-in all’italiana?
Marco Perini
Comunque, chiedo agli autori, non vi pare ci sia una duplicazione nelle voci tra crediti verso la/le bad bank e la cassa da perdita per sofferenze? Se non ci fosse duplicazione il Fondo di risoluzione avrebbe impiegato 1,8 mld per capitale nuove banche + 1,8 mld per copertura perdite da svalutazione crediti + 1,5 mld per valore attuale crediti deteriorati. Si sforerebbe di 1,5 mld dalla consistenza del Fondo di risoluzione. Ma mi permetto di ricordare che il Presidente Abete ha parlato solo di 2 mld sino ad ora impiegati. Mi pare davvero il gioco delle tre carte.
Roberto Tasca
Gentile Perini, credo le dobbiamo due risposte. La prima riguarda dove abbiamo preso i dati per la riscostruzione. Abbiamo assemblato le fonti desumibili dal comunicato stampa della Banca d’Italia del 22 novembre, partendo dalla situazione finale che trova descritta nella tabella Totale delle banche-ponte. E’ noto che il monte crediti ceduto per 1,5 mld aveva un nominale pari ad 8,5 mld. Contemporaneamente, è noto che il capitale delle nuove banche viene interamente sottoscritto dal fondo di risoluzione come compare nella nostra tabella Nuove Banche, che risulta del tutto equivalente a quella indicata nel comunicato della BdI citato. L’esposizione dei crediti dubbi in bilancio al valore nominale serve esclusivamente a rappresentare come sono “girate” le perdite. E’ poi evidente che se la cassa iniziale delle banche esistenti è pari a 0,1 e quella finale indicata da BdI è 3,6, e i crediti verso la BB sono 1,5 da qualche parte devono essere stati immessi 3,5 milioni di euro. Quindi, se il fondo detiene un capitale di 1,8 nelle nuove banche, 0,1 è il capitale della BB la differenza può derivare solo dal fatto che il FdR ha sottoscritto capitale per euro 3,5 mld, dei quali 1,7 sono stati destinati a coprire le perdite precedenti ed 1,8 è il nuovo capitale. Quindi, il FdR è intervenuto complessivamente per 3,5+1= 3,6 mld. Di questi 3,2 sono finanziati senza garanzia, mentre 400 sono finanziati dalla CdP.
Restando a disposizione.
Marco Perini
Egregio Professore, La ringrazio molto per la risposta.
Solo non capisco: se 1,7 mld sono serviti per coprire le perdite da svalutazione dei npl, e gli 1,5 mld figurano solo come credito (e quindi non effettivamente versati), come è possibile che le nuove banche abbiano cassa doppia rispetto al capitale sottoscritto? Non so se riesco a spiegarmi: 3,6 mld, di questi 1,8 per sottoscrivere nuovo capitale, e 1,7 per coprire perdite da svalutazione, la cassa non può che essere corrispondente al nuovo capitale. O mi sbaglio io. E poi, avete notizie della bad bank? Dov’è? Quando è stata creata? Quali sono gli organi nominati? E che differenza c’è tra le passività azzerate e quelle non azzerate ma non cedute alle nuove banche? Perdonatemi se sono incalzante e sembra che io voglia da voi delle risposte. So benissimo che voi brancolate nell’incertezza informativa come tutti, è solo che spero la vostra competenza possa aiutarmi a capire di più. Grazie e complimenti per il vostro lavoro.