Si è da poco conclusa la vicenda dall’aeroporto di Montichiari, conteso tra Verona e Bergamo. L’accordo è stato raggiunto per evitare la gara per l’affidamento della concessione e a danno di passeggeri e compagnie aeree. Privatizzazioni inutili e un piano di regolazione aeroportuale che manca.
La battaglia di Montichiari
Tra l’aeroporto Catullo di Verona e la società Sacbo di Bergamo la pace è ora ufficiale. Senza vinti, né vincitori tra gli scali in lotta, ma con due sicuri perdenti: i passeggeri e le compagnie aeree.
La società bergamasca che gestisce l’aeroporto di Orio al Serio ha chiuso i contenziosi aperti contro l’affidamento quarantennale della concessione dello scalo di Brescia-Montichiari in capo ai veronesi.
Lo scalo bresciano è costato 76 milioni di investimenti per la sua apertura e che ha accumulato 65 milioni di perdite di gestione, con un traffico da aeroclub di 10mila passeggeri l’anno. La battaglia giudiziaria sulla gestione di Montichiari è annosa: l’aeroporto è stato a lungo conteso perché oggetto del desiderio di Bergamo, che ne vedeva la valvola di sfogo per il traffico delle merci; mentre Verona ha beneficiato della concessione per tenere lo scalo monclarense in naftalina. La querelle si è ora risolta con un comunicato congiunto una settimana dopo l’incontro “distensivo” al ministero dei Trasporti. Dove il ministro Graziano Delrio e l’Enac (cioè i regolatori pubblici) hanno convinto i contendenti (i gestori) a cessare la guerra giudiziaria. “Era una guerra che non giovava a nessuno e poteva creare danni a tutti” hanno affermato in coro i litiganti.
Un sistema in affanno
Ma quali possono essere i danni provocati da una gara? Perché dovrebbe essere un pericolo fare, finalmente, le gare per l’affidamento delle concessioni, come previsto dalla normativa europea, negli aeroporti italiani? Aprire una fase nuova di sviluppo nel settore aeroportuale che finora ha distrutto più ricchezza di quanta ne abbia creata non dovrebbe essere un danno. Basterebbe citare le deludenti prestazioni di Malpensa, che nonostante i costi pubblici (2 miliardi di euro) è ancora sottoutilizzato, per capire che il sistema aeroportuale è malato. Per non parlare di Fiumicino messo in ginocchio per mesi dal cortocircuito di un condizionatore e dal fuoco di sterpaglie vicine al sedime aeroportuale. Oppure la proliferazione di tanti piccoli aeroporti sostenuti non dal mercato, ma dagli enti locali che hanno fatto delle società di gestione dei veri e propri centri di consenso elettorale.
In Italia ci sono 112 scali operativi (novanta aperti al traffico civile, dieci militari e civili e undici solo militari); quelli commerciali sono 46. A dirlo è una recente indagine della Cassa depositi prestiti, dove si ricorda che l’impatto economico degli aeroporti sul Pil italiano è del 3,6 per cento contro una media europea del 4,1 per cento.
I livelli di efficienza e competitività degli scali hanno standard inferiori a quelli europei e a nulla è valsa la privatizzazione iniziata negli anni Novanta. Accelerata in questa fase dalla crisi economica, ha indotto gli enti pubblici proprietari degli scali – comuni, province e regioni, con accresciuto fabbisogno di liquidità – a vendere le loro quote.
In tutto ciò, il ricorso di Sacbo stava involontariamente per diventare la testa d’ariete per scardinare i vecchi e inefficienti equilibri del sistema aeroportuale italiano e da qui derivano le pressioni (la cosiddetta “moral suasion”) nei confronti di Bergamo perché lo ritirasse. C’era il rischio che la Commissione europea potesse mettere in discussione tutto l’assetto delle concessioni aeroportuali affidate senza competizione, dando il via libera alle gare europee. Ritirato anche il ricorso del Catullo al Consiglio di Stato, le società di gestione sperano di interrompere automaticamente anche il procedimento in sede europea.
“Fare sistema” per i gestori degli aeroporti italiani significa essere uniti per restare monopolisti con bassa redditività, scarse caratteristiche industriali, ma con rendite garantite da tariffe elevate e poco efficienti. Fino ad oggi si è gabellata per concorrenza l’apertura di uno scalo vicino a un altro, ma non attraverso una gara o per la concessione. Fino a quando è stato possibile, il concessionario coincideva anche con il gestore unico dei servizi di terra. E quando si è aperto minimamente il mercato, per tenere in vita le goffe e inefficienti società di handling, sempre in perdita con organici gonfiati e spese assai discutibili, si è fatto ricorso al ripiano dei disavanzi con le risorse del gestore. Cioè con veri e propri aiuti di Stato, come nel caso di Sea che è stata multata per oltre 400 milioni di euro dalla Unione Europea. A nulla servirà il recente piano aeroportuale che in realtà è un piano di ripartizione dell’influenza degli scali (la domanda non ha confini amministrativi).
Sarebbe servito un piano di regolazione aeroportuale capace di liberalizzare il mercato prima delle privatizzazioni e di nuovi pasticci e soprattutto prima delle acquisizioni e fusioni aeroportuali in corso, come quella veneta (Venezia Treviso Verona e Montichiari) e quella lombarda (Malpensa, Linate e Bergamo): veri e propri cartelli che giovano alle imprese e danneggiano gli utenti.
La battaglia di Montichiari
Tra l’aeroporto Catullo di Verona e la società Sacbo di Bergamo la pace è ora ufficiale. Senza vinti, né vincitori tra gli scali in lotta, ma con due sicuri perdenti: i passeggeri e le compagnie aeree.
La società bergamasca che gestisce l’aeroporto di Orio al Serio ha chiuso i contenziosi aperti contro l’affidamento quarantennale della concessione dello scalo di Brescia-Montichiari in capo ai veronesi.
Lo scalo bresciano è costato 76 milioni di investimenti per la sua apertura e che ha accumulato 65 milioni di perdite di gestione, con un traffico da aeroclub di 10mila passeggeri l’anno. La battaglia giudiziaria sulla gestione di Montichiari è annosa: l’aeroporto è stato a lungo conteso perché oggetto del desiderio di Bergamo, che ne vedeva la valvola di sfogo per il traffico delle merci; mentre Verona ha beneficiato della concessione per tenere lo scalo monclarense in naftalina. La querelle si è ora risolta con un comunicato congiunto una settimana dopo l’incontro “distensivo” al ministero dei Trasporti. Dove il ministro Graziano Delrio e l’Enac (cioè i regolatori pubblici) hanno convinto i contendenti (i gestori) a cessare la guerra giudiziaria. “Era una guerra che non giovava a nessuno e poteva creare danni a tutti” hanno affermato in coro i litiganti.
Un sistema in affanno
Ma quali possono essere i danni provocati da una gara? Perché dovrebbe essere un pericolo fare, finalmente, le gare per l’affidamento delle concessioni, come previsto dalla normativa europea, negli aeroporti italiani? Aprire una fase nuova di sviluppo nel settore aeroportuale che finora ha distrutto più ricchezza di quanta ne abbia creata non dovrebbe essere un danno. Basterebbe citare le deludenti prestazioni di Malpensa, che nonostante i costi pubblici (2 miliardi di euro) è ancora sottoutilizzato, per capire che il sistema aeroportuale è malato. Per non parlare di Fiumicino messo in ginocchio per mesi dal cortocircuito di un condizionatore e dal fuoco di sterpaglie vicine al sedime aeroportuale. Oppure la proliferazione di tanti piccoli aeroporti sostenuti non dal mercato, ma dagli enti locali che hanno fatto delle società di gestione dei veri e propri centri di consenso elettorale.
In Italia ci sono 112 scali operativi (novanta aperti al traffico civile, dieci militari e civili e undici solo militari); quelli commerciali sono 46. A dirlo è una recente indagine della Cassa depositi prestiti, dove si ricorda che l’impatto economico degli aeroporti sul Pil italiano è del 3,6 per cento contro una media europea del 4,1 per cento.
I livelli di efficienza e competitività degli scali hanno standard inferiori a quelli europei e a nulla è valsa la privatizzazione iniziata negli anni Novanta. Accelerata in questa fase dalla crisi economica, ha indotto gli enti pubblici proprietari degli scali – comuni, province e regioni, con accresciuto fabbisogno di liquidità – a vendere le loro quote.
In tutto ciò, il ricorso di Sacbo stava involontariamente per diventare la testa d’ariete per scardinare i vecchi e inefficienti equilibri del sistema aeroportuale italiano e da qui derivano le pressioni (la cosiddetta “moral suasion”) nei confronti di Bergamo perché lo ritirasse. C’era il rischio che la Commissione europea potesse mettere in discussione tutto l’assetto delle concessioni aeroportuali affidate senza competizione, dando il via libera alle gare europee. Ritirato anche il ricorso del Catullo al Consiglio di Stato, le società di gestione sperano di interrompere automaticamente anche il procedimento in sede europea.
“Fare sistema” per i gestori degli aeroporti italiani significa essere uniti per restare monopolisti con bassa redditività, scarse caratteristiche industriali, ma con rendite garantite da tariffe elevate e poco efficienti. Fino ad oggi si è gabellata per concorrenza l’apertura di uno scalo vicino a un altro, ma non attraverso una gara o per la concessione. Fino a quando è stato possibile, il concessionario coincideva anche con il gestore unico dei servizi di terra. E quando si è aperto minimamente il mercato, per tenere in vita le goffe e inefficienti società di handling, sempre in perdita con organici gonfiati e spese assai discutibili, si è fatto ricorso al ripiano dei disavanzi con le risorse del gestore. Cioè con veri e propri aiuti di Stato, come nel caso di Sea che è stata multata per oltre 400 milioni di euro dalla Unione Europea. A nulla servirà il recente piano aeroportuale che in realtà è un piano di ripartizione dell’influenza degli scali (la domanda non ha confini amministrativi).
Sarebbe servito un piano di regolazione aeroportuale capace di liberalizzare il mercato prima delle privatizzazioni e di nuovi pasticci e soprattutto prima delle acquisizioni e fusioni aeroportuali in corso, come quella veneta (Venezia Treviso Verona e Montichiari) e quella lombarda (Malpensa, Linate e Bergamo): veri e propri cartelli che giovano alle imprese e danneggiano gli utenti.
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Amegighi
Mi pare una “rappresentazione” teatrale andata in scena più volte in Italia, per numerosi altri scenari coinvolgenti il cosiddetto “sistema strutturale”.
Un misto pubblico/privato di cui non si conosce mai il limite ed il confine, ma che, a parer mio, dà piena giustificazione al fatto che, tranne le solite (rarissime) eccezioni, i nostri Amministratori locali e i loro “figliocci” posti nelle varie Società pubbliche/private, sarebbero in grado di fare ben poco nella loro vita, per semplici limiti di capacità mentale e professionale. Nel pubblico e in quella zona oscura che è il confine pubblico/privato, possono fare e disfare (e guadagnare..) a piacimento loro con i nostri soldi.
Chiunque abbia preso un aereo superando le Alpi si sarà reso conto in cosa consiste, non solo il libero mercato, ma anche una precisa, intelligente e razionale organizzazione dei servizi e delle strutture.
Lei cita l’Aeroporto di Venezia e il “sistema aeroportuale veneto”. Ebbene, un sistema che ha un Aeroporto intercontinentale con voli giornalieri verso Oriente e al di là dell’Atlantico, con una pista corta a detta di tutti gli esperti (allungabile facilmente, visto il nulla attorno), privo totalmente di un collegamento ferroviario come spesso si trova ormai nel mondo (la ferrovia passa a 3-4 Km di distanza in mezzo alla campagna). Però si spendono soldi per aggiornare Treviso (distanza 40 km o meno) o Verona (distanza 80-90 Km) Tutte sedi collegabili facilmente con un treno navetta rapido.
riccardo gallottini
Se vogliamo implementare un sistema di affidamenti tramite gara dobbiamo essere consapevoli che significa stravolgere completamente l’attuale assetto del mercato aeroportuale. Ad oggi, come l’autore ben sa, ci sono aeroporti in gestione speciale (Milano, Bergamo, Roma ed altri per cui di volta in volta l’affidamento è deciso da un singolo provvedimento ad hoc), altri in gestore totale e altri gestiti direttamente dall’Enac. La prima cosa da fare è quindi prevedere un punto zero con un nuovo modello di affidamento. A questo punto però arrivano i problemi. Quanto è la durata media delle concessioni? Analizzando i dati ENAC è possibile notare che anche i medio – piccoli aeroporti (dati per merci trafficate e passeggeri) hanno una scadenza di concessione tra il 2035 e il 2045. La durata delle concessioni è fondamentale perché un nuovo affidamento del servizio assegnato tramite gara significa criteri chiari e trasparenti di calcolo del valore di rimborso al gestore uscente perlomeno dove la convenzione disciplina un indennizzo a favore dell’attuale affidatario. È fondamentale che questo sia definito ex ante al fine di evitare contenziosi tra le attuali società di gestione e le stazioni appaltanti che si occuperanno dell’indizione delle gare.Vanno poi individuati bacini di utenza ottimali del servizio che consentano un recupero di efficienze per il cittadino e parametri di qualità del servizio base da mettere a gara.È bene sapere che la strada è abb. in salita (anche se sfidante)
bob
…invece di parlare di gare perchè non parliamo di mercato reale. Come è possibile da Triste a Milano avere 8 aeroporti? Le favole anche con le gare sempre favole restano