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Inflazione: ecco come la Bce può rivedere il suo obiettivo

Passare da un target di inflazione “vicino, ma al di sotto del 2 per cento” a uno del “2 per cento in media” sarebbe pienamente coerente con l’obiettivo di stabilità dei prezzi previsto dallo statuto della Bce. E permetterebbe di tutelarsi contro l’insorgere del limite zero sui tassi di interesse.

L’unicità della Bce

La Banca centrale europea ha fallito il proprio obiettivo di inflazione – un tasso vicino, ma al di sotto del 2 per cento – per più di tre anni consecutivi (vedi figura sotto). La situazione dell’Eurozona richiama sempre più quella del Giappone negli ultimi dieci anni, con un tentativo frenetico, ma senza successo, della banca centrale di riportare l’inflazione in linea con l’obiettivo statutario.

Figura 1

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Un esplicito obiettivo numerico sull’inflazione, per qualsiasi banca centrale, non richiede che il tasso effettivo sia esattamente in linea col target (ad esempio, 2 per cento) in ogni istante di tempo. Ciò che conta, per una gestione ottimale delle aspettative, è che l’inflazione sia al 2 per cento in media. Ciò significa che, indipendentemente dal fatto che il tasso di inflazione ecceda il 2 per cento di mezzo punto percentuale (inflazione corrente al 2,5 per cento), o lo manchi della stessa misura (inflazione che scende all’1,5 per cento), imprese e famiglie devono aspettarsi che la banca centrale agisca con uguale decisione per riportarlo, entro un orizzonte temporale ragionevole, di nuovo in linea con l’obiettivo. Quindi, l’ipotetico “target del 2 per cento” può, nel tempo, essere avvicinato sia “dal di sopra” che “dal di sotto”, a seconda dello stato corrente (o previsto) dell’economia.
Il target di inflazione della Bce è invece asimmetrico intorno al 2 per cento. “Vicino, ma al di sotto del 2 per cento” significa che l’obiettivo stesso può, in linea di principio, essere raggiunto solo dal basso. Aspetto ancora più importante, ciò implicitamente suggerisce che convergere al 2 per cento “dal di sopra” non è considerato desiderabile. Tutto ciò rende la Bce unica tra tutte le banche centrali del mondo.

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Il limite zero sui tassi di interesse

Una lezione fondamentale della recente crisi finanziaria è che la presenza del limite zero sui tassi di interesse nominali è un vincolo molto più serio di quanto si pensasse in precedenza. Se l’ipotesi attuale di stagnazione secolare in Europa si rivelasse esatta, la Bce si appresterebbe a entrare in una nuova era per la politica monetaria: quella in cui operare pericolosamente vicino al limite zero sui tassi di interesse sarà la norma, piuttosto che l’eccezione.
Questa prospettiva richiede una ridefinizione dell’obiettivo di inflazione, eliminando l’asimmetria che fa sì che la Bce tratti il 2 per cento come un limite superiore. Il cambio di regime deriverebbe sostituendo la dicitura “vicino ma inferiore al 2 per cento” con “2 per cento in media”, e assumendo un impegno esplicito a conseguire tale obiettivo.
La ridefinizione del target sarebbe pienamente coerente con il cosiddetto “obiettivo di stabilità dei prezzi” dello statuto della Bce. In altre parole, non richiederebbe una modifica del mandato, ma solo una modifica (sebbene non marginale) della strategia di politica monetaria. Come tale, sarebbe politicamente molto meno costoso da introdurre, rispetto a variare il target tout court (ad esempio, dal 2 al 4 per cento).
Rendere simmetrico l’obiettivo di inflazione della Bce sarebbe giustificato da almeno tre motivi.
In primo luogo, un target simmetrico aiuterebbe a ridurre la probabilità di insorgenza del limite zero sui tassi di interesse. Si potrebbe obiettare che lo scopo potrebbe essere raggiunto affrontando il problema alla radice, cioè alzando l’obiettivo di inflazione del tutto (fino a 3 o 4 per cento). Tuttavia, non solo manca un consenso tra gli economisti (così come tra i banchieri centrali) sull’equilibrio tra costi e benefici di un obiettivo di inflazione più elevata. Allo stato attuale, in cui la Bce fatica a riportare il tasso di inflazione effettivo anche marginalmente vicino al target, renderlo ancora più alto rischierebbe di infliggere un duro colpo alla credibilità della banca (già messa dura a prova).
In secondo luogo, con inflazione bassa e persistente (come oggi), un impegno esplicito a un obiettivo di inflazione simmetrico aiuterebbe a rialzare le aspettative di inflazione (che oggi invece tendono al ribasso), perché darebbe il segnale che la Bce sarebbe disposta a tollerare tassi di inflazione superiori al 2 per cento nel futuro, pur in coerenza con una traiettoria dell’inflazione che converga al 2 per cento “dal di sopra”.
In terzo luogo, un obiettivo di inflazione simmetrico rafforzerebbe la credibilità della strategia di forward guidance della Bce. In una certa misura, un obiettivo di inflazione asimmetrico come quello della Bce è logicamente in contrasto con una simile strategia, poiché segnala implicitamente che future deviazioni (in eccesso) dell’inflazione dal target, anche se temporanee, non sono tollerate. Ma fare forward guidance significa proprio promettere oggi di accettare relativamente più inflazione in futuro, per alzare, oggi, le aspettative di inflazione, ridurre quindi i tassi di interesse reali e, si spera, stimolare l’attività economica. Con un target asimmetrico, questa promessa risulta poco credibile.
Tutelarsi contro l’insorgere del limite zero sui tassi di interesse sarà, nel prossimo decennio, il problema centrale della politica monetaria in tutte le economie avanzate, e in particolare nella zona euro. Questo punto di vista generale, quindi, più che le attuali condizioni macroeconomiche, richiede un rafforzamento dell’apparato di politica monetaria della Bce. Una ridefinizione del target di inflazione, per renderlo simmetrico intorno al 2 per cento, sarebbe un passo significativo in questa direzione.

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  1. Filippo

    Condivido tutto ho solo due commenti:
    1. Nella sostanza la BCE non ha già, e in più occasioni, ribadito la “simmetria” del suo obiettivo quatitativo?
    Si veda ad esempio: http://www.ecb.europa.eu/mopo/strategy/pricestab/html/index.en.html
    Inoltre, anche sul sito della BCE è presente il grafico con l’evoluzione del tassi di inflazione in cui la linea rossa rappresenta proprio la media: http://www.ecb.europa.eu/mopo/html/index.en.html

    2. Qual è il costo, soprattutto in termini di reputazione, di modificare il proprio obiettivo quando non si riesce a raggiungerlo nei tempi sperati? Non potrebbe creasi una situaizone in cui, in una fase in cui non
    si riesce a raggiungere l’obiettivo, i mercati comincino a scommettere che lo stesso possa essere ulteriormnete rivisto?

    Grazie.

  2. Davide Mastrocola

    Gli accadimenti di questi anni fanno dubitare della validità di un obiettivo dichiarato in termini di inflazione “desiderabile”. In più, quello del 2%, appare un parametro arbitrario la cui immutabilità sembra quasi un dogma, più che il frutto di considerazioni razionali dettate dall’analisi del contesto (percezione peraltro ampiamente suffragata dalla sfiducia dei mercati). Infine, preso atto dello scenario delineato da Draghi, sarebbe da chiedersi se – in presenza di potentissimi cambiamenti sociali ed economici alimentati dalla globalizzazione e dallo sviluppo tecnologico – abbia ancora un senso parlare di “inflazione” così come se ne parlava cento anni fa.

  3. davide mastrocola

    Gli accadimenti di questi anni fanno dubitare della validità di un obiettivo dichiarato in termini di inflazione “desiderabile”. In più, quello del 2%, appare un parametro arbitrario la cui immutabilità sembra quasi un dogma, più che il frutto di considerazioni razionali dettate dall’analisi del contesto (la sfiducia dei mercati è eloquente in merito alle “aspettative”). Infine, preso atto dello scenario delineato da Draghi, sarebbe da chiedersi se – in presenza di potentissimi cambiamenti sociali ed economici alimentati dalla globalizzazione e dallo sviluppo tecnologico – abbia ancora un senso parlare di “inflazione” così come se ne parlava nel ventesimo secolo.

  4. EzioP1

    In un commento inviato al Financial Times http://www.ft.com/cms/s/0/1bf80430-c03d-11e5-846f-79b0e3d20eaf.html#ixzz3xyHkTkm2 indicavo che è difficile credere che l’inflazione spinga i consumatori (famiglie e imprese) a spendere. I tempi difficili invitano tutti ad essere parsimoniosi e a risparmiare per tempi a venire percepiti più a rischio, di fatto nella realtà i depositi sono in crescita in USA, Giappone ed UE. L’aumento dell’inflazione sarebbe solo un vantaggio per l’economia finanziaria non per quella reale che vivono i consumatori. La risposta che ottenni, credo dallo staff della BCE, fu che lo stimolo monetario serve per promuovere la domanda e quindi la spesa in consumi che in secondo effetto fa crescere l’inflazione. Quindi l’inflazione non per sé stessa ma come mezzo di promozione dell’economia. Senza questo stimolo le imprese non investono, non creano lavoro, e i consumatori acquistano meno e a minor prezzo, riducendo così i profitti con l’effetto di spingere a ulteriore risparmio. Veniva anche indicato nella risposta che il problema era il passaggio di questi stimoli monetari dall’economia finanziaria all’economia reale. Ma il dubbio che rimane spontaneo è che gli stimoli monetari da soli riescano a promuovere l’economia reale. In realtà sembra mancare la fiducia nel futuro, e per creare questa fiducia occorre qualcosa in più della sola politica monetaria.

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