In che misura il restringimento dell’offerta di credito ha contribuito al rallentamento dell’attività economica in Italia? Uno studio recente, che utilizza dati sulle province, suggerisce che gli effetti non sono stati di poco conto. E sono stati diversi tra regioni, settori e categorie di impresa.

Credito e attività economica

Nel corso della grande crisi il credito all’economia ha fortemente decelerato e per alcuni anni si è contratto in misura consistente. Il quesito è quanto la riduzione del credito sia dipesa dalla contrazione della domanda di fondi da parte di famiglie e imprese e quanto, invece, abbia tratto origine da un restringimento dell’offerta da parte delle banche (credit crunch) e dunque abbia esacerbato la recessione.
Già diversi lavori hanno cercato di rispondere alla domanda nel caso italiano, sfruttando il fatto che le variazioni dell’offerta di credito sono state differenziate tra i diversi intermediari – in funzione, per esempio, della loro diversa dipendenza dal funding sull’interbancario e della differente rischiosità del portafoglio prestiti – per poi verificarne l’impatto su grandezze economiche rilevanti, quali gli investimenti (si veda qui e qui).
Un nostro lavoro recente contribuisce a questo filone di ricerche concentrandosi sulle differenze tra le diverse province italiane. La grandezza economica che colleghiamo alle variazioni dell’offerta di credito è l’andamento del Pil.

Misurare il credit crunch

Per cogliere le variazioni del credito attribuibili alla sola componente di offerta, abbiamo utilizzato dati panel relativi all’andamento dei prestiti di ciascuna banca in ciascuna provincia italiana. Il fatto che in ogni provincia siano presenti più banche e che una stessa banca operi in più province ci consente di stimare quanta parte della variazione del credito sia attribuibile alla domanda dei vari territori e quanta, invece, alle politiche di offerta delle singole banche. Quest’ultima componente, che rappresenta una misura dell’offerta di finanziamenti per ciascuna banca, al netto degli andamenti della domanda, viene poi riaggregata in base alle quota dell’intermediario nel mercato provinciale.
Sulla base di questo indicatore, si osserva come la restrizione del credito sia stata di intensità diversa nelle varie aree del paese, con una variabilità geografica diversa dalla tradizionale dicotomia tra Centro-Nord e Mezzogiorno. In particolare, la restrizione creditizia, nel periodo qui esaminato, ovvero sino al 2011, è stata più marcata in alcune province dell’Italia nord-occidentale, del Lazio e delle regioni insulari.

Leggi anche:  Per tassare gli extra-profitti serve una proposta chiara

L’impatto sul Pil

Gli effetti sul Pil sono direttamente visibili dalla figura 1, dove abbiamo diviso le province italiane in due gruppi, a seconda del grado di restrizione del credito cui sono state soggette tra il 2008 e il 2011 (purtroppo i dati sul Pil provinciale per gli anni più recenti non sono ancora disponibili). Fatto pari a 100 il livello del valore aggiunto nel 2007, la figura mostra che dal 2008 in poi l’attività economica è caduta dappertutto, ma in modo più marcato nelle aree maggiormente esposte a fenomeni di razionamento. In termini più formali, in base alle nostre stime, a un punto percentuale di calo dell’offerta di credito è corrisposta una flessione di 0,13 punti percentuali del valore aggiunto.
Dall’analisi sono emerse altre evidenze interessanti.

  • L’effetto negativo della riduzione di credito ha riguardato, sebbene in misura meno accentuata, anche la dinamica dell’occupazione, mentre non si nota alcun effetto sulle esportazioni: le imprese votate all’export sono quelle più produttive, con maggiore capacità di autofinanziamento e che meno hanno risentito dell’inaridimento dei fondi bancari.
  • L’impatto sul valore aggiunto non si riscontra nel quadriennio pre-crisi (2004-2007): nelle fasi cicliche “normali” gli effetti reali delle variazioni del credito bancario sono molto circoscritti probabilmente perché l’offerta è in grado di accomodare ampiamente la domanda.

L’effetto negativo della riduzione del credito è stato limitato alle imprese medio-piccole, verosimilmente più dipendenti dal canale bancario.

Figura 1

barone

Le province italiane sono state divise in due gruppi, a seconda del grado di restrizione del credito cui sono state esposte tra il 2008 e il 2011. Per entrambi i gruppi è riportata la dinamica del valore aggiunto, fatto pari a 100 il livello del 2007.
Elaborazioni degli autori sulla base dei risultati del lavoro di Barone, de Blasio e Mocetti (2015), The Real Effects of Credit Crunch in the Great Recession: Evidence from Italian Provinces.

 

* Le idee e le opinioni sono quelle degli autori e non investono la responsabilità dell’Istituto di apparenza.

Leggi anche:  Stabilità del sistema bancario tra tassi alti e tecnologia

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Per tassare gli extra-profitti serve una proposta chiara