La Cina rallenta e le esportazioni italiane ne risentono. Forse un po’ a sorpresa, se si considera che il mercato cinese pesa solo per il 2,8 per cento del totale. Ma ci sono anche gli effetti indiretti. Come quelli dovuti alle componenti italiane di prodotti tedeschi esportati nel paese asiatico.
Le esportazioni italiane verso la Cina
La crescita della Cina ha subito negli ultimi tempi una brusca decelerazione (LINK altro articolo) e, può essere interessante chiedersi quali siano le possibili implicazioni per l’Italia.
Il mercato cinese pesa solo il 2,8 per cento sul totale dell’export italiano ed è l’ottavo in ordine di importanza.
Le esportazioni italiane sono infatti in massima parte dirette verso l’Unione Europea (55 per cento) e gli Stati Uniti (7,5 per cento), ma il mercato cinese è stato di recente il più dinamico (+18 per cento), secondo solo a quello americano, cresciuto più di tutti lo scorso anno (+36 per cento rispetto al 2014). Al contrario, la domanda europea di beni italiani segna il passo (le esportazioni verso la Germania sono aumentate solo dell’1 per cento, quelle verso la Francia del 5 per cento).
E tuttavia, per alcuni settori (carta, cuoio, metalli e concimi) la Cina è un mercato molto importante (ben oltre il 10 per cento sul totale), quindi un forte rallentamento della domanda cinese potrebbe metterli in ginocchio, senza necessariamente manifestarsi a livello aggregato, dato il loro scarso peso sul complesso delle esportazioni nazionali.
Tabella 1
Elaborazioni su dati Eurostat (dati 2015)
Se è vero che i settori più dipendenti dalla domanda cinese pesano poco sul totale dell’export italiano, è altrettanto vero che quelli che hanno un’importanza ben maggiore, come i vari comparti dei macchinari, sono sì meno esposti alle sorti della Cina (le macchine strumentali a uso generale e specifico vi esportano rispettivamente il 4,3 e il 5,1 per cento), ma rappresentano rispettivamente il 10,1 per cento e il 5,5 per cento delle esportazioni complessive del nostro paese. Quindi, anche se l’impatto diretto del rallentamento cinese potrà essere limitato, sarà fortemente concentrato su pochi importanti settori.
Per le macchine strumentali a uso generale e specifico – i due comparti più importanti -, l’Unione Europea non è (più) il mercato principale, in quanto rappresenta meno della metà dell’export. E anche se le esportazioni dirette verso la Cina pesano relativamente poco, tutti i Brics sono diventati mercati importanti: se la Cina rallenta e se li porta dietro (come sta già succedendo), anche queste quote sono destinate a riaggiustarsi. Gli Stati Uniti, invece, su cui tanto si insiste per tener alto l’export, non pesano poi molto per questi settori.
Tabella 2 – Export italiano
Elaborazioni su dati Eurostat (dati 2015)
Gli effetti indiretti
L’impatto più importante sarà però quello indiretto. L’Italia, infatti, partecipa alle filiere europee guidate in parte dalla Germania – il principale mercato di sbocco per molti comparti della meccanica strumentale italiana -, che a sua volta è altamente esposta sul mercato cinese. Se la Cina rallenta ci saranno dunque ripercussioni per via indiretta anche sulle esportazioni italiane.
Un primo modo semplice e veloce per valutare l’effetto indiretto è attraverso il calcolo dell’elasticità dell’export. Tra il 2002 e il 2014 quello italiano verso la Germania nel comparto dei macchinari specializzati è aumentato del 15 per cento, con una variazione delle esportazioni tedesche verso la Cina del 124 per cento (vale a dire un’elasticità pari a 0,12). Nel comparto dei macchinari a uso generico, invece, negli stessi anni l’export italiano verso la Germania è aumentato del 239 per cento, mentre la variazione di quello tedesco verso la Cina è del 374 per cento (vale a dire un’elasticità pari a 0,64). Ciò significa che mediamente per ogni punto percentuale di aumento delle esportazioni tedesche verso la Cina in ciascuno dei due comparti, l’export italiano aumenta rispettivamente dello 0,12 per cento e 0,64 per cento.
Di conseguenza, quando le importazioni cinesi hanno iniziato a rallentare pesantemente, anche le esportazioni italiane ne hanno risentito, molto più di quanto non ci si aspettasse guardando solo i dati sull’export del nostro paese verso la Cina, proprio perché parte della domanda cinese arriva alle imprese italiane attraverso gli ordini cinesi alle aziende tedesche.
Secondo i dati Ocse, dal 1995 al 2011 (ultimo dato disponibile), il contenuto di input italiani nelle esportazioni tedesche di macchinari è aumentato da 1 a 3,5 miliardi di dollari e solo quello di macchinari superava nel 2011 i 500 milioni di dollari. Questi dati confermano, da un lato, che, nell’Europa trainata dalla locomotiva tedesca, l’importanza del mercato cinese per le imprese italiane va ben oltre il valore dell’export bilaterale e, dall’altro, che la partita della competitività delle nostre merci in Cina si gioca tanto a Pechino quanto a Berlino.
Figura 2 – Valore degli input italiani nell’export tedesco di macchinari (milioni di dollari)
Elaborazioni su dati Ocse-TiVa
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paolo serra
Ma è proprio vero che la Cina rallenta? Forse in termini relativi ma non in termini assoluti. Per esempio dal 2004 al 2004 il pil cinese è passato da 1932 miliardi di dollari a 4522 con un crescita media del 14% pari a 647 miliardi l’anno, nel 2014 è stato 10431 miliardi e nel 2015 è cresciuto di circa il 7% pari a 724 miliardi, quasi 80 miliardi l’anno in più delle conclamate crescite dei primi anni del 2000. I media insistono sulle percentuali ma quello che conta non dovrebbero essere i valori assoluti?