Le collaborazioni tra industria e università sono difficili da sviluppare, almeno in Italia. Ma danno risultati di grande valore tecnologico. A ostacolarle è anche l’incapacità del nostro paese di attrarre le star della ricerca, perché la reputazione è un fattore chiave. Uno studio sui brevetti.

Tre domande chiave

Le collaborazioni tra imprese e università, e più in generale con il sistema della ricerca, sono oramai pervasive in tutte le agende politiche che si occupano di sviluppo locale, scienza, tecnologia e innovazione. I collegamenti tra le due istituzioni possono generare vantaggi per entrambi i lati della collaborazione; tali interazioni sono ad esempio una chiave di successo in numerosi distretti industriali italiani.
In un recente studio ci siamo posti alcune domande essenziali sul tema, per quanto riguarda in particolare l’Italia.

  • Le collaborazioni università-impresa si formano con maggiore difficoltà?
  • I loro -risultati sono qualitativamente differenti?
  • Quali fattori le facilitano e quali le ostacolano?

Per rispondere utilizziamo dati sviluppati dalla Bocconi che includono tutti i brevetti registrati in Italia nel periodo 1978-2007. Elemento peculiare è la possibilità di identificare gli inventori accademici, ossia gli inventori che lavorano nelle università e nei centri di ricerca.
L’analisi si basa sulla comparazione tra coppie reali di inventori (i casi in cui su un brevetto hanno collaborato due o più inventori) e coppie virtuali (i casi di coppie che avrebbero potuto formarsi sulla base di caratteristiche simili ma non si sono realizzate nella realtà). La maggior parte delle collaborazioni avvenute, pari al 74 per cento, hanno luogo all’interno dell’industria (tra imprese), il 3 per cento coinvolgono solamente il mondo della ricerca (tra università o centri di ricerca), mentre il 23 per cento sono collaborazioni tra università e industria.

Un ponte da costruire

Le figure 1 e 2 riportano alcune caratteristiche descrittive del campione per aree geografiche. Il Nord guida sia la quota di collaborazioni nella generazione di innovazione, sia la quota di brevetti in cui almeno un inventore lavora nel settore della ricerca. Segue il Centro, dove il peso di Roma influenza il risultato rispetto ai brevetti degli accademici, mentre il Sud mostra un grave ritardo sia in termini di collaborazioni sia nel coinvolgimento della ricerca pubblica nella creazione di innovazione tecnologica.

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Figura 1 – Quota di brevetti prodotti in collaborazione per macro-regione (1978-2008).

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Figura 2 – Quota di brevetti prodotti in collaborazione con l’università per macro-regione (1978-2008).

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I risultati mostrano che le collaborazioni tra imprese e università sono intrinsecamente più “difficili” rispetto alle collaborazioni all’interno dell’industria e della ricerca. Questo può dipendere da una serie di ragioni, quali la presenza di differenti meccanismi di incentivi, norme, pratiche e culture che agiscono come barriere per comportamenti collaborativi tra i due contesti.
Anche problemi di asimmetria informativa possono giocare un ruolo: da un lato, le imprese possono avere costi elevati di ricerca della giusta partnership e difficoltà nell’identificare la qualità dei ricercatori, mentre dall’altro i ricercatori possono trovare più semplice verificare la qualità dei loro “pari”.
I risultati mostrano poi che, anche dopo che le collaborazioni sono state stabilite, la “produttività” (misurata in termini di numero di brevetti generati dalla stessa collaborazione nel tempo) è minore nel caso delle relazioni tra università e impresa. Tuttavia, “pesando” i brevetti per la loro qualità (misurata con le citazioni), i risultati cambiano in modo significativo. In questo caso, sono le collaborazioni tra impresa e università a generare brevetti con maggiore valore scientifico e grado di applicabilità (cioè, usati come base da altri inventori per sviluppare nuove applicazioni innovative).
Cosa riduce la difficoltà nella collaborazione tra impresa e università? In primo luogo, la prossimità geografica: la vicinanza tra l’impresa e l’università rende la collaborazione più semplice.
Il secondo fattore è la reputazione, sia dell’inventore accademico sia dell’inventore dell’impresa.
Infine, la circostanza di risiedere entrambi in un contesto urbano, che agisce in modo simile alla prossimità geografica, ma aggiungendo un fattore di agglomerazione.
Per concludere, se la politica valuta con favore la collaborazione tra il mondo delle imprese e il settore della ricerca pubblica, allora interventi mirati a incentivarle possono correggere una situazione di partenza che di fatto le scoraggia. Politiche mirate al rafforzamento delle competenze locali sono tuttavia un prerequisito e possono indirettamente favorire future collaborazioni, soprattutto nelle regioni tecnologicamente più arretrate, in cui le imprese hanno meno da guadagnare da rapporti con la ricerca di base. Meccanismi che rendano la qualità degli inventori accademici più visibile e comprensibile al mondo delle imprese possono agevolare le collaborazioni nelle regioni più avanzate. La reputazione scientifica degli scienziati rimane un fattore chiave per la formazione di ‘ponti’ tra università e impresa: l’assenza di attrattività del nostro paese per le star della ricerca penalizza la capacità innovativa della nostra economia anche in questo ambito.

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Questo articolo è disponibile anche su www.tvsvizzera.it

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