Domenica 17 aprile si terrà il referendum sulle trivelle, termine evocativo quanto inesatto. Perché gli elettori devono decidere se i permessi per estrarre idrocarburi in mare entro 12 miglia dalla costa debbano durare solo fino al termine della concessione. Il quesito e le esplorazioni future.
Da dove viene il referendum?
Domenica 17 aprile si terrà il cosiddetto “referendum sulle trivelle”, termine evocativo quanto inesatto, ma utile per il dibattito nell’agone politico. Il risultato è molto probabilmente già scritto, con un’affluenza insufficiente a raggiungere il quorum del 50 per cento degli aventi diritto, che renderà inutile lo sforzo dei cittadini e delle compagini politiche che invece andranno a votare per il “sì”. Interessa però notare che si tratta del primo referendum nella storia del nostro paese a essere stato ottenuto dalle regioni.
Tutto inizia nel settembre 2015, quando Pippo Civati e il suo movimento Possibile cercano senza successo di raccogliere le 500mila firme necessarie per chiedere otto referendum popolari su una serie di questioni piuttosto eterogenee. Fra queste ce n’è una legata al tema connesso alle operazioni di trivellazione ed estrazione di idrocarburi dal fondale marino. Alcune norme, approvate prima dal governo Monti (Decreto Sviluppo, Art. 35
Disposizioni in materia di ricerca ed estrazione di idrocarburi) e poi dal governo Renzi (Sblocca Italia, gli articoli 36, 36-bis e 38 hanno introdotto misure volte a dare implementazione agli obiettivi prefissati dal documento di Strategia Energetica Nazionale (SEN) tra cui il c.d. titolo concessorio unico per le attività di ricerca e coltivazione di idrocarburi) , avevano infatti reso meno complesso ottenere i permessi per esplorazione ed eventuale sfruttamento di giacimenti di idrocarburi offshore, aumentando il numero di anni di durata delle concessioni – sia di esplorazione che di sfruttamento – e rendendo possibili anche operazioni a meno di 12 miglia dalla costa.
Poche settimane dopo il fallito tentativo di Civati, dieci consigli regionali (Abruzzo, Basilicata, Marche, Puglia, Sardegna, Veneto, Calabria, Liguria, Campania e Molise) promuovono sei quesiti referendari sulla ricerca e l’estrazione degli idrocarburi in Italia. L’Abruzzo si ritira successivamente dalla lista dei promotori.
A dicembre dello scorso anno il governo propone alcune modifiche alla legge di stabilità sugli stessi temi affrontati dai quesiti referendari. Per questa ragione, la Cassazione ne dichiara ammissibile solo uno, perché gli altri cinque – secondo la Corte – erano stati già recepiti dalla legge di stabilità. Il governo torna quindi sui suoi passi restituendo alle regioni gran parte della potestà su queste questioni.
Le Regioni hanno dunque già vinto il confronto con lo Stato centrale, vedendosi riconosciuti diritti che avevano perso con il decreto “sblocca Italia”. Ma anche la Corte costituzionale, cui spetta una seconda pronuncia sull’ammissibilità dei referendum, ha ritenuto che la legge di stabilità non depotenziasse tutti i quesiti, tenendone in piedi uno. Quello su cui si andrà a votare.
Cosa chiede il referendum?
La questione è molto tecnica e si ha l’impressione che non tutti gli elettori vadano a votare con un adeguato grado di preparazione. Il dibattito politico – ma non è una novità – non aiuta quando usa strumentalmente il referendum per esporre tesi, o sostenere posizioni, che hanno a che fare più con la stabilità del governo che con il tema vero e proprio.
Gli elettori dovranno decidere se i permessi per estrarre idrocarburi in mare entro 12 miglia dalla costa (poco più di 22 chilometri da terra) debbano durare solo fino al termine della concessione. Oggi la legge prevede infatti che le concessioni abbiano una durata iniziale di trenta anni, prorogabili una prima volta per altri dieci, una seconda volta per cinque e una terza volta per altri cinque; al termine della concessione le aziende possono chiedere la proroga fino all’esaurimento del giacimento.
Solo le 21 delle 69 concessioni estrattive marine oggi operative che si trovano entro il limite di 12 miglia sono interessate al referendum: 7 in Sicilia e altrettante nel mar Ionio, 4 nell’Adriatico centrale e 3 in quello settentrionale. Le prime concessioni che scadranno sono ovviamente quelle degli impianti più vecchi, costruiti negli anni Settanta.
In pratica, se il referendum dovesse passare, quelle 21 piattaforme verranno smantellate una volta scaduta la concessione, senza poter sfruttare completamente il gas o il petrolio nascosti sotto i fondali. In caso contrario, non cambierà nulla.
E dunque?
Proviamo a mettere ordine cominciando dal nome: referendum no-triv. Le trivelle perforano, le piattaforme estraggono. Dove iniziano le prime finiscono le seconde. Il nome no-triv non rispecchia il contenuto del referendum, come non aiuta la comprensione e la consapevolezza su tutto quello che è connesso a produzione ed esplorazione.
Anzitutto un numero: il contributo al fabbisogno italiano di idrocarburi (2015) è pari al 9,4 per cento per il petrolio e al 10,2 per cento per il gas. Disporre di queste risorse comporta una riduzione della “bolletta energetica” per un valore di circa 3,2 miliardi di euro.
Il punto centrale allora è se esiste un interesse del paese a sfruttare le pur non enormi riserve di idrocarburi presenti. Diciamo che non esistono paesi che, avendo fonti energetiche da sfruttare, decidano di dipendere al 100 per cento dalle importazioni. Per quanto riguarda quindi gli investimenti già fatti (o fatti in gran parte) sembra ovvio poter continuare a utilizzare le strutture esistenti e sfruttare i pozzi fino in fondo.
Sulle nuove esplorazioni (onshore, offshore, petrolio o gas, entro o oltre le 12 miglia) invece è tutt’altra storia, ma il referendum del 17 aprile non verte su questo tema.
Questo articolo è disponibile anche su www.tvsvizzera.it
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paolo
solo una precisazione, la vittoria del si non implica lo smantellamento delle piattaforme ma solo che il rinnovo delle concessioni non sia automatico. corretto?
Marco
Sbagliato. Il rinnovo non automatico ma possibile fino a fine vita utile è quanto ad oggi la legge prevede per chi alla scadenza della concessione non abbia esaurito il giacimento che, in gergo settoriale, coltiva. Non solo, violando le norme ambientali in vigore ovviamente anche una piattaforma nel pieno di una concessione può essere finanche posta sotto sequestro. Vincendo i sì non ci saranno più estrazioni una volta scadute le concessioni già rilasciate, senza altra possibilità. Ben diverso. Che uno dice “potevi ottenere una concessione più lunga se davvero nel tuo giacimento c’era molto metano” (non che sia d’accordo che un concetto assolutistico di questo tipo posa essere difendibile), peccato che le durate delle concessioni già ottenute fossero prestabilite. Avendo sfruttato la coltivazione iniziale sempre trentennale, i rinnovi erano ottenibili di dieci anni in dieci anni (in un quadro normativo in cui non c’era un numero max di rinnovi potenzialmente ottenibili). Avendo altri 40 anni di estrazione davanti a te potevi chiedere una proroga comunque max decennale (ma rinnovabile, come detto). Certo, vincendo i sì sbaracco prima, ma che importa in un Paese che comunque attrae investimenti come api sui fiori in primavera. Detto questo anche le ragioni del sì fossero fondate, è assurdo chiamare 51 milioni di aventi diritto ad esprimersi su di un simile cavillo normativo solo poiché maggiorenni laddove l’analfabetismo funzionale è al 47% della popolazione adulta.
ms
Interessante, in primis il concetto di analfabetismo funzionale. Come è costruito il costrutto e indicato questo 47% di pop. adulta con analfabetismo funzionale? E quali variabili non anagrafiche possono rendere i cittadini meno o più capaci di prendere decisioni?
Questo dibattito può motivare qualcuno a leggersi la norma e cercare di capire meglio le conseguenze del proprio voto. Si potrebbe anche dire: perché non è possibile o non conviene rinnovare una concessione che scade mettendola “a gara” dopo avere previsto attività per la chiusura del giacimento? E’ una domanda da non esperto. Ma quanto esprto devo diventare di giacimenti e contratti di concessione petrolifera per per poter fare una scelta domenica? Se vado “al mare”, rinuncio, non ci penso ed evito il problema. Non sono esperto, e lascio fare agli “esperti”. Quindi non leggo, non mi sforzo… attribuisco una fiducia assoluta nell’azione del governo, o seguo il “leader”, etc. Poniamo che io sia tra coloro che non amano seguire come la pecora il pastore. Questo favorisce o contrasta il mio stesso rischio di analfabetismo funzionale? E in generale: è l'”eccesso di delega” una delle cause plausibili di analfabetismo funzionale?
Marco
Per ordine: 1) Su come sia costruito il dato sull’analfabetismo funzionale della pop. adulta italiana cui mi riferisco legga pure lo Human Development Report dell’ONU che lo stima. 2) Sulle modalità di rinnovo si può aprire un dibattito, non dimenticando che ogni singola concessione in oggetto comprende le caratteristiche di monopolio naturale, che non è oggetto di un referendum che abroga una riga di legge circa la salvaguardia da un divieto assoluto per chi già la concessione l’aveva ottenuta. 3) Si informi e decida liberamente se è meglio recarsi alle urne il 17 oppure no, il mio punto è che è impossibile che tutti ci informiamo su tutte le questioni tecniche regolate dal sistema legislativo e qui non si parla di un tema comune ai più, come aborto o divorzio, ma decisamente di un tema specifico dove la consultazione popolare non aggiunge nulla ad un dibattito ambientale ed energetico di salvaguardia ambientale che è parallelamente in corso, dimostrato dal recente divieto di future esplorazione entro le 12 miglia ottenuto senza un referendum.
ms
Grazie per l’indicazione sull’analfabetismo funzionale. Quello che conta è sempre il costrutto e quali sono le possibili cause di un gap tra capacità e performace (se misura questo). La risposta può motivare ricerca sperimentale. Non usavo infatti alcuna ironia dicendo che può essere interessante valutare se una tendenza ad “eccedere nella delega” (non solo politica e in ogni campo) possa contribuire a ridurre le capacità di utilizzo delle competenze culturali acquisite e disponibili in una popolazione. I suoi interventi sollevano anche più di una questione quando menziona il monopolio naturale: di norma è disciplinato attraverso proprietà ed esercizio pubblico o prop. pubblica e gestione privata, ma con affidamenti sempre a termine. Lei dice poi: sarebbe ininfluente votare “Si” a questo referendum per le attività oltre il limite delle 12 miglia. Se un monopolio naturale impedisce possibile concorrenza, non c’è solo un problema di sicurezza e rischio ambientale in aree costiere, ma anche di valutazione del vantaggio. E’ difficile credere che una impresa estragga per beneficienza. Non solo mi informo, ed ha molto ragione che si debba farlo, ma inviterei tutti a cogliere l’opportunità x informarsi meglio sulle regole e funzionamenti nello sfruttamento (senza limiti di tempo? Davvero?) di idrocarburi sui mari dove si esercita in qualche forma la sovranità nazionale. Nessuna legge ha già stabilito di limitare la partecipazione democratica al diritto di famiglia, no?
bob
..io credo che non ci sia miglior carburante in termini di resa dell’ analfabetismo. Ma non quello istituzionale ma quello nel senso letterale del termine. Come per il nucleare si chiede un parere tecnico ad un Paese in cui, oltre con % di anziani consistenti, si somma una % di analfabeti da far paura. Ti immagini delegare a mia zia Olga di 90 anni la scelta di un fatto tecnico ( che poi tecnico non è) ? Il referendum è solo una bagarre tra fazioni politiche perdipiù localistiche che non ha alcun senso tecnico e neanche politico …oltre che non fregare assolutamente nulla a chi lo promuove. Un piano energetico è una cosa seria di politica lungimirante di analisi dettagliate che devono comprendere e includere tutte le risorse che il Paese ha disponibili (idroelettriche, eoliche, gas, petrolio etc) in una visione totale che consente di limitare le fonti più dannose all’ambiente. Abbiamo detto NO al nucleare ( allora votava mia zia Giacomina) avendo un corollario di centrali nucleari dietro le nostra Alpi a un tiro di schioppo! Rispetto per i due emeriti studiosi.. ma di cosa stiamo parlando?
Gianfranco
Ho l’impressione che se vince il si, alla scadenza delle concessioni comincino le ‘concertazioni’ dei vari personaggi delle regioni piu o meno ‘limpidi’ con le aziende petrolifere, con i soliti scambi di favori, oliate varie etc.etc. Temo (e mi piacerebbe venire smentito) che non sia questo l’ obiettivo nascosto dei ‘si’ del referendum.
claudio
sbagliato, non sarebbe possibile rinnovare le concessioni, per cui le piattaforme andrebbero smantellate in linea di principio.
Alessandro Lanza
Corretto.
Marco
Professore, come può dire che il commento di Paolo sia corretto? Abrogando la salvaguardia dei titoli abilitativi già rilasciati “per la durata di vita utile del giacimento” rispetto ad un divieto erga omnes, alla scadenza delle concessioni già in essere vige il divieto di continuare. Non si stabilirebbe alcuna possibilità di un rinnovo non automatico!
Marina
Voterò sì , ma per una sola ragione poco attinente al merito del quesito ovvero: sono contraria ad ogni forma di proroga o rinnovo di concessioni su qualunque bene demaniale o “bene comune” (come le acque territoriali). Troppe ne abbiamo viste sulle concessioni (o proroghe e rinnovi delle medesime) autostradali o delle spiagge. NO sempre (ovvero SI al referendum).
Enrico Corvonato
Sicuramente vincera’ il si ma non ci sara’ il quorum, quindi il referendum sara inefficace. Se vincessero i si in presenza di quorum, le concessioni non potrebbero essere piu’ rinnovate e le piattaforme dovrebbero essere smantellate. Non ci sarebbe piu’ possibilita’ di proroga, punto. Uso il conizionale perche’ come gia’ accaduto con il referendum sul finanziamento ai partiti o sull’acqua, il legislatore se ne e’ comunque ampiamente infischiato stravolgendo il senso stesso delle parole. Dunque nella remota ipotesi, le 12 miglia verranno interpretate usando il miglio maia reperito nella stele di rosetta, equivalente a 10km…
Henri Schmit
Sarebbe giusto distribuire questo articolo a tutti i giornali e talk show e risettare tutto il dibattito, anzi rinunciare a questo scempio di referendum. Personalmente sono un difensore del referendum all’elvetica, d’iniziativa popolare a tutto campo, di censura legislativa e di proposta costituzionale, ma con adeguate garanzie procedurali (firme, quesiti chiari e contrariamente alla Svizzera penso che sia giusto fissare un quorum, l’unica cosa che la riforma costituzionale in corso sta invece abolendo), ma ritengo che il referendum de 17 aprile sia una degenerazione che rischia di danneggiare lo strumento per future battaglie vere ed impostate correttamente. Non mi pronuncio nemmeno sul merito che è troppo tecnico e troppo poco importante per essere proposto al verdetto popolare. Una domanda referendaria ammissibile sarebbe p. es. se lo Stato può rilasciare concessioni gratuite o senza termine o senza indire una gara di appalto, ma non questa roba bizantina qua. (Quasi) tutti siamo per la difesa dell’ambiente, tutti siamo a favore di una minor dipendenza energetica dalle importazioni e tutti preferiamo prezzi dell’energia più bassi; ma non è questa la questione. Quando domani ci saranno altre campagne molto più importanti, purtroppo non sempre chiare e “decidibili”, sulla legge elettorale e sul pot pourri delle riforme costituzionali, la gente sarà stufa o peggio ancora utilizzerà il voto al referendum per esprimere la propria approvazione o disapprovazione al governo.
Raffaele Piria
Buon titolo. Ma di cosa stiamo parlando?? Trovo sorprendente che l’articolo poi non dedichi una parola al cambiamento climatico e ad altri impatti ambientali. Mi son fatto una falsa impressione perché vivo all’estero o il referendum sta parlando anche o soprattutto di questo? Non erano gli ambientalisti che avevano iniziato la campagna?
Gli obiettivi climatici dell’accordo mondiale di Parigi, a cui l’Italia e l’UE aderiscono, implicano che la stragrande maggioranza (intorno all’80%) delle riserve di combustibili fossili debbano rimanere nel sottosuolo. Vedi p.es.
http://www.carbonbrief.org/carbon-briefing-making-sense-of-the-ipccs-new-carbon-budget
e
http://leave-it-in-the-ground.org/wp-content/uploads/2016/02/Post-Paris-Carbon-Budget-LINGO.pdf
Lignite e carbone, ma anche gran parte delle riserve di metano, che emette meno CO2, ma con le fughe di metano può avere un impatto climatico complessivo non di molto inferiore al carbon fossile.
Lasciare il carbonio nel suolo significa deprezzare assets di molte aziende. Si parla di una grande carbon bubble. Cominciare con l’abolizione della modifica di una legge che prolunga concessioni date 40-45 anni fa è uno dei modi meno costosi per farlo. Certo non basta, bisogna anche promuovere efficienza e rinnovabili e non limitarsi a sostituire la produzione italiana con ulteriori importazioni. Ma pretendere che il dibattito sul clima non c’entri nulla con questo referendum è poco realistico.
Roberto
Io voterò “NO”. L’indipendenza energetica (almeno parziale) porta benefici in politica estera e nella politica economica.
federico
Un paio di considerazioni. Lasciare così com’è la norma, ovvero abolire il limite temporale dei contratti significa rimandare all’infinito il ripristino della situazione ambientale come prevede la legge. Ovvero le piattaforme resteranno lì all’infinito con un bel risparmio economico per le società che estraggono. Inoltre, grazie alla franchigia presente nelle royalties, che determina il pagamento fiscale solo se superata una certa quota annuale di fossili estratti, le compagnie petrolifere, per non pagare le tasse, non dovranno far altro che pianificare di estrarre restando entro i confini della franchigia.
Marco
Quello che prospetta non ha senso. I costi fissi nel mantenimento di una piattaforma, anche se non estrae, sono molto elevati. Assolutamente antieconomico rimandare un’opera di bonifica comunque obbligatoria. Nel medio periodo i costi di mantenimento supererebbero quelli della bonifica, lasciando peraltro ancora interamente i costi di bonifica da sostenere.
Tazio
andrebbe precisato che le quantità di petrolio e di gas dei pozzi entro le 12 miglia,
incidono per lo 0,9% e il 2,9 % sul fabbisogno italiano. Citando solo i numeri globali relativi alla produzione “in house” può risultare fuorviante.
Vincenzo Piccone
Qualche osservazione su “Diciamo che non esistono paesi che, avendo fonti energetiche da sfruttare, decidano di dipendere al 100 per cento dalle importazioni. Per quanto riguarda quindi gli investimenti già fatti (o fatti in gran parte) sembra ovvio poter continuare a utilizzare le strutture esistenti e sfruttare i pozzi fino in fondo.”. Una volta stabilito (accettato?) che entro le 12 miglia non sono possibili piattaforme ed estrazioni, giudicando la sicurezza prioritaria rispetto ad altre esigenze, qual è la logica per cui si tolgono i limiti temporali esistenti alle piattaforme esistenti entro le 12 miglia? Se esiste il problema del 100% di dipendenza energetica si dovrebbe discutere il divieto entro le 12 miglia. Francamente non mi sembra tanto ovvio invece poter continuare lo sfruttamento oltre i tempi delle concessioni esistenti a fronte del divieto entro le 12 miglia per nuove estrazioni. Forse mi sfugge qualcosa.
Marco
Capisco che i miei continui commenti possano far pensare che io abbia chissà quali interessi nelle piattaforme operanti entro le 12 miglia in Italia (non mi firmo con nomi diversi dal mio), ma non appaiono molti altri commentatori con coscienza dello specifico mercato, quindi scusatemi ma non mi esimo. Ho capito il tuo punto, provo umilmente a spiegarti una cosa però. Come a me sembra intuitivo, il pericolo ambientale delle piattaforme cambia sensibilmente tra la fase di ricerca, di perforazione, di estrazione (“coltivazione”), rimozione e bonifica. Concedere nuove concessioni implica tutte le fasi. La somma di tutti i pericoli potenziali. Lasciare che chi ha già (era permesso) ricercato e perforato possa continuare ad estrarre (sicuramente meno rischioso di “bucare” e costruire) è ben diverso, dato che consente solo di protrarre un periodo “statico” in cui il gas sale su fino a dove viene immagazzinato. Tanto più, come detto da altre parti, che in pratica tutto ciò cui rinunci perché “tappi” prima il buco sarà compensato un pochino da utilizzo maggiore dei gasdotti (devo essere breve, dati ovvi limiti specifici di portata sono già usati praticamente al max) e molto da metaniere (navi che trasportano gas liquido), entrambi (soprattutto le seconde) più pericolose della mera parte estrattiva e statica di una piattaforma già attiva. Questo ragionamento dunque vale senza nemmeno considerare la parte relativa alla perdita economica.
Nicola
Do enfasi alla questione posta da Paolo e mi chiedo anche io: non esiste una violazione delle regole sulla libera concorrenza una concessione senza vincoli temporali? Il SI implica la chiusura delle piattaforme o solo una riapertura della contrattazione per un’ulteriore concessione?
Marco
Ragazzi, non so come dirvelo, siete tutti fuori tema. Attualmente al divieto di ottenere nuove concessioni entro le 12 miglia nautiche, viene fatta deroga per quelle concessioni già rilasciate. Questo significa che ad oggi, senza referendum, nuove concessioni non possono essere rilasciate, ma questo divieto non agisce sui rinnovi di quelle già esistenti che, come prima, possono essere rinnovati di 10 anni in 10 anni in maniera NON automatica. Rinnovo potenzialmente indeterminato (continui ottenimenti per pozzi tendenti ad infinito) che resta attivo pari pari per le concessioni oltre le 12 miglia, anche quelle future, anche con una vittoria di questo referendum. Entienden?
ms
Ho l’impressione che i cittadini italiani (inclusi i promotori di referendum) siano meno sciocchi di come talvolta o spesso certi ambienti di establishment li rappresentano. In questo caso, invece di commentare gli aspetti deteriori della propaganda (condivido sia poco chiara), faccio mia la stessa domanda posta dal primo intervenuto (“paolo”). Sin dall’inizio di questa vicenda non sembra affatto ovvio che chi è titolare della sovranità (e non a giorni alterni) deleghi un governo a prendere decisioni che sottraggono a precisi limiti temporali, verifiche e controlli lo sfruttamento di una risorsa naturale (operato attraverso attività estrattive non banali). Mi sembra ovvio il contrario, e cioè che i cittadini vogliano capire e decidere se e come una risorsa naturale possa o debba essere estratta una volta scaduti i termini di una concessione. L’idea che siamo governati da super-tecnici, super-esperti, e generose compagnie private che ci tutelano come popolo semi-analfabeta, è molto lontana dagli ideali democratici sui quali questa Repubblica è fondata.
Sorprende anche che un partito che si autoproclama “democratico” la porti avanti fino al punto da invitare a non andare a votare.
Alexander
Professore, non mi sembra che le compagnie regalino il materiale estratto allo Stato Italiano, noi lo paghiamo come se fosse estratto altrove, poi lei sa benissimo che per più del 50% i petrolieri no strani non pagano le royalties perché rimangono (apposta) sotto la franchigia!
Comunque il SI al referendum serve anche a dare una sterzata ai nostri politicanti.
daniele
una domanda:
se vince il NO, le compagnie petrolifere che stanno sfruttando un giacimento, hanno la possibilità di fare nuove perforazioni per estrarre dal giacimento stesso?
Non essendo un esperto non so se il mio dubbio abbia senso dal punto di vista economico
Alexander Scano
Daniele, se la concessione è potrebbero farlo.